Di quell’esposizione universale dal titolo futuristico “Progress and Harmony for Mankind”, si ricordano la gigantesca volta quasi immateriale del padiglione americano, prodezza ingegneristica dello studio Davis-Brody e la propensione a immaginare il futuro a portata di mano in termini di sviluppo indeterminato e con traiettorie altamente tecnicistiche. 64 milioni di visitatori in sei mesi di apertura, prima grande Expo universale in Asia, sviluppatasi sul piano di Kenzo Tange con una serie di realizzazioni architettoniche che si elevarono come lodi sperticate alle infinite possibilità dello sviluppo.
Nella documentazione su quell’esposizione presente in questa mostra stride appunto il contrasto, con questa minimale ricostruzione analogica e funzionante del lavoro di Sverre Fehn.