Cinquant’anni fa, nel 1968, la Biennale di Venezia, come molte altre istituzioni culturali europee, attraversò una grave crisi che nel 1973 portò alla promulgazione di una legge che cambiò per sempre la condizione giuridica della manifestazione, che concentrava la sua attenzione non più solo sulle arti ma anche sulla politica. In seguito a questo cambiamento e per tutti gli anni Settanta la Biennale organizzò una miriade di manifestazioni che si svolgevano in laguna e oltre: ai Magazzini del Sale alle Zattere, alla Giudecca e perfino a Mestre e in altri luoghi della cosiddetta “terraferma”. Queste manifestazioni avevano lo scopo di rendere la Biennale meno elitaria e più omogenea a iniziative socialmente impegnate verso i bisogni dei comuni cittadini.
Spinti da un analogo desiderio di mostre più “significative” e con l’obiettivo di aprire edifici di grande valore architettonico poco noti o trascurati, i giovani curatori e studiosi Daniel Munteanu, Davide Tommaso Ferrando e Sara Favargiotti ebbero l’idea di creare Unfolding Pavilion, un padiglione temporaneo aperto parallelamente al programma ufficiale della Biennale d’architettura di Venezia. Il primo padiglione si aprì nel 2016, in occasione della 15ma Mostra Internazionale d’Architettura della Biennale di Venezia, in un appartamento del circuito AirBnb affittato nella Casa alle Zattere di Ignazio Gardella, importante monumento dell’architettura postmoderna italiana ed esempio unico di architettura veneziana postbellica.
Quest’anno, per la seconda edizione, l’Unfolding Pavilion si è aperto in una delle abitazioni popolari sfitte della Giudecca di Gino Valle, al numero 7: un complesso formato da tre appartamenti cui si accede da una passerella soprelevata, con un’incomparabile vista sulla laguna e sul centro storico. Costruito tra il 1980 e il 1986 e formato da 94 unità abitative, il complesso di edilizia popolare di Gino Valle, con i suoi muri di mattoni, riecheggia il vicino stabilimento del Mulino Stucky. “Abbiamo scoperto che nel complesso c’erano dai 15 (secondo gli inquilini) ai 9 (secondo il municipio) appartamenti vuoti”, racconta Davide Tommaso Ferrando. Il gruppo del padiglione ha stretto con il municipio un accordo che gli ha consentito il libero uso degli appartamenti per cinque mesi, in cambio della completa ristrutturazione delle abitazioni.
Dopo la ristrutturazione la residenza è stata riconvertita in galleria temporanea. Ha ospitato, dal 25 al 30 maggio 2018, durante l’inaugurazione della 16maMostra Internazionale d’Architettura della Biennale di Venezia, una mostra di opere realizzate da esponenti del progetto Little Italy, rete di collaborazione tra architetti italiani tutti nati negli anni Ottanta. Dopo la chiusura della mostra, la galleria temporanea è destinata a essere nuovamente convertita in un’unità di alloggio popolare disponibile, dopo essere rimasta vuota per cinque anni, e infine a essere restituita in questa veste ai cittadini veneziani. In certo qual modo l’Unfolding Pavilion fa anche da contraltare al Padiglione italiano, che “non riesce mai a proporre qualche tipo di innovazione”.
Ma il padiglione si è esteso oltre i muri degli alloggi del n. 7, dispiegandosi per tutto il complesso di residenze popolari di Valle e usando gli spazi comunitari del complesso come sfondo poetico di un programma di tre giornate di manifestazioni aperte al pubblico, tra cui tavole rotonde, dibattiti, proiezioni cinematografiche. “Ci piaceva l’idea di dare a questi incontri una sede così monumentale e contemporaneamente così ordinaria”, commenta il curatore. Nella serata inaugurale si è svolto un dibattito sul ruolo della Biennale e delle mostre d’architettura in generale. Il giorno dopo un dibattito dedicato ai concorsi d’architettura. Nell’altra giornata c’è stata l’anteprima di Democratic Spaces, un documentario sul complesso di Gino Valle realizzato dall’Atelier XYZ e da Davide Tommaso Ferrando. Infine, alla fine delle giornate, Beatriz Colomina è intervenuta per discutere del ruolo delle riviste d’architettura.
Come ogni iniziativa nomade Unfolding Pavilion si apre solo per un breve, se pure intenso, periodo di tempo. Dopo la chiusura la sua attività si svolge onlineattraverso un flusso di contenuti costantemente aggiornato.
Iniziativa originale e ristoratrice, Unfolding Pavilion è più di una semplice critica alla Biennale. È una critica alla logica di mercato che governa l’istituzione. “Troviamo più intelligente investire 10.000 euro – che rappresentano il costo complessivo di tutta l’operazione – nella ristrutturazione di un appartamento da restituire alla comunità veneziana che non pagare 15.000 euro alla Biennale per l’uso del suo marchio”, commentano i curatori.
Immagine di apertura: Studiospazio, Giudecca Windowsill, 2018