Progetto e oggetto Scritti sul design, Giulio Carlo Argan Claudio Gamba (a cura di), Edizioni Medusa, Milano, 2003 (pp. 223, Euro 24,00)
Gli studi che conducono alla conoscenza del pensiero epistemologico sulla realtà oggettuale non possono prescindere dagli scritti sul design di Giulio Carlo Argan che si stemperano, a partire dal 1949, in un arco di tempo di oltre trent’anni. In una veste editoriale tradizionale, semplice ed elegante, questo lavoro di Claudio Gamba ha il merito di aver raccolto e ordinato in quattro grandi aree gli scritti di Argan sul disegno industriale appartenenti a periodi diversi della sua vita.
Nel seguire la cronologia delle pubblicazioni ci accorgiamo che il pensiero critico di Argan si stempera quasi costantemente durante tutta la sua produzione critico-letteraria ad eccezione del decennio degli anni Settanta, dove lo studio della realtà oggettuale non sembra interessare l’autore in maniera diretta. La raccolta di queste opere trova una sua utilità per almeno due motivi fondamentali: ritrovare in un’unica pubblicazione gli scritti appartenenti alla stessa tematica e apparsi su riviste, atti di convegni o cataloghi di mostre talvolta conosciuti solo per le parti citate da altri autori; conoscere e poter approfondire l’aspetto forse meno noto, in particolare alle giovani generazioni, del pensiero di Argan sul disegno industriale. Una sorta di antologia critica strutturata per argomenti pensati e sostenuti da uno dei maggiori protagonisti della critica artistica italiana del Dopoguerra.
Alla fine degli anni Cinquanta, con l’esplodere di una società dei consumi (dove il moltiplicarsi di oggetti utili e inutili avvia la creazione di un vero e proprio paesaggio artificiale) lo studio del linguaggio degli oggetti si carica di significati semiologici, sociologici, psicologici e figurativi nella ricerca di un possibile fine sociale del design. I nuovi materiali e i fattori innovativi applicati ai processi di produzione industriale fanno intravedere nuovi possibili scenari dei prodotti industriali. Proprio in questi anni viene pubblicata in Francia l’opera significativa di Gilbert Simondon Du mode d’existence des objets techniques (1958) che enuncia i principi teorico-critici sulla cultura degli oggetti, opera seguita, dieci anni dopo, dal testo di Jean Baudrillard Le système des objets, tradotto pochi anni dopo in italiano. Sono questi gli anni dove si concentrano maggiormente gli scritti di Argan intorno all’artigianato e l’industria, l’arte e l’industria, il design dell’automobile, la moda, l’oggetto moderno e quello del futuro...
Il saggio introduttivo di Claudio Gamba traccia i contenuti del pensiero critico di Argan in un andamento di tipo cronistorico che abbraccia aree tematiche diverse e permette di ricostruire il suo pensiero “sul doppio filo intrecciato dei rapporti tra arte-artigianato-industria e design-architettura-urbanistica”. Il contrasto tra arte e industria e tra artigianato e industria va via via sfumando nella prospettiva di una possibile reciproca collaborazione sullo sfondo della funzione sociale dell’arte che trova, a partire dagli anni Cinquanta, nella persona di Adriano Olivetti un promotore senza uguali. Nello stesso arco di tempo lo studio critico di Argan è diffuso tramite la neonata rivista Civiltà delle Macchine, con la quale collabora fin dal primo numero insieme a filosofi, tecnici, artisti, progettisti e scrittori nella volontà di far incontrare culture diverse intorno ai binomi arte e tecnica e arte e industria. In questa ottica il ruolo del progetto acquista forza e si arricchisce di nuovi attributi tecnici nella speranza di allontanare i fini del mondo industriale dal capitalismo incondizionato.
Il design è visto quindi da Argan come una “metodologia progettuale applicabile all’oggetto come alla città”, e come fattore di integrazione sociale: il suo fine è quello di alleggerire il divario tra il fattore estetico e quello economico in un giusto rapporto di quantità e qualità utilizzando una giusta metodologia progettuale. Nel mondo artificiale degli oggetti pensati dall’uomo, la funzione estetica dovrebbe essere sempre più esaltata rispetto alla sola funzione economica che invece vede concentrare gli sforzi del capitalismo industriale.
La scoperta dei nuovi materiali e la proposta di nuovi processi produttivi devono portare a nuove forme espressive dove il progetto è visto come “ unità assoluta di forma e di materia”: per questi motivi possiamo parlare di modernità e di attualità del pensiero di Argan. Attuali sono anche le conclusioni cui giunse negli ultimi anni della sua vita sulla improbabile alleanza tra arte e industria, senza pentirsi, tuttavia, di avere sostenuto questa tesi.
Nella conferenza tenuta a Berlino nel 1980, egli auspica un giusto equilibrio tra i bisogni e la produzione, ossia un design non in funzione del benessere ma dei bisogni; il fine è quello di limitare l’impoverimento delle risorse naturali che apre la strada alla attuale ecocompatibilità del prodotto industriale. Egli vede il mondo oggettuale futuro come effimero, leggero, policromo, interscambiabile: una natura artificiale spugnosa, mutevole, sovrapposta alla prima. Spera in una logica dei consumi e dei bisogni e vede, nel bombardamento delle immagini cui siamo esposti quotidianamente, la paralisi della nostra immaginazione che porta alla passiva e apatica accettazione di un ambiente artificiale effimero e troppo poco caratterizzante la nostra esistenza.
Conclude l’opera la pubblicazione di un’intervista inedita, del 1989, su Adriano Olivetti, massima rappresentazione dell’industriale moderno, del mecenate illuminato e del capitalismo avanzato: Argan ne sottolinea l’interesse per la cultura tecnologica e insieme per quella umanistica, unite da un raccordo funzionale in una possibile collaborazione.
Piercarlo Crachi, professore a contratto di Disegno Industriale presso la prima Facoltà di architettura di Roma “La Sapienza”