Un quarto di secolo dopo l'avvio dei primi lavori nel 1989, il completamento degli ultimi vuoti e la messa a regime delle aree verdi della Collina dei Ciliegi hanno sostanzialmente traghettato i principi insediativi del suo originario programma in una nuova immagine della città che si confronta, in maniera imperativa, con l'esplosione dei nuovi quartieri che – dalla Bovisa all'ex Fiera e all'area di Garibaldi-Repubblica – sta ribaltando il profilo di Milano e la sua struttura radiocentrica.
Infatti, con un'estensione di 700.000 m2 (comparabile con la Défense di Parigi e superiore ai casi di Londra e Barcellona), l'insediamento nell'ex stabilimento Pirelli non è solo l'intervento più rilevante tra i pur numerosi esempi di riconversione di aree industriali dismesse, ma è anche quello che, con maggior forza, ha identificato il tema del progetto urbano con una visione strategica della città contemporanea e con il ruolo che è chiamata a svolgervi l'architettura.
Un progetto 'lento' – di "lunga durata" lo chiama Gregotti, applicando all'architettura le note tesi storiche di Fernand Braudel – provocatoriamente controcorrente rispetto alle pretese dell'instant architecture che si è affermata come pratica dominante nella logica del master plan, e che testimonia la nozione di progetto come 'modificazione' che respinge sia la pretesa di utopie definitive sia la devozione a gesti liberatori, in fuga da ogni contesto storico di appartenenza. Da questo punto di vista, dunque, l'intera operazione Bicocca può considerarsi come l'espressione più radicale e coerente di una posizione che, proprio a fronte del palese fallimento dell'euforia pianificatoria della decade scorsa, reclama la sua rivincita sia sulla teoria del junk space, sia sull'accettazione dello sprawl come modello di urbanistica 'spontanea' dal basso.
Per quanto sia stato oggetto di discussione da parte dei più vari interlocutori (urbanisti, architetti, artisti, sociologi, artisti…), il tema della città contemporanea non ha ancora ricevuto risposte convincenti nella pletora di proposte che hanno scambiato la prospettiva ecologica come una scorciatoia immaginifica verso un futuro dai contorni più fabulistici che reali o che hanno invece adattato la metafora della 'fluidità' sociale al liberismo del capitalismo finanziario, traducendola nella gratuita varietà di schemi fondati sull'abuso iconico e sull'invenzione artistica. Così, nonostante la sostanziosa antologia di immagini futuribili, il problema del disegno urbano è rimasto sostanzialmente eluso, sostituito dalla pratica del caso per caso che lascia mani libere a tutti e riduce la questione della responsabilità sociale a una scelta tra opzioni estetiche.
Dalla fine del XIX secolo, la tradizione moderna si è costruita proprio a partire dalla riflessione sulla nuova città, nella consapevolezza che l'avvento della meccanizzazione richiedesse approcci radicali nella prefigurazione della società contemporanea. Il passaggio dalla società industriale a quella post-industriale e globale ha reso oggi quegli schemi irrimediabilmente impraticabili: non ha cancellato tuttavia (anzi l'ha resa più drammaticamente attuale) la consapevolezza dell'irrinunciabilità di un principio insediativo che consideri il 'nuovo' come una dialettica interrelazione con il contesto e non un cedimento a gratuite morfologie decorative.
È questo il cuore della posizione di Vittorio Gregotti quando sostiene che "il progetto di una nuova città necessita, nello stesso tempo, di un principio insediativo e del suo confronto con le condizioni empiriche dello stato delle cose, delle necessità e del sito".
Esso non è, quindi, l'invenzione di un modello astratto da applicare al suolo, ma la proposta di un principio di insediamento che nasce dalla complessità dell'esistente e dal raggiungimento di un ordine che non cancelli o semplifichi le tensioni esistenti in un luogo, ma le organizzi in maniera da renderle visibili e confrontabili. Nel caso della Bicocca, significa rapportarsi al passato industriale del sito (alla memoria del recinto di fabbrica), così come alle interrelazioni storiche tra la Milano radiocentrica e la periferia e all'eredità operante di una tradizione intellettuale che, proprio sul terreno del 'quartiere' e della città, ha prodotto i suoi risultati più convincenti: dagli ensembles razionalisti di Pagano e di Albini a quelli 'revisionisti' della stagione INA-Casa di Ponti, Gardella, Figini e Pollini.
La ricerca di nuove regole fondative fu, d'altra parte, il vincente campo di battaglia della migliore architettura italiana, come dimostrano tuttora l'esemplarità di molte delle "città nuove" realizzate nel Ventennio e lo stesso quartiere dell'EUR, non a caso considerato come una delle aree di maggiore vivibilità della Roma contemporanea. Questo non significa l'elogio del passato, ma la sua riconsiderazione critica al di fuori di ogni paravento ideologico e di ogni pretesa di innovazione fine a se stessa.
Con qualche isolata eccezione, rispetto alle tante idee di città che si stanno concretizzando nei vuoti urbani di Milano – Porta Vittoria, piazzale Maciacchini, ex Fiera, Santa Giulia, Famagosta – il quartiere della Bicocca è l'unico ad avere una sua definita identità: che con il tempo si precisa sempre di più nelle sue relazioni con i bordi della città, promettendo di mantenere la promessa di diventare il centro storico della nuova periferia.