Renzo Piano – figura chiave dell’architettura internazionale degli ultimi quarant’anni - nasce a Genova nel 1937, figlio di un costruttore, Carlo, che fin dalla tenera età lo introduce alle pratiche del cantiere.
Renzo Piano
«La città è un luogo in cui lo scambio è fisico, intenso, non virtuale; si fa un gran parlare di cultura del virtuale, dei giornali che cederanno il posto al video, però la città resta lo spazio in cui vivere assieme. Quando immagino una città, la immagino compatta e densa, capace di generare rapporti intensi» (Renzo Piano, 2006)
Frequenta le scuole di architettura dell’università di Firenze e del Politecnico di Milano, dove si laurea nel 1964. Già durante gli anni della formazione, però, avvia collaborazioni con Franco Albini (1960-1964), maestro del Razionalismo italiano che lo introduce allo studio minuzioso del dettaglio architettonico, e Marco Zanuso. Il rapporto con Albini, in particolare, viene descritto spesso da Renzo Piano come una sorta di ineluttabile appuntamento con il destino.
Ho conosciuto Franco Albini nel settembre del 1960, nel suo studio di via XX settembre, a Milano. […] Gli spiegai che avevo lasciato Firenze perché era una città troppo perfetta e che volevo lavorare nel suo studio, e a Milano, città manifestamente meno perfetta. È così fu
Di Zanuso invece ricorda: «Quando ho cominciato a lavorate con lui, ero già laureato e per due o tre anni gli ho fatto da assistente nel corso “Trattazione morfologica dei materiali”; un corso inventato da lui per parlare di design senza usare la parola design, marginale negli ordinamenti della facoltà, ma divertentissimo, perché ti spingeva a lavorare sulla realtà fisica delle cose. Zanuso mi ha insegnato a mettere le mani dentro il processo di progettazione».
Terminata l’esperienza nel capoluogo lombardo, Renzo Piano si trasferisce negli Stati Uniti e, tra il 1965 e il 1970, lavora con Louis Kahn a Filadelfia, intessendo contemporaneamente stretti legami con l’ingegnere polacco, emigrato a Londra, Zygmunt Stanislaw Makowski (pioniere nell’applicazione delle cosiddette “space structures”).
A questa embrionale fase della sua carriera risalgono pionieristiche opere in cui vengono sperimentate strutture spaziali leggere, a guscio, realizzate con modernissimi sistemi costruttivi che, a volte, lo inducono a cimentarsi in cantieri altamente industrializzati e che, spesso, accomunano la ricerca di Piano a quella del maestro – e amico - francese Jean Prouvé. La carica innovativa di edifici come la fabbrica mobile per l’estrazione di zolfo (costruita a Pomezia nel 1966), il padiglione per la XIV Triennale di Milano (1967, mai aperta per via della contestazione studentesca) e quello italiano alla Fiera di Osaka (1969), insieme a opere quali il proprio studio costruito a Genova (1968-1969) e le abitazioni a pianta libera di Garonne (1969) e Cusago (1970-1971), trasformano il giovane progettista in un personaggio molto noto agli addetti al settore ma ancora sconosciuto – se non addirittura inviso - alla maggioranza della critica. Apice di questa fase è dalla sede della B&B Italia a Novedrate di Como (1971-1973), che con gli interventi precedenti condivide l’interesse alla costruzione per singoli pezzi, altamente tecnologici e affrontati come fossero oggetti di design, che vengono assemblati per dar vita all’intero progetto. Una metodologia di lavoro che ancora oggi caratterizza il linguaggio progettuale di Renzo Piano e che, fin dai primi anni, lo spinge sempre più in direzione di un accurato studio di soluzioni alternative a quelle, preconfezionate, offerte dal mercato edilizio. A proposito Renzo Piano afferma:
Sono cresciuto tra il mito di Otto Frei e quello di Buckminster Fuller e l’idea che l’architettura si costruisce pezzo per pezzo permea il mio immaginario, alimentando la mania quasi ossessiva di fare prototipi; anche Albini, essendo artigiano nato, aveva questa attitudine progettuale
A Londra, nel frattempo, Piano ha incontrato - tra gli altri - Richard Rogers, suo primo partner nella “Piano&Rogers”: è lo studio, fondato nel 1971, con cui del tutto inaspettatamente i due vincono il concorso internazionale per il celeberrimo Centre Georges Pompidou di Parigi (1971-1977). Trasferitosi in Francia, Piano dà l’avvio a uno dei cantieri più discussi del XX secolo, attraverso cui insieme a Rogers realizza il prototipo del museo di fine millennio. Irriverente e provocatorio, emblema dell’incondizionata fiducia nel futuro, il Beauburg – nome con cui l’edificio è comunemente indicato – è «una macchina urbana priva di carrozzeria», mutevole e trasformista ma cucita su misura: i singoli, giganteschi componenti della struttura sono realizzati su disegno dalla Krupp e l’edificio, in stridente contrasto con lo storico quartiere del Marais, s’incunea nel tessuto cittadino introducendo una piazza urbana (che poi diventa tema particolarmente caro a Renzo Piano). Grazie al planetario successo del Pompidou e al particolare interesse di Piano per il tema, nel corso degli anni sono seguiti innumerevoli esempi di musei firmati dal genovese: dalla Menil Collection a Houston (1982-1986), attraverso la Fondazione Beyeler a Basilea (1991-1997), l’ampliamento del Kimbell Art Museum di Kahn (1992-1995) e dell’High Museum di Atlanta (1999-2003), il Paul Klee Zentrum a Berna (1999-2005), fino al recente MUSE di Trento (inaugurato nel 2013). Il sodalizio con Rogers s’interrompe in concomitanza con il legame che Piano stringe con l’ingegnere inglese Peter Rice all’atto della fondazione dell’”Atelier Piano&Rice” (1977-1981), a cui segue l’apertura del “Renzo Piano Building Workshop” (1981, tutt’oggi titolazione del suo studio).
Oltre lo spazio museale, interessante nucleo dell’opera di Piano è costituito da molti esempi di interventi di riqualificazione del tessuto urbano, i cui capostipiti possono essere rintracciati nell’intervento di ristrutturazione Schlumberger di Montrouge (1981-1984) e nel progetto per il recupero del Porto Antico di Genova (1985-2001). Quest’ultimo, avviato in vista della celebrazione del cinquecentesimo anniversario del viaggio di Cristoforo Colombo in America. Racconta Piano medesimo che "c’è un filo rosso che unisce questo progetto a quello del Lingotto, a quello di Otranto, a quello di Burano. È la crescita di una metodologia di analisi e intervento sullo spazio urbano. Nel suo insieme il Porto Antico è una fabbrica dismessa, come il Lingotto: la