Dalla pochette alla mascherina: come cambia la produzione industriale

I brand di moda producono tute sanitarie e mascherine, le aziende di profumi gel disinfettanti, il settore dell’automotive dispositivi chirurgici o parti per macchinari ospedalieri. Siamo in guerra sì, ma ora possiamo contare su nuovi alleati.

La pandemia globale del coronavirus sta delineando quotidianamente uno scenario mutevole, in cui il rapido diffondersi del contagio sottopone le governance di tutto il mondo a una costante revisione delle direttive, nel tentativo di ammortizzare le perdite in termini economici e umani. Un pericolo che ha colto tutti di sorpresa: mentre si passavano decenni a militarizzare le nazioni, preparandosi a una nuova ed eventuale guerra, non si era pensato a un nemico invisibile e ben più subdolo. In prima linea, a far fronte all’emergenza, ci sono medici, anestesisti, infermieri e tutto il personale ospedaliero; tuttavia il virus tra i suoi effetti collaterali ha avuto quello di scoprire i punti deboli di ogni sistema sanitario nazionale. In questa scacchiera in cui anche la terminologia da usare è diventata quella bellica, giungono in soccorso dei nuovi alfieri: le grandi aziende, multinazionali e holdings di vari settori.

Per quanto riguarda il territorio italiano, ad essere interpellato è stato il grande brand di moda Prada, il quale, su richiesta della Regione Toscana, ha avviato dal 18 marzo la produzione di 80.000 camici e 110.000 mascherine da destinare al personale sanitario. A questa missione si aggiunge anche Gucci, controllato dal gruppo francese Kering, che si appresta a consegnare alla stessa Regione Toscana 1.100.000 di mascherine chirurgiche e 55mila camici: una cospicua donazione che si aggiunge a quella di 2 milioni di euro a favore di alcune strutture di Lombardia, Veneto, Toscana e Lazio oltre al contributo personale di 100.000 euro da parte del CEO Marco Bizzarri, alla sanità di Reggio Emilia. La produzione di mascherine è stata avviata all’interno dei propri stabilimenti in Francia da Balenciaga e Yves Saint Laurent, anch’esse sotto il gruppo Kering.

Riconvertire la produzione delle fabbriche: un fatto che non era più accaduto dalla Seconda Guerra Mondiale e che oggi, a distanza di 80 anni, spetta anche ai grandi patron della moda, detentori di una forza economica che negli ultimi tempi ha permesso loro di sconfinare dal proprio campo, con l’apertura di fondazioni e grandi iniziative culturali, per fare un esempio. Stesso discorso vale per il gigante del lusso LVMH, che ha annunciato su Twitter di voler donare agli ospedali francesi 40 milioni di maschere chirurgiche, grazie anche al contatto con un produttore cinese che potenzierebbe le sue possibilità di reperimento. Il gruppo svedese del fast fashion H&M ha fatto sapere che fornirà dispositivi di protezione per gli ospedali in tutto il mondo, facendosi carico della produzione e della rete di distribuzione. In Spagna, il paese che in questi giorni sta scontando più duramente gli esiti della pandemia, si fa avanti Mango, il quale si impegna a consegnare 2 milioni di mascherine a sostegno del personale sanitario. E le aziende di profumi? Riconvertite alla produzione di gel disinfettante. Ancora a muoversi, dal 15 marzo è stata LVMH, impegnando le catene produttive di Dior, Guerlain e Givenchy. Esempio seguito a ruota da L’Oréal, Coty e altri brand di beauty, assumendosi lo stesso incarico.

A seconda delle fasi della crisi – e solo ora, dopo settimane di quarantena, l’Italia sta registrando un lievissimo calo dei contagi e dei ricoveri – le strutture ospedaliere si trovano davanti a tanti tipi di carenze: oggi mancano mascherine e equipaggiamento, domani posti letto e macchinari di intubazione. O, ancora peggio, la forza lavoro, contagiata o costretta alla quarantena. Per aiutare un paese c’è bisogno dell’impegno di tutti: così la piattaforma leader di gaming Razer ha deciso di contribuire alla causa (nonostante questo non sia un settore in crisi, dato lo stato di restrizione domiciliare generale e l’alta richiesta di videogiochi). “Il team di Razer comprende che tutti noi abbiamo un ruolo da svolgere nella lotta contro il virus – non importa da quale industria veniamo. Negli ultimi giorni, i nostri progettisti e ingegneri hanno lavorato a turni di 24 ore per convertire alcune delle nostre linee di produzione esistenti per produrre maschere chirurgiche in modo da poterle donare a paesi di tutto il mondo”, scrive sui propri canali social il CEO Min-Liang Tan, comunicando che donerà un milione di mascherine alle autorità sanitarie di diversi paesi del mondo partendo da Singapore, dove sorge il quartier generale di Razer.

Dal fronte del Regno Unito, c’è stata una grossa mobilitazione da parte del Primo Ministro Boris Johnson il quale, dopo l’infelice uscita riguardante una paventata “immunità di gregge”, ha cercato di correre ai ripari rivolgendosi a 60 aziende per sollecitare una riconversione del proprio apparato produttivo. Tra questi Ford e Dyson; tuttavia, vige ancora incertezza sulle tempistiche che serviranno per passare dalla fabbricazione di ingranaggi meccanici ed elettronici a quella di parti per congegni sanitari, come i ventilatori polmonari.

C’è attesa anche sulle prossime mosse degli Stati Uniti: si guarda a Elon Musk, cofondatore di Tesla, tra gli uomini più ricchi al mondo. Negli scorsi giorni si è dichiarato a disposizione delle necessità del paese e – apprendiamo da suo profilo Twitter – ha aperto un dialogo con l’azienda statunitense leader nelle tecnologie biomediche Medtronic.

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