FREE: Architecture on the Loose, a cura di E. Sean Baily ed Erandi de Silva, BI Publications, 2013, pp. 181, € 17,50
Il potere della linea
Se il concetto di libertà non può essere limitato ai confini disciplinari dell’architettura, questo libro prova che il pensiero architettonico è indubbiamente uno strumento efficace per osservare ciò che avviene oltre i suoi confini.
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- Nick Axel
- 12 settembre 2014
Nel 1929, quando tentava di conquistare l’America, Le Corbusier aprì la sua seconda conferenza in Argentina con le parole: “Signore e signori, inizierò tracciando una linea di separazione”. E. Sean Baily ed Erandi de Silva, direttori della BI Publications e del blog BI, aprono il loro nuovo libro, FREE, da un punto di partenza analogo, sottolineando il tema del potere della linea nella prospettiva dell’architettura.
“L’architettura è una disciplina direttamente impegnata a dar forma a recinti, a erigere e abbattere barriere, ovvero – più esplicitamente – a estendere o limitare la ‘libertà’”. Noi architetti non siamo certamente gli unici professionisti delle linee, ma siamo innegabilmente formati a vederle, crearle e gestirle in modo specifico.
L’arco dei temi trattati nel libro va dalla cosiddetta dissoluzione delle grandi narrazioni da parte del Postmodernismo alla forma economica del neoliberismo come strumento dominante nella professione di oggi. In generale la raccolta riflette su che cosa accade quando questi due poli si incontrano, quando la libertà di fare quel che si vuole conduce alla diffusa rivalutazione di quel che si fa.
Il progetto editoriale permette ritmi di lettura diversi, con brevi pause di riflessione interposte a testi più ampi. Inoltre i saggi stessi variano nella forma, dall’intervista al saggio allo scritto teorico. I singoli contenuti restano entro i confini dei rispettivi argomenti ma sono montati in modo tale che le pagine divengono un territorio dinamico di risonanze tematiche.
“Libero? Che cosa intendi quando dici che sono ‘libero’? Io non mi sento libero, casomai proprio al contrario.” [1] A questa situazione, che potremmo definire l’“abisso della libertà”, si reagisce in vari modi. Autori come Bernd Upmeyer, Deen Sharp e Corbin Keech la considerano tutti come l’esigenza di fare ordine nel caos, generalmente tramite una diagnosi e la prescrizione di un quadro teorico ben motivato. Altri, come Jill Desmini, si concentrano su specifici casi di libertà spaziale, come aree di territorio urbano espropriate, abbandonate o vuote, per mettere in evidenza le caratteristiche tipiche della libertà. Questa costante analisi trova un complemento nella riflessione sul modo in cui le condizioni locali, gli accordi socioeconomici e i piano istituzionali fungono da catalizzatori di una nuova forma di (ri)costruzione in città statunitensi ‘postfinanziarie’’ come Flint e Detroit, nel Michigan.
Un altro gruppo di autori offre un’interpretazione della normativa alternativa a quella classicamente negativa. Gli spunti polemici di Corbin Keech e di Henry Ng si schierano a favore del riconoscimento dei vincoli e dei regolamenti come materiali dell’architettura in sé e per sé, e riflettono sul valore di autoimporsi dei limiti. Brook Denison analizza la particolare libertà della città di New York, che non è obbligata alla depurazione delle acque, e le giustificazioni economiche della normativa istituita per tutelarla. Questa situazione così complicata si è dimostrata uno strumento efficace per evitare urbanizzazioni periferiche ‘indesiderabili’ nell’area del bacino idrico e oltre. In un’intervista rilasciata al curatore E. Sean Bailey, Keller Easterling porta un passo più in là queste argomentazioni discutendo di come l’architettura, tradizionalmente considerata questione di oggetti nel territorio, possa invece diventare attiva e trasformare il contesto in cui è collocata “istituendo rapporti di interdipendenza tra le proprietà”.
Un altro tema degno di nota toccato nel volume è il rapporto tra personale e professionale. Mentre il richiamo di Jack Murphy all’intreccio di libero amore e architettura nella vita e nell’opera di John e Mimi Lobell tenta di ridefinire scopo e senso che si attribuiscono al termine “professione”, l’intervista di Amelia McPhee a Kayoko Ota svela come interessi tradizionalmente non architettonici producano risultati radicalmente inediti quando diretti allo scopo di fare architettura nel XXI secolo.
Il concetto di libertà non può essere limitato ai confini disciplinari dell’architettura, per quanto provvisoriamente definiti siano, e tuttavia questo libro prova che il pensiero architettonico è indubbiamente uno strumento efficace per osservare ciò che avviene oltre i suoi confini. È perciò curioso pensare come questo stesso metodo analitico si possa usare per riflettere su situazioni di libertà (e di mancanza di libertà) più nettamente definite, come la cittadinanza e le migrazioni. La prospettiva editoriale creativa del volume induce a pensare a come ulteriori temi possano essere affrontati con l’architettura, a proposito di essa e attraverso di essa.
© riproduzione riservata
Nota:
1. Zizek, S. And Schelling, F. (1997) The Abyss of Freedom / Ages of the World. Ann Arbor, Mich.: University of Michigan Press.