Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1045, aprile 2020.
Domus 1045. David Chipperfield: “In lode della bellezza, di fronte alla crisi”
A fronte dell’emergenza sanitaria globale determinata dal Covid-19, nell’editoriale del numero 1045 di Domus, David Chipperfield esorta il mondo della progettazione a ritrovare il proprio ruolo e scopo attraverso la bellezza.
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- David Chipperfield
- 01 aprile 2020
I contenuti di questo mese riguardano in particolare il ruolo del design e dei designer. Concepito per essere pubblicato in coincidenza con il Salone del Mobile di Milano (ora rinviato a causa del diffondersi del Covid-19) è un’occasione per celebrare e approfondire il significato del progetto alla luce delle sfide ambientali e sociali cui siamo di fronte.
La celebre manifestazione annuale è impressionante quanto inquietante, una Torre di Babele traboccante di genialità e di design, e sconcertante per dimensioni. Ormai conosciamo tutti la critica secondo la quale, dato che il nostro sistema economico è sempre più dipendente dall’induzione ai consumi, il ruolo del design è venuto a essere coinvolto sempre più esplicitamente nelle fuorvianti responsabilità della prospettiva di mercato, invece che nell’autonomo perseguimento di un’idea. L’accento cade sul desiderio come metro della qualità, ma questa corsa senza fine alla crescita devia il nostro talento, impiegando risorse in modo irragionevole e uccidendo il pianeta. Certamente – conclude questa tesi – il ‘buon’ design vuole risolvere i problemi, non contribuire a crearli.
L’anno scorso il centenario del Bauhaus, la Scuola della Germania di Weimar, ha contribuito a farci riflettere su un’epoca in cui il design nutriva grandi aspettative e credeva nella propria capacità di favorire il cambiamento. Ancora oggi, la Scuola e il suo influsso su quello che sarebbe diventato lo Stile internazionale danno forma alle nostre idee. Adeguare il progetto ai cambiamenti politici, industriali e produttivi – sulla base di attenzioni formali ed etiche – veniva considerato il riflesso di una società nuova, e uno stimolo a realizzarla. I designer coltivavano un rapporto con l’ingegneria e con la tecnologia, liberando la loro disciplina dalla caparbia e puramente estetica condiscendenza nei confronti dello stile, e riuscendo così ad accedere a una condizione di maggior rilevanza attraverso l’impegno nella società e nell’industria. Gio Ponti, benché poco convinto delle ambizioni radicali dello Stile internazionale, sosteneva che “l’industria è lo stile del XX secolo, il suo modo di creare”.
Una volta di più occorre fondamentalmente mettere in discussione il ruolo e la capacità del progetto nel nostro mondo.
Una volta di più occorre fondamentalmente mettere in discussione il ruolo e la capacità del progetto nel nostro mondo. Realisticamente o meno, vogliamo che il design trovi il suo scopo come attore della ricerca invece che come complice senza remissione del mondo dei prodotti di lusso e dell’incremento del valore commerciale. La stessa idea di alta qualità come tratto normale è stata assorbita nelle raffinate narrazioni del consumismo. I toni moralistici della gute Form e di designer come Max Bill appaiono un ricordo lontano. Resta tuttavia difficile liberarci dall’idea ottimista che il design dovrebbe migliorare la qualità della vita.
La situazione attuale è complessa e non priva di contraddizioni. Come in architettura, il ruolo del design è in gran parte determinato da fenomeni fisici, dalla creazione di nuovi oggetti. Il design però sembra possedere, al di là della sua fattualità, un’altra forza, data dalla sua sensibilità e dalle sue aspirazioni. Dovremmo riflettere su quanto abbia realmente cambiato il nostro modo di vivere e contribuito a dare forma al nostro modo d’immaginare la vita, configurando valori, idee e desideri che non avrebbero potuto essere espressi con altri mezzi. In ciò il design si muove tra materialità e desiderio, qualità che l’hanno reso tanto utile nel mondo degli oggetti del consumismo. Tuttavia, come nella maggior parte dei casi, si tratta di una realtà e di un fenomeno soggetti a un percorso evolutivo.
Mentre il design del XX secolo ha trovato la sua strada grazie all’unione con le nuove tecnologie, la produzione e la distribuzione, oggi, se vogliamo rimanere importanti e perfino continuare a esistere, dobbiamo certamente ridefinirci attraverso un’alleanza con gl’interessi dell’ambiente. Questi intenti di stampo ecologico comportano inevitabilmente un allontanamento dal prodotto in favore del processo, che ridefinisce il progetto non come risultato, ma come unità di misura. Tuttavia, nella nostra aspirazione alla responsabilità non dobbiamo scordare tutto ciò che il design può essere. Ogni aspetto della vita comprende come parte integrante oggetti progettati, e la ricerca della bellezza attraverso il progetto e la fabbricazione è stata parte del processo della civiltà, nell’unicità come nella quotidianità. Questa ricerca della soddisfazione negli oggetti risale ai nostri primi impulsi ancestrali: gli oggetti della ritualità quotidiana spesso esprimono la memoria dei nostri valori condivisi con più immediatezza delle opere d’arte.
Realisticamente o meno, vogliamo che il design trovi il suo scopo come attore della ricerca invece che come complice senza remissione del mondo dei prodotti di lusso e dell’incremento del valore commerciale
È evidente che non si può assegnare al design un unico, semplice obiettivo, né ridestinare le risorse e le priorità territoriali come se si trattasse di un processo scientifico. Il valore del progetto sta nel suo rappresentare desideri e ambizioni, non solo nel soddisfare una funzione o fornire soluzioni accurate, e la sua importanza dipende da come lo si realizza. Circoscrivere l’autorità del design alle aree in cui si dedica a individuare obiettivi sociali e ambientali rischia di minarne il dinamismo e la positiva dimensione nella vita quotidiana. C’è bisogno della gratuita bellezza delle cose tanto quanto di soluzioni prive di forma. Sicuramente, perciò, il punto sta nel dare importanza e attenzione al modo in cui le cose sono fatte e all’indicazione di che cosa si potrebbe fare. Come progettisti dobbiamo tutelare la nostra indipendenza, e capacità d’impegnarci a fondo, di sperimentare e intervenire con autonomia. Dobbiamo sforzarci di trovare valori dove gli altri non li vedono, di riconfigurare sistemi di pensiero e di produzione, di dare importanza a qualità eventualmente trascurate e di definire priorità dove probabilmente non ne esistono. Senza dubbio, dobbiamo essere meno complici degli interessi e delle priorità del consumismo, ma soprattutto dobbiamo andare in cerca della bellezza, amarla, proteggerla e darle forma in ogni possibile occasione.
Immagine di apertura: Thomas Struth, GRACE-Follow-On, vista dal basso, IABG, Ottobrunn 2017. Stampa a getto d’inchiostro, 135 x 214,8 cm (139,7 x 219,4 cm incorniciata). © Thomas Struth