Nel 2001, col passaggio a una nuova direzione, il New Museum ha cominciato ad aspirare a un domicilio indipendente. Furono così invitati cinque studi, relativamente sconosciuti negli Stati Uniti (SANAA, Reiser + Umemoto, Gigon Guyer, Abalos & Herreros, David Adjaye), a studiare un progetto all'interno di un posteggio dismesso, su un'arteria centrale degradata: la Bowery, a pochi isolati a est della Broadway, una strada con una fama poco lusinghiera (bande giovanili, punk e barboni). La decisione di spostarsi proprio là, anziché nel più ovvio "quartiere dell'arte" di Chelsea, si è rivelata un catalizzatore nel processo di trasformazione della zona, iniziato peraltro già da tempo. Il cambiamento che ha investito la Bowery è sintomatico del mutamento che negli ultimi dieci anni ha investito tutta Manhattan. L'11 settembre e il regime Bush hanno trasformato l'America in una società apprensiva e chiusa, nella quale le idee sono sfruttate unicamente su un piano economico, a detrimento del dibattito intellettuale. Inoltre, grazie al buon andamento di Wall Street, enormi somme di denaro sono state riversate sulla città e l'insoddisfazione ideologica è stata lenita da residence esclusivi e ristoranti di design, mentre i grossi nomi dell'architettura hanno venduto a questa tendenza, con fin troppo entusiasmo, una credibilità costruita con cura.
Come collocare, allora, in un quadro così delirante, il nuovo New Museum? Innanzitutto, SANAA ha tratto ispirazione da diversi fattori: la missione dell'istituzione e il carattere del sito. La disponibilità del museo nell'ingaggiare voci alternative e la volontà di esplorare condizioni incerte sono diventati i fili che intessono la formulazione concettuale del progetto. La sinergia tra spazio urbano e istituzione museale è profonda. L'edificio consiste in una serie di scatole sovrapposte: fuori asse l'una rispetto all'altra, contribuiscono così ad aprire il museo alla città. La sua apparente instabilità pare fare eco all'instabilità della società odierna. In altezza, la torre è in asse visivo, a nord, in Chinatown, con un progetto residenziale e, a sud, con l'Empire State Building. La decisione di non sfruttare al massimo la cubatura edificabile, inaudita in una città dove anche il centimetro quadrato conta, ha permesso di spezzettare la massa in volumi più piccoli; si relazionano così con i blocchi circostanti, contribuendo, allo stesso tempo, a radicare il museo nel contesto urbano. Con una facciata interamente in vetro, una pelle che sembra sparire all'interno del pavimento in cemento, l'ingresso regala la sensazione che il marciapiede si estenda, via, via, fino al retro dell'edificio. L'articolazione del piano terra testimonia la risoluta posizione assunta dal museo quale luogo pubblico e la sua apertura nei confronti della città: offre, infatti, libero accesso a un caffè, una libreria e a uno spazio espositivo (completamente vetrato, si affaccia sul retro), tutti visibili dalla strada. Dietro al nucleo per il trasporto verticale, si trova un'area di carico e scarico completamente percettibile. Le porte in vetro, alte quattro metri e mezzo, consentono ai passanti di assistere al viavai delle opere d'arte e alle operazioni di imballo e disimballo: di guardare, insomma, al museo come fosse un organismo.
Progettare spazi per un'arte che ancora non esiste si traduce spesso in ambienti grandi e flessibili, predisposti per future suddivisioni. Il progetto di SANAA esplora, invece, un diverso tipo di flessibilità, dotando il museo di una serie di gallerie, specifiche e ben proporzionate; molte con un lucernario orientato, ognuno, in modo diverso. Ogni spazio possiede una sua speciale atmosfera: la luce naturale è incrementata da una fitta griglia di tubi fluorescenti. Di notte, invece, le aperture lasciano trapelare la luce interna, illuminando delicatamente l'esterno. La parte superiore del complesso ospita gli spazi educativi e gli uffici, le cui lunghe finestre a nastro aprono ulteriormente il museo alla città. Il piano più alto tra quelli aperti al pubblico, invece, è occupato da un ambiente per eventi speciali: qui, il disassamento tra i diversi volumi crea delle terrazze accessibili, con viste a est, sul tessuto residenziale e a sud, sull'affollamento dei grattacieli di Wall Street. Come scelte materiche, la costruzione è molto semplice. Pavimenti di cemento, lastre di roccia a prova di vandali, travi esposte e terrazze metalliche fanno sì che la torre si trovi tranquillamente a suo agio in un contesto così ruvido. La strategia era realizzare una struttura 'ruvida', ma 'bella', adeguandosi alle condizioni, notoriamente impegnative, di costruire a New York. L'esterno delle scatole è rivestito con una lucente rete di alluminio espanso anodizzato: una griglia che cambia continuamente aspetto a seconda delle condizioni ambientali. L'astrattezza degli esterni funziona come lo sfondo naturale delle immagini di Walker Evans. Costringe, infatti, a guardare con più attenzione quanto appare davanti ad essa: che sia un alcolista in sedia a rotelle o un banchiere che cammina verso casa.
Nello stesso modo in cui New York si è trasformata, il mondo dell'arte, negli ultimi dieci anni, ha conosciuto un totale mutamento. Riuscirà il Museo a conservare le sue radici radicali anche in un contesto nel quale il denaro è la forza trainante? Ora che dovrà avere più personale, un comitato di direzione più allargato e, infine, molti più visitatori? Marcia Tucker è scomparsa il 17 ottobre 2006. In sua memoria, il piano terra, interamente vetrato, è stato battezzato "Marcia Tucker Hall". Nel bel mezzo di una città in continuo movimento, se ne sta lì tranquillo ad aspettare i bidoni dei rifiuti…