È una calda giornata di sole quando incontriamo l'architetto Andreas Angelidakis a pochi passi da Piazza della Costituzione. Il progetto è di scoprire la "sua" Atene, quella che ha lasciato da adolescente per andare a studiare prima alla Southern California Institute of Architecture e poi alla Columbia University di New York, la città dove non poteva fare a meno di tornare una volta completati gli studi.
Parla inglese perfettamente, la barba lunga e nera, due occhi azzurri come i mari che bagnano la capitale ellenica. Andreas Agelidakis, dal lungo e prestigioso curriculum, è uno che ha le idee chiare. Recentemente ha lavorato a diversi progetti tra cui gli allestimenti della giovane Biennale di Atene di tre anni fa e da pochi mesi ha completato in città la ristrutturazione e l'interior del Ristorante Breeder Feeder, un piccolo gioiello della gastronomia contemporanea capace di riflettere al meglio la sua idea di architettura e design non lontana da ciò che Atene offre ai suoi occhi ogni giorno. Ma la duplicità è caratteristica di tutto il suo pensiero: ama montagne e nuvole, ma anche website e comunicazione interattiva (social media, blog, forum), opera preferibilmente tra arte e architettura, tra reale e virtuale, è diviso tra cemento e natura, innovazione e rovine (come memorie) del passato. Atene e una città spezzata, divisa da un passato glorioso fatto di rigorose proporzioni e rigide regole e oggi costellata da un'architettura selvaggia, aggiunta, non completata, interrotta, a-progettuale come si legge cosi facilmente nelle strade affollate.
L'Atene spezzata di Andreas Angelidakis
Visita guidata tra le rovine contemporanee della Grecia di oggi.
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- Maria Cristina Didero
- 13 giugno 2011
- Atene
Sono le 13 e subito chiedo a Angelidakis se la nostra prima tappa sia un ristorante. Sono sfortunata perché prima si cammina un po'. Angelidakis ferma la macchina in uno spazio di dieci metri quadrati di sabbia bruna superaffollati di altre auto e motorini che dovrebbe essere un parcheggio custodito, a pochi minuti dall'Acropoli e ci invita a salire le scale acciottolate vicine. Sono stata ad Atene almeno quattro volte nella mia vita e fortunatamente sempre in compagnia di gente del luogo ma non mi sono mai arrampicata fino al piccolo borgo di Anafiotica un quartiere o meglio un villaggio dalle case basse e bianche — e ok siamo in Grecia — dice la nostra guida "assolutamente folkloristiche e assemblate seconda la necessità"; un po' come il parcheggio sottostante ma dalla poesia diversa e con una vista mozzafiato sul monte Lycabettus.
Siamo ai piedi dell'Acropoli e Anafiotica rappresenta l'area abitata più vicino alle rovine di questa meraviglia dell'umanità. Fu costruita durante il regno di Re Ottone I, nel 1815 circa, dagli abitanti dell'isola di Anafi, da cui il nome, che furono portati ad Atene per costruire il palazzo reale, ora sede del Parlamento; questi costruirono le abitazioni nello stile delle loro di Anafi ecco perché hanno il tipico stile delle isole Cicladi. "Ho scelto di portarvi a Anafiotica perché contiene il DNA della città di Atene e ben sintetizza, dal mio punto di vista, la dualità della Grecia di oggi, divisa tra il folklore e l'ideale, l'architettura programmata e perfetta dei nostri antenati e le conseguente costruzioni realizzate a caso. Questa stessa dualità, questa frattura, può essere riscontrata in tutte le città del paese — solitamente risultato di conseguenze più che di intenzioni — spaccate dall'idealizzata, moderna e internazionale maniera "alla Le Corbusier", dove regna la scatola di cemento che fa da base strutturale conseguentemente completata nel modo più casuale con costruzioni che appaiono sempre incomplete e spesso insignificanti. Anafiotica dall'atmosfera cosi rassicurante, rappresenta un momento di relax, una boccata di aria fresca, un rifugio dove si può avere sotto gli occhi l'idillio del passato e al tempo stesso, poco lontano, uno scorcio sulla situazione attuale del nostro paese".
Ho scelto di portarvi a Anafiotica perché contiene il DNA della città di Atene e ben sintetizza, dal mio punto di vista, la dualità della Grecia di oggi, divisa tra il folklore e l'ideale, l'architettura programmata e perfetta dei nostri antenati e le conseguente costruzioni realizzate a caso.
Qui incontra Christos Papoulias, per Angelidakis noto architetto e stimato professionista che vive da sempre in questa isola felice. Aggiunge Angelidakis "ora è proprio di questo che voglio parlare, di ciò che hanno lasciato i Giochi Olimpici alla città" e scopriamo così la seconda tappa del nostro itinerario. Navighiamo tra un assordante traffico da incubo per una ventina di minuti. Arriviamo al porto di Faliron Delta — unica parte dentro le mura dell'Antica Atene che dava accesso al porto — dove oltre all'abbandono e alla fatiscenza delle costruzioni circondate da verde disadorno svetta uno stadio, abbandonato anche questo, ma mastodontico come lo Stade de France, dedicato al Beach Volley. "Beach Volley? Perché mai bisogna costruire uno stadio, in cemento, dedicato al beach volley? — mi interroga Andreas — tu ne vedi la necessità? Queste megastrutture sono abbandonate e chiuse, non possono neanche essere usate per concerti o altre attività e quindi sono orfane della città, morte. Se fossero almeno aperte al pubblico potrebbero diventare le moderne rovine di Atene, almeno si potrebbero visitare". L'intera Faliron Delta è una lingua di terreno tagliata fuori dalla città dalla grande autostrada. Area vibrante e piena di attività diverse durante le Olimpiadi, solo in quell'occasione ha goduto dei grandi investimenti e ora nulla più.
