Dal loro avamposto barcellonese dove tutti gli odori naturali e artificiali del Mediterraneo si condensano in una spessa nebbia intellettuale, Emiliano López e Mónica Rivera affrontano questa questione progettuale non da poco aiutati dalla fortuna dei principianti: ovvero, nel caso specifico, un committente che non aveva mai prima posseduto alberghi. È noto che per i casi del capitalismo questa è invece diventata una specializzazione molto redditizia per chi riesce a mettervi piede: ma è anche evidente che si tratta di un territorio di lavoro minato, dove per il viaggiatore planetario è facile morire di noia di fronte a sti(lis)tici tentativi d'invenzione che nel migliore dei casi riescono a imitare Philippe Starck – più che designer ormai imprenditore, che sembra però sfacciatamente immune dal contagio della banalità.
Ben coscienti che anche per un hotel non c'è niente più fuori moda che un progetto alla moda, López e Rivera hanno immaginato il loro albergo a Tudela come una grande installazione abitativa, più come un'idea di abitare il tempo perso che un resort: li ha aiutati anche la natura selvaggia del luogo, una steppa desolata e semidesertica che convive con grandi coltivazioni, una delle poche ragioni di vita in un territorio singolare, anche per la Spagna. Non è chiaro in effetti perché un viaggiatore, tanto meno un turista, dovrebbe arrivare fino in questa terra desolata, se non forse per lavoro, o più probabilmente per cercare l'isolamento ideale a far crescere un amore, la scrittura di un libro o lo studio del paesaggio: che qui appare integralmente naturale, sferzato da vento, polvere e caldo. Non c'è niente di consolatorio, tantomeno di decorativo, nell'immagine dell'albergo se non il paesaggio stesso: oltre al corpo principale, che contiene reception, hall, bar/ristorante e alcune camere, le altre, diverse e più interessanti 'stanze' sono piccoli padiglioni, che stanno appoggiati come scatole bianche sulla terra del deserto o su un letto di ciottoli, come quello di un fiume asciutto.
Le invenzioni di López e Rivera stanno allora tra la scenografia – come le inquadrature sul panorama ricavate dalle singolari finestre/abitate che diventano chaiselongue o piccoli letti (sarebbero piaciute a Gio Ponti) – e soluzioni per il risparmio di materiali ed energia anche nelle strutture, come chiesto dal committente, completamente smontabili e riciclabili. Un tentativo riuscito di romanticismo secco, dove la sostenibilità del progetto e della realizzazione, anche se non esibita platealmente, è sostanziale e coerente: come quando si sceglie di riciclare grandi contenitori in legno – usati dall'industria agricola per il trasporto di frutta e verdura – come frangivento per le zone più esposte.
Un dato è utile a capire meglio il progetto: la Navarra, in particolare la zona lungo le rive dell'Ebro dove si trova l'albergo, è all'avanguardia in Europa per il risparmio energetico. Già oggi al 60%, l'uso in percentuale di energie rinnovabili nella regione ha come obiettivo prefissato per il 2010 (ovvero il prossimo anno) di arrivare al 100%. Due terzi di questo approvvigionamento sono ottenuti da centrali eoliche, quelle che la lingua inglese ha ribattezzato, con ironica poesia, wind farms: fabbriche di energia che come l'albergo "Via col Vento" di López e Rivera, traggono e restituiscono forza e vita dalla più immateriale delle materie, l'aria e il suo eterno fluire.