Zaha Hadid. The Wolfsburg Enterprise

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25 novembre 2005, ore 10: a Wolfsburg si è inaugurato il Phaeno Science Centre. 67.000 metri quadri di casseforme, 27.000 metri cubi di cemento armato, 4.000 travi di acciaio, 600 km di cavi. Una nave spaziale è atterrata nella città delle automobili.
Fotografia di Gaia Cambiaggi.
A cura di Joseph Grima

Un’astronave da un pianeta in costante accelerazione

Joseph Grima

Nel gennaio del 2000, quando è stato reso noto l’esito del concorso per il Phaeno Science Centre di Wolfsburg, la scelta dev’essere apparsa fatalmente appropriata: quale matrimonio migliore, infatti, di quello tra l’inconfondibile e dinamica estetica di Zaha Hadid e la città tedesca, culla della Volkswagen e sede della più grande industria automobilistica dopo Detroit?

Wolfsburg è un luogo permeato da una coscienza estetica non comune. Una caratteristica dovuta, c’è da credere, al fatto che essa ha il dubbio vanto di essere una città nella quale il numero delle automobili sovrasta quello degli abitanti: Wolfsburg è infatti il luogo in cui si è ciò che si guida, dove non esiste praticamente auto che non sia amorevolmente personalizzata dal suo proprietario. Che si tratti o meno di un fatto intenzionale, rimane questione aperta; quel che è certo, invece, è che con ogni probabilità il nuovo Centro della Scienza di Zaha Hadid toccherà le corde della sensibilità estetica degli abitanti di questa città ossessionata dalle automobili: l’edificio ha infatti un profilo filante e sinuoso, definito meticolosamente, e una scocca massiccia ed elegante che pare appena uscita dallo stampo. In più, il suo nome può facilmente adattarsi tanto a un museo quanto a una nuova ed elegante berlina.

Il Phaeno sorge perpendicolare alla fine della Ferdinand-Porschestrasse, un ampio viale pedonale dedicato al leggendario designer del Maggiolino. Da lontano, la sua sagoma si presenta monolitica ma non imponente, e le proporzioni, anche se l’edificio tocca a malapena il terreno, appaiono appiattite in senso orizzontale. Nella parte anteriore, un piazzale separa il Phaeno dal traffico della strada adiacente: da qui, da questo spazio aperto, il visitatore si fa una prima idea delle sue fattezze. Si tratta essenzialmente di una lastra quadrangolare sospesa a otto metri dal suolo, sostenuta nella sua posizione sopraelevata da dieci ‘coni’ che scendono al suolo come zampe di uno smisurato, sconosciuto insetto. Ciò produce un duplice effetto: da lontano, le prospettive dai punti chiave che attorniano il sito risultano, per quanto possibile, preservate, mentre sotto il ventre dell’edificio, tra i monolitici e scultorei coni di cemento, emerge uno spazio cavernoso dalle dimensioni ragguardevoli.

A questi coni, uno per uno, è stata affidata una specifica funzione: quello meridionale, ad esempio, ospita l’entrata principale, attraverso la quale i visitatori sono risucchiati all’interno del corpo dell’astronave-Phaeno per mezzo di una vertiginosa scala mobile. Qui si trovano liberi di esplorare l’ondulato e bianco paesaggio della piattaforma sospesa, attraverso la quale sono sparse duecentocinquanta coloratissime “Stazioni Sperimentali”. I coni inclinati, realizzati in cemento, trapassano tale piattaforma e si tendono verso l’alto a sostenere la griglia d’acciaio che costituisce l’intelaiatura del tetto. Questa ossatura, basata sull’idea di una struttura a doppio Vierendeel composta di capriate intrecciate distese perpendicolarmente, è realizzata con 4.700 elementi d’acciaio saldati insieme con 3.000 giunti. L’accentuato effetto prospettico generato dalla enorme struttura a griglia del tetto, distesa sopra l’ininterrotto paesaggio interno, crea un netto contrasto con la fluida semplicità dello spazio stesso.

Questo paesaggio di piani modulati, attraversati da pilastri verticali inclinati, offre ad Hadid innumerevoli possibilità di indulgere nel suo gusto per gli spazi vertiginosi e anti-cartesiani: scale aggrappate a pareti che scendono in picchiata, vuoti che si aprono nel pavimento a rivelare l’interno di un cono, dolci pendenze che separano un piano dall’altro. A eccezione del perimetro, o laddove la lastra del pavimento interseca i coni, non appaiono vere e proprie pareti; al loro posto, una serie di spazi a cratere creano aree isolate all’interno del volume complessivo, mentre strutture specifiche come il ristorante, l’auditorium e i numerosi laboratori didattici sono alloggiate nel vuoto all’interno dei coni.

È raro che la prima applicazione su larga scala di importanti innovazioni tecniche risulti gestita con molto successo. In questo senso, Phaeno pare rappresentare un’eccezione: il cemento auto-compattante non era mai stato usato in Germania in un progetto di questa entità (in tutto sono stati adoperati 67.000 metri quadri di cassaforme), eppure il risultato, nella sua precisione, appare pressoché perfetto. Questo tipo di cemento, che mescolato presenta una consistenza simile al miele, rende del tutto superfluo l’uso del vibratore, consentendo di realizzare in una volta sola gettate di altezza pari a dieci metri (con una profondità anche di soli venti centimetri) – oltretutto senza lasciare linee di gettata. Soprattutto, esso riduce considerevolmente il lavoro richiesto per realizzare forme complesse come le curve composte, aprendo così nuove frontiere a quanti dispongono di una prospettiva mentale meno lineare.