Mi fa notare i grandi lampioni a pale eoliche in grado di funzionare anche con energia solare, dice che sono costati una fortuna e ora inutilizzati perché nessuno più frequenta quei luoghi. Investimenti, energie buttate al vento, tecnologia avanzata per nulla. E noi non possiamo fare a meno di fotografarlo sotto a uno di questi. "Ora qui ci vengono le coppie ad appartarsi, gli zingari a campeggiare, amatori di aquiloni e aereoplanini giocattolo, atleti, qualche pescatore. Era il fiore all'occhiello dell'Atene dei Giochi e il palcoscenico dall'ultima Biennale di Arte Contemporanea, ora lastricato inutilizzato e lasciato a se stesso come se nessuno più si aspettasse che questa area possa avere un futuro". Sono rovine contemporanee, come le chiama Angelidakis. Ma come fa l'architettura contemporanea a confrontarsi con un paese dall'eredità così forte? Chiedo. Prosegue: "Si sente in maniera pesante l'antica eredità della grande Grecia e spesso sfugge il fatto che questo paese sia in realtà una repubblica molto giovane, un paese giovane; mentre l'Europa ha attraversato il Rinascimento, noi eravamo sottomessi all'Impero Ottomano, e perciò, così come è stato definita dopo questo periodo, la Grecia è un paese relativamente nuovo. Questo ne fa un luogo dinamico e singolare anche se dai tratti inconsueti e curiosi: ha una storia importante alle spalle ma è ancora in costruzione. In termini di architettura, c'è stato un breve periodo moderno, con meno risultati che in altri paesi ma con alcuni esempi forti. Dagli anni Settanta, comunque, lo Stato non ha sostenuto l'architettura, scegliendo la via di edifici fatti dai soldi e il risultato è quello che si vediamo oggi, tutto un po' sottosopra ma a suo modo affascinante. Sicuramente caratteristico."
Ci riavviciniamo al centro e Angelidakis mi fa notare che ovunque ci sono scheletri di case non terminate e spiega: "ci sono sovvenzioni per iniziare costruire e poi mancano i soldi e meno di metà dell'opera e si lascia tutto lì. Molte decisioni circa lo spazio pubblico sono strettamente legate a questioni finanziarie e ripeto, quando sono i soldi a disegnare gli edifici, questi di solito riescono male. Ma io amo anche gli edifici anonimi, intendo quegli edifici che capitano quasi per caso, che propongono modi di abitare lo spazio che un architetto perché forse troppo razionale, non potrebbe mai immaginare. Penso che la buona architettura sia occasionalmente inaccessibile, ma nondimeno offre idee. È vero che la Grecia è in un periodo difficile anche se quella del 2009 è stata la sua prima e unica quasi-bancarotta della storia; abbiamo avuto altri periodi negativi ma abbiamo sempre cercato di risollevarci; ho idea che questa volta serva davvero troppo tempo per mettere le cose a posto e soprattutto tanta volontà. La dualità tra antico e moderno è talmente palese, è come uno schiaffo in faccia. Lo vedi lo senti, capisci che non c'è ricerca, non ci sono idee dietro alla costruzione, che non c'è progettualità ma solo approssimazione e sciatteria," commenta. Questa è la Grecia contemporanea che condivide ben poco delle glorie di Fidia per lasciarsi andare alla prima proposta economicamente accettabile. Per Angelidakis non c'è visione e in questo modo la città è diventata e resterà un caos.
Arriviamo — finalmente! — al Ristorante Filippou nel cuore di Kolonaki, uno dei più antichi quartieri residenziali che circondano la collina di Lycabetus, precisamente in Via Xenokratous 19, la via ha uno strano suono onomatopeico. "Mi piace questo posto perché ha il sapore di altri tempi, una genuina trattoria e non serve cibo da turisti e propone con semplicità e qualità le ricette della tradizione greca." Angelidakis ordina tante portate e in un battibaleno il tavolo si riempie di diversi piatti colorati; abbiamo mangiato una favolosa insalata greca, olive nere come la pece e grandi come albicocche, cetrioli, candida feta, cipolla e una polenta di fagioli giallo canarino; il Juniper, erbette selvatiche bollite con spezie e zucchine ripiene di carne con salsa di uova e limone. Sono le 16 ma il ristorante è ancora pieno, Angelidakis parla con un paio di habitué del posto e saluta la cucina; tutti ancora a tavola a quell'ora, noi dobbiamo scappare all'aeroporto. Ringrazio Andreas Angelidakis per averci dedicato con passione e sorriso il suo tempo prezioso e per aver condiviso con noi un sincero punto di vista "sulle cose" della sua città. Maria Cristina Didero