Maio

I loro progetti sono concepiti come sistemi spaziali aperti, frutto di una serie di istruzioni o indicazioni entro le quali gli utenti – cittadini o abitanti – possono interagire con gli ambienti.

La crisi finanziaria del 2008 ha avuto un grande impatto sul mondo dell’architettura, mettendo in discussione non solo come questa disciplina debba essere concepita, ma anche i tradizionali modelli di organizzazione del lavoro. Nato a Barcellona nel 2011 dall’incontro di Maria Charneco (Palma di Maiorca, 1975), Alfredo Lérida (Reus, 1975), Guillermo López (Tarragona, 1980) e Anna Puigjaner (Barcellona, 1980), Maio è una delle pratiche che meglio esemplifica questo cambiamento di paradigma. Superando la vecchia concezione autoriale e gerarchica dello studio di architettura, i quattro soci hanno costruito – metaforicamente e fisicamente – un grande tavolo attorno a cui sedersi, discutere e progettare.

Maio è un luogo di dialogo tra professionisti e studiosi di vario tipo che cambia flessibilmente a seconda del lavoro. È naturale, quindi, che non si dedichi solo alla costruzione di edifici, ma anche a progetti editoriali o accademici, a ricerche indipendenti e all’insegnamento. Come molte realtà emergenti, ha trovato nelle biennali il luogo adatto in cui generare nuove riflessioni e incontri. Il proliferare di festival, mostre ed eventi ha infatti creato negli ultimi anni un contesto ideale in cui far convergere studi teorici sulla pratica architettonica.

L’indagine di Maio esplora i limiti sempre più labili tra pubblico e privato, individuale e collettivo, ordinario e straordinario. I loro progetti sono concepiti come sistemi spaziali aperti, frutto di una serie di istruzioni o indicazioni entro le quali gli utenti – cittadini o abitanti – possono interagire con gli ambienti. Il progetto è quindi sempre incompleto ed è pensato per adattarsi ai comportamenti e alle mutevoli necessità di chi lo vive.

Un esempio che racconta bene questo approccio è il progetto 110 Rooms, completato nel 2016 a Barcellona. Ogni piano dell’edificio residenziale contiene 20 stanze, 5 per ogni appartemento, che sono collegate direttamente tra loro, senza spazi di distribuzione. Qui gli architetti non forniscono una configurazione fissa ma permettono agli abitanti di comporre le stanze a piacimento, eliminandone la gerarchia. Un progetto del genere nasce da una riflessione su quali sono i nuclei familiari di oggi – non per forza composti da madre, padre e figli – e prendendo atto che le necessità di una famiglia cambiano.

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