Doppie scene. Thumb Island e Snake Street
Il pensiero cinese è fatto innanzitutto di scene. I due progetti sono concepiti per offrire benefici comuni al nuovo distretto di Qingpu (Thumb Island) e al nuovo quartiere di Chunshen (Snake Street). Anche se è stata concepita in parte da noi, Thumb Island è fondamentalmente un’iniziativa del governo, mentre Snake Street è il lavoro di un’impresa privata. Mentre la prima è pensata per creare spazi pubblici che sostengano o siano sostenuti da attività commerciali, la seconda mira a creare luoghi di scambio commerciale generati dalla presenza del pubblico. La discussione sul rapporto tra spazio pubblico e attività commerciali è complessa e potrebbe continuare all’infinito, ma una cosa è certa: lo spazio pubblico si qualifica in quanto tale soltanto attraverso l’uso popolare. La strategia di Thumb Island è quella di spezzare l’architettura in spazi programmati e aree pubbliche non programmate. Il tetto è un’estensione tridimensionale del paesaggio che circonda il lago, mentre lo spazio sottostante è dedicato a una varietà di funzioni pubbliche e attività commerciali che vanno dai matrimoni e ai banchetti a eventi sportivi e al teatro. La strategia di Snake Street, per contro, è quella di rallentare il fluire dei passanti della zona in modo da incoraggiare l’uso degli spazi pubblici da una parte, e stimolare gli acquisti dall’altra – un esperimento che il nostro cliente ha accettato di promuovere. Mentre Thumb Island è indubbiamente una forma architettonica grezza, definita da uno scheletro in cemento che ricorda il cavalcavia di una tangenziale, Snake Street è concepita come una liscia, elegante superficie in cemento punteggiata da giunti. L’ispirazione per Thumb Island nasce da una regola formale dei dipinti popolari cinesi sul tema del paesaggio, che raccomanda la presenza di una piccola montagna intesa a enfatizzare il senso della scala in relazione alla presenza dell’acqua, si tratti di un lago o dell’oceano. La metafora che regge il progetto Snake Street, invece, è quella del “bicchiere di vino galleggiante”. Si tratta di un antico gioco conviviale che viene giocato su una lastra di roccia nella quale è stato scavato un piccolo, tortuoso “canale”; tazze riempite con la giusta quantità di liquore scendono galleggiando il corso del canale. Ogni volta che una tazza si ferma, il giocatore che si trova più vicino deve berne tutto il contenuto e riempirla, quindi rimetterla nel minuscolo corso d’acqua… la differenza è che nel caso di Snake Street è la gente a fluttuare lungo il profilo sinuoso della strada.
Doppie facce. Book Pavilion e Red Star Kindergarten
Quel che ancora oggi la Cina fa meglio sono le linee diritte e gli angoli retti. Quando vengono imposti limiti di tempo e di spesa, le cose si riducono a questi elementi di base. Il nostro progetto per la biblioteca del campus di Ningbo dell’Università di Zhejiang e per il nostri uffici nel centro di Shanghai non è, come potrebbe sembrare, il risultato della frustrazione nata dalla difficoltà di costruire forme curvilinee, e nemmeno di un segreto timore delle complessità del controllo dei costi: sono piuttosto tentativi consapevoli di evitare la complessità costruttiva e il conseguente incremento di spesa. La logica è smaccatamente chiara: le strutture per l’educazione sono pesantemente sottofinanziate, e, per essere chiari, il nostro budget è stato fissato al livello “più basso possibile”. Ma quelli di tempo e denaro non sono stati gli unici vincoli, anche se si sono rivelati indubbiamente i più severi. Il Book Pavilion è essenzialmente un cubo con un centro vuoto. La sua superficie esterna, progettata per essere quanto più omogenea e semplice fosse possibile, sfrutta i due materiali più economici offerti localmente : il mattone di fango rosso e il legno di abete rosso. Il primo è usato per fabbricare case che persino i contadini si vergognano di abitare, il secondo per costruire barche. I dettagli abbozzati per l’edificio non prevedono differenze tra orizzontale e verticale - in altre parole, la logica costruttiva non è dettata dalla gravità. Piani e sezioni del rivestimento dell’edificio sono identici, così che il personale dell’impresa costruttrice ha bisogno di un unico set di istruzioni. Infatti sono bastati otto mesi per portare a termine il progetto, con un budget di soli € 120/mq. Red Star rappresenta il rifacimento di un vecchio asilo abbandonato, costruito negli anni Settanta, e la sua trasformazione nello studio di MADA s.p.a.m. La facciata, completamente inalterata, è stata interamente rivestita. Il materiale usato è il pannello di bambù intrecciato, comunemente usato per costruire casseforme. Questo materiale è tra i preferiti dal nostro studio fin dalla sua scoperta, avvenuta cinque anni fa in un cantiere, ma in questo progetto è stato usato per la prima volta sia in esterni che in interni.