Tornando all’esterno, diventa evidente che gli unici elementi verticali dell’edificio, le strisce che costituiscono la ‘facciata’ da cui è avvolta la lastra quadrangolare, sono i componenti più problematici. C’è un’aria di arbitrarietà gestuale nel modo in cui sono distribuite le perforazioni — particolarmente sul lato che costeggia le rotaie della linea ad alta velocità — come se trapassare il monolite ancora intatto fosse più una necessità che un desiderio. Ma più ci si avvicina, più la prospettiva globale diviene chiara, più evidente risulta che quel che si vede da lontano è solo una porzione di quella che si potrebbe considerare la vera facciata esterna, ossia il lato inferiore. È qui che la natura realmente incontenibile della forma monolitica del Phaeno è espressa al meglio. Ampi passaggi si infilano e scorrono tra le ‘zampe’ dell’edificio, mentre i pannelli dell’illuminazione incassati nel soffitto creano una vertiginosa sensazione di “ipervelocità congelata”. Di notte, visto attraverso i futuristici oblò, l’interno vivacemente illuminato dei coni accentua la sensazione di trovarsi sotto una specie di astronave pronta al decollo. Tuttavia, a causa dei limiti posti dal committente, riluttante ad esporsi a rischi legati alla sicurezza, allo spazio è stato negato il suo più ovvio, potenziale ruolo di magnete del paesaggio urbano: uno speciale ghiaino a prova di skateboard copre ogni palmo del suolo sottostante e della corte anteriore.

Nel 1976 il professore di laurea di Hadid, Rem Koolhaas, scrive: “Il rendimento di Zaha durante il quarto e quinto anno è stato simile a quello di un razzo che parte lentamente per poi descrivere una traiettoria di costante accelerazione. Ormai è un pianeta, con una propria orbita inimitabile. Questo stato porta sia vantaggi che sfide: a causa della sua personalità unica e dell’intensità del suo lavoro, sarà impossibile per lei seguire una carriera convenzionale.” Una frase senz’altro profetica, ma che la carriera di Hadid sarebbe stata premiata per la qualità delle sue opere costruite era tutt’altro che ovvio, perfino nel 2000, quando si è aggiudicata la commissione per il Phaeno Science Centre. Anche se incarichi importanti avevano già iniziato ad arrivare al suo studio, all’epoca aveva costruito solo un numero limitato di progetti, e averla scelta per un lavoro di questa portata rappresentava una considerevole prova di fiducia da parte della commissione giudicante. Fino a poco tempo fa infatti, Zaha Hadid — che nel frattempo si è aggiudicata il Pritzker Prize e ha dozzine di cantieri aperti in tutto il mondo — era ancora conosciuta principalmente per i suoi dinamici dipinti neo-suprematisti. È affascinante, a questo proposito, visitare la sua mostra “Silver Paintings”, attualmente aperta alla Rove Gallery di Londra: i “dipinti d’argento” parlano ancora, con il loro tipico dinamismo, di architettura; tuttavia, nel passaggio dall’astrazione visionaria alla rappresentazione della forma costruita, parte dello sperimentalismo radicale sembra in qualche modo essere emigrato ‘altrove’. Ma per sua (e nostra) fortuna, questo ‘altrove’ sembra essere rappresentato dalle sue opere architettoniche.

Pritzker on Pritzker
“… Uno dei problemi che ha dovuto affrontare Zaha Hadid è il carattere stesso della città di Wolfsburg – senza contare un paio di eccezioni, come gli edifici di Alto e Scharoun, non è una città ‘architettonica’. Però è chiaro che è una città alla ricerca di una nuova identità. La cosa interessante è che per lavorare sull’identità Zaha Hadid ha deciso di lavorare con l’infrastruttura: una tecnologia che viene adoperata nella costruzione di autostrade e viadotti… È un tentativo monolitico di trasferire energia da una parte della città ad un’altra… Zaha Hadid lavora sempre molto sul contesto, studia con attenzione il sito e i coni visivi lo attraversano. Per questo credo che le avrebbero dovuto dare più controllo sulla progettazione del ponte su entrambe le sponde – è un edificio che crea delle nuove connessioni nella città, in modo particolare fra l’impianto Volkswagen e la zona del centro… È un progetto che va alla ricerca di una condizione di flusso ininterrotto, con la massima assenza di barriere. Quando sarà popolato, diverrà evidente il suo vero ruolo di grande punto focale nel contesto urbano…” Thom Mayne
Il corpo principale del Phaeno Science Centre è sospeso a 8m dal suolo, dando riparo allo spazio pubblico sottostante
Il corpo principale del Phaeno Science Centre è sospeso a 8m dal suolo, dando riparo allo spazio pubblico sottostante
Il progetto utilizza calcestruzzo autocompattante, una miscela particolare che facilita 
la modellazione di forme complesse
Il progetto utilizza calcestruzzo autocompattante, una miscela particolare che facilita la modellazione di forme complesse
Thom Mayne, in visita al cantiere insieme al figlio e a Christos Passas dello studio di Zaha Hadid
Thom Mayne, in visita al cantiere insieme al figlio e a Christos Passas dello studio di Zaha Hadid

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