di Giuseppe Santonocito
Adesso l'architettura. Jacques Derrida
Scheiwiller, Milano 2008
(pp. 373, € 24,00)
Quando nel 1985 Bernard Tschumi chiese
a Jacques Derrida di collaborare con Peter
Eisenman al progetto di un giardino per il Parc
de La Villette a Parigi, il filosofo francese, al
culmine della sua fama internazionale, non si
era mai cimentato direttamente con il mondo
dell'architettura. Derrida aveva sempre manifestato una
certa perplessità rispetto alla facilità con cui
i suoi schemi decostruttivi venivano catturati
al di fuori della loro cornice filosofica: ma in
quel caso il risultato della collaborazione fu
produttivo non tanto per le conseguenze progettuali
(il lavoro con Eisenman non è stato
mai realizzato) quanto per l'impatto teorico
che i pensieri derridiani furono capaci di
innescare.
Pointe de Folie – Maintenant l'architecture,
il testo redatto da Derrida per l'occasione,
fu recepito e sviluppato, non senza equivoci,
da un gruppo di giovani architetti che
diedero vita a quella corrente che nel 1988,
con una mostra al MoMA di New York, Philip
Johnson formalizzò come Deconstructiviste
Architecture.
Adesso l'architettura, il volume pubblicato
da Scheiwiller per la curatela di
Francesco Vitale, raccoglie una serie di scritti
occasionali, ancora inediti in lingua italiana
(manca però proprio Pointe de Folie), che
coprendo un periodo di oltre un decennio ci
permettono di ricostruire molto efficacemente,
a distanza di quasi un quarto di secolo da
quell'invito per La Villette, la traiettoria dei
ragionamenti di Derrida sull'architettura e la
loro tenuta nel tempo.
Derrida, che considera l'architettura
come l'ultimo baluardo della metafisica, "l'arte
che resiste di più a ciò che si chiamerebbe
destabilizzazione o decostruzione, perché è
l'arte meglio fondata" (p. 186), procede a una
sistematica operazione di smontaggio della
sua assiomatica istituzionale. La decostruzione derridiana, d'altra parte, si era da sempre occupata di istituzioni:
più precisamente, di ripensare le istituzioni, de-stituendole.
E non diversamente da tutto il resto delle istituzioni occidentali,
anche l'architettura all'occhio di Derrida è imputabile di essersi
coagulata nel tempo intorno a un gigantesco costructum, a una
archi-struttura di valori fondamentali – abitabilità, funzionalità,
monumentalità ed estetica – che ne sovradeterminano le pratiche
come un canone gerarchico.
Decostruire questo artefatto significa, per il filosofo francese,
rimettere in discussione la priorità delle pratiche sulla teoria, chiedendo
all'architettura un esercizio di pensiero il cui primo atto è
innanzitutto quello di ripensare se stessa.
Come è tipico del suo stile ellittico e
anti-argomentativo, Derrida disloca i concetti
fondamentali dell'architettura fino ai
limiti del senso, senza tuttavia negarli. Il
tentativo è quello di riportare le presunte
trascendenze (le metafisiche) su un piano di
immanenza in cui nulla è segno assoluto, ma
tutto – compresi i lemmi architettonici – deve
essere riconsiderato alla luce delle idee di
traccia, scarto, temporalità differita, rinvio,
transumanza.
L'architettura decostruita, l'architettura
dell'evento, della non-saturazione e dell'incompletezza,
è una prassi pensante che
si pone la questione dello spazio come problema
aperto, senza puntare a controllarlo e
definirlo una volta per tutte (massima aspirazione
dell'architettura moderna), lasciandolo
libero di accogliere intatte tutte le possibilità
per il futuro.
Leggendo attentamente le sequenze
delle riflessioni di Derrida contenute in
Adesso l'architettura, emergono due dati di
grande interesse, anche se rispettivamente
contraddittori. Da una parte constatiamo i
frequenti misunderstanding tra i ragionamenti
del filosofo e le interpretazioni degli
architetti: dove il primo solleva problemi e
smonta certezze, i secondi spesso vedono
soluzioni e nuovi modelli operativi (significativi
sono i due testi A proposito della scrittura.
Jacques Derrida e Peter Eisenman e Replica a
Daniel Libeskind). Dall'altra, la straordinaria
attualità della lettura derridiana rispetto ai
fenomeni urbani contemporanei, come l'individuazione
del problema della transitorietà
della città post-politica e della conseguenteresponsabilità
verso le generazioni future di
un'architettura che resiste e si mantiene in
vita (maintenant). L'architettura del prossimo
millennio – afferma Derrida – può mantenersi
all'altezza del suo compito soltanto nell'idea,
paradossale, di rinunciare a definire
lo spazio. Ma allora, probabilmente dovrebbe
rinunciare anche al nome di architettura.
Derrida e l'architettura
Adesso l'architettura. Jacques Derrida Scheiwiller, Milano 2008 (pp. 373, € 24,00) Adesso l'architettura, il volume pubblicato da Scheiwiller per la curatela di Francesco Vitale, raccoglie una serie di scritti occasionali, ancora inediti in lingua italiana (manca però proprio Pointe de Folie), che coprendo un periodo di oltre un decennio ci permettono di ricostruire molto efficacemente, a distanza di quasi un quarto di secolo da quell'invito per La Villette, la traiettoria dei ragionamenti di Derrida sull'architettura e la loro tenuta nel tempo.
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- 04 giugno 2009