Questo progetto è stato per voi un modo di criticare la modernità attraverso il linguaggio dell'arte? Quanto ha pesato questa crisi nello scegliere e sviluppare il tema?
Nel progetto c'è senz'altro una critica implicita alla modernità: come fosse il cuore di una promessa non mantenuta, un progetto tronco. Così, la sua crisi è anche il punto di partenza per un nuovo stato delle cose. Inoltre, è importante notare che molti artisti e curatori mettono ormai in dubbio quella che costituisce una corrente di pensiero dominante, e al momento ossessiva, circa la modernità stessa: come fosse il luogo 'dove è andato tutto perduto', in cui lo sguardo è sempre rivolto solo all'arte e all'architettura, adottando una visione parziale e omettendo, nel caso particolare del Venezuela, il contesto storico e sociopolitico. La scelta della torre come oggetto di studio ci porta verso altre ere e altre situazioni pre e postmoderne, ed è questo che ci interessa. L'edificio non è considerato patrimonio architettonico, perché non rientra nei parametri moderni della bellezza. È una costruzione moderna: il prodotto della crescita bancaria della fine degli anni Ottanta. Faceva parte di un piano volto a trasformare questa parte di Caracas in un quartiere finanziario: la Torre di David era una delle tante che si susseguivano lungo un viale di banche. In un certo senso, è il prodotto di una filosofia e di una modernità nate intorno alla Borsa: più vicine all'ideologia dello skyline di Wall Street che alle forme perfettamente umaniste di Le Corbusier.
Probabilmente nessuno, ma questo edificio non è al centro dell'attenzione mediatica: né qui né all'estero (immaginate per un attimo, invece, se gli abusivi avessero occupato la Statua della Libertà: probabilmente avremmo dimenticato quel che è accaduto alle Torri Gemelle).
Ci sono diversi casi analoghi nel mondo. I problemi economici legati alla crisi degli alloggi sono ovunque, e stanno nascendo nuovi modi di abitare gli edifici. Come abbiamo detto prima, ci sono esempi simili in Sudafrica. Ma se dobbiamo scegliere una delle tre alternative, optiamo per l'ultima: scrollarci di dosso l'ossessione del moderno. L'arte del presente, come afferma giustamente Serge Daney, non può essere piena di rimpianti. Dobbiamo guardare indietro e vedere quali elementi del passato hanno dato origine alla situazione attuale: senza posare, comunque, uno sguardo ottuso a un periodo in particolare o con gli occhi lucidi per la 'nostalgia dei bei tempi andati'.
Questo non è un problema di tipo architettonico o progettuale. L'architetto della torre aveva disegnato un grattacielo destinato ad accogliere un'azienda, un albergo e diversi negozi. Nessuno poteva prevedere che l'edificio sarebbe stato occupato da senzatetto. Di fatto, lo Stato non ha saputo rispondere al deficit di case e così la gente ha dovuto sfruttare ogni luogo 'dismesso' come spazio residenziale. Quando qualcuno occupa un edificio, non lo vede come una costruzione carica di implicazioni culturali o formali, ma solo come una casa abbandonata con tanto di tetto e scale: un ampio spazio dove rifugiarsi. La costruzione è stata lasciata a metà per problemi politici ed economici. L'architettura, in questo caso, non è nient'altro che un mezzo per parlare delle cose. Il contenuto si articola attraverso questo strumento che, comunque, avrebbe potuto anche essere un ponte, una collina, un terreno o un deposito. È vero che l'architettura e l'urbanistica sono questioni che investono la res publica, come nell'esempio che hai riportato di Israele. In un certo senso, ogni Stato 'costruisce' la propria immagine attraverso diverse decisioni: ciò che demolisce, che costruisce, che dimentica, che fa e che non fa. Sarebbe interessante fare un'analisi del nostro governo sulla base delle strategie urbane adottate o sulla loro mancanza.