Mura doppie. La Well Hall e lo Xian TV Center
Le mura cittadine di Xian sono probabilmente l’elemento più visibile dell’antica capitale. La Well Hall è un piccolo progetto sperimentale situato nella campagna circostante, finanziato dal nostro studio. A prima vista la Well Hall somiglia quasi alla tipica abitazione rurale locale, della quale però trasgredisce molti degli aspetti peculiari. L’altezza delle pareti è stata raddoppiata per far posto a due livelli di spazio abitabile. Di conseguenza, il tradizionale cortile si è trasformato in una sottile striscia di terra rivolta verso il cielo. Gli esperimenti progettuali si spingono però ben oltre il muro. L’intero edificio è stato infatti costruito da muratori locali in pensione, ai quali è stato fornito solamente un progetto di massima: la conoscenza necessaria a realizzare l’edificio è infatti nelle loro mani, non nelle loro menti. Presentate loro dei progetti e vi diranno che non possono realizzarli, semplicemente perché non sono in grado di leggere i disegni secondo il modo in cui un architetto li traccia. Oppure cambieranno un sacco di cose, convinti di star costruendo qualcosa di incredibilmente alieno. Per questo, Ma ha offerto loro solo degli schizzi pittorici a mano libera, in modo che presentassero ai muratori un aspetto familiare. Frequenti dimostrazioni pratiche in sito hanno reso il lavoro ancora più semplice di quel che gli schizzi farebbero pensare (vedi p. 90-91). Mentre nella Well Hall il muro serve a separare interno ed esterno, il “muro” di Xian TV serve a ospitare un programma diversificato in uno spazio di altezza limitata. Il centro ha una superficie di 80.000 m2, ma la struttura può raggiungere l’altezza massima di dodici metri a causa della prossimità a un edificio storico. Si tratta di una grande fossa fortificata, all’interno della quale sono inseriti blocchi costruttivi di due e tre piani. Il tutto suona assai simile alla città stessa: si potrebbe definire Xian come un “muro abitabile”. Nel caso dello Xian TV Center lo spessore del muro è scavato per ospitare tutte le funzioni di servizio. Tramite queste “mura cittadine” programmate, molti blocchi di funzione sono organizzati e collegati su un piano orizzontale. Fuori da questa densa giustapposizione, è stato incavato un atrio aperto, dove alloggiare tutte le attività soggette all’interazione del pubblico, come per esempio alcune postazioni televisive, uno studio di montaggio, un reparto pubblicità e uno studio per trasmissioni in diretta in occasione di manifestazioni particolari.
Costruire sull’onda della rinascita cinese
Deyan Sudjic
Qingyun Ma, a quanto pare, ha scoperto il modo per essere nel posto giusto al momento giusto. Nel 1999, all’età di trentaquattro anni, è tornato a Shanghai dall’America per aprire un suo studio: questo farebbe pensare che sia stato capace di avvertire almeno tre anni prima del suo mentore Rem Koolhaas le possibilità che la città, in procinto di affrontare un’espansione esplosiva, avrebbe offerto sotto il profilo dell’attività pratica piuttosto che come oggetto di studio teorico. Ci si potrebbe però anche chiedere se non sia stato ancora più abile a trovarsi nel posto sbagliato al momento giusto, o persino nel posto sbagliato nel momento sbagliato, o in qualsiasi altra possibile combinazione dei fattori. Dopo essersi laureato all’università di Tsinghua, è riuscito infatti a lasciare Pechino per fare un Master in Pennsylvania poco prima del massacro di piazza Tienanmen, nei giorni in cui la strada per l’aeroporto era ancora una striscia d’asfalto a due corsie (al suo ritorno, avrebbe trovato un’autostrada a sei corsie). Ma ha anche trascorso un paio d’anni lavorando per la KPF, poi alla scuola di architettura di Shenzhen, un percorso che può essere guardato da due prospettive opposte: l’idea di insegnare architettura in una città che è stata catapultata dal nulla a essere un bellicoso mostro semiurbano capace di ingoiare l’intera Hong Kong può essere infatti tanto un colpo da maestro quanto un destino amaramente ironico. Di sicuro suggerisce che Qingyun Ma è stato capace di fare buon uso del lato oscuro dell’architettura, del sottopancia dell’urbanistica, impressione che deriva direttamente dalla natura del suo lavoro. Arrivare a Pechino giusto in tempo per unirsi a Rem Koolhaas nella costruzione del quartiere generale di CCTV è certamente segno di eccellente tempismo. A meno che non si possa interpretare il fatto vedendo Ma – serio contendente al ruolo di prima stella dell’architettura internazionale prodotta in proprio dalla Cina – in una posizione un po’ più scomoda. Se infatti, lasciando da parte le innumerevoli generazioni di progettisti cinesi che nei secoli hanno costruito i monumenti tradizionali, Ma appartiene alla quarta generazione di architetti cinesi, non si trova allora nello stesso rapporto con l’Occidente dei suoi predecessori ottocenteschi formatisi in America, Gran Bretagna e Germania? Quel che è certo è che è stato a fianco di Rem Koolhaas abbastanza a lungo per aver mutuato alcuni dei suoi tic verbali. Stando alla testimonianza di Hans Ulrich Obrist, Ma avrebbe sostenuto che “in Cina fallire è sempre positivo”. Ha importanza? Be’, in un qualsiasi paese, l’architettura ricopre sicuramente un ruolo nello stabilire una nuova definizione dell’identità nazionale al modo in cui sta facendo la Cina, e che a suo tempo fece il Giappone. Registi, stilisti e architetti giapponesi hanno infatti contribuito quanto qualsiasi altro fattore a dimostrare al resto del mondo il pericolo di sottovalutare il Giappone. La Cina produce film da ormai due decenni. Sappiamo che non è ancora riuscita a generare un Yohji Yamamoto o un Rei Kawakubo, ma è certo che ci sta lavorando. E in architettura deve ancora fare parecchia strada prima di raggiungere una posizione analoga a quella che il Giappone aveva quando, ai tempi delle Olimpiadi di Tokio, si impose a livello internazionale. A giudicare però dalla velocità con cui si muove, la Cina pare decisamente intenzionata a recuperare entro il momento in cui lo stadio di Herzog e de Meuron e l’edificio CCTV saranno pronti, ossia nel 2008. In Cina, così come in Giappone, è in atto un simultaneo, reciprocamente esclusivo e affascinante tentativo di essere sia irrefrenabilmente nuovi, sia di abbracciare parte della texture dell’antica identità nazionale. “Sono stato a lungo un puro modernista, poi ho compreso che il mio rifiuto di produrre alcunché di storico era sbagliato. La storia è altamente pervasiva”, sostiene Ma. La sua formazione e le circostanze della Cina odierna rendono difficile capire se stia dando forma agli eventi o se non ne sia piuttosto trasformato. A volte infatti può dare l’impressione di essere stato semplicemente assorbito dal contesto in cui opera. “I padiglioni di vendita sono le nuove cattedrali”, ha affermato parlando di uno dei tanti showroom delle società immobiliari che occupano i cantieri cinesi, spazi costruiti con l’obiettivo di abbagliare gli acquirenti in un paese che ha scoperto il mutuo appena sette anni fa. Il suo lavoro, che va dall’abitazione costruita per il padre in uno stile semplice, caratterizzato dall’uso di pietra e legno, fino agli eleganti centri commerciali per gli yuppie cinesi, rifiuta talmente di essere prevedibile al punto quasi da sembrarlo. Ma come misura di quello che sta accadendo nella Cina contemporanea è decisamente eloquente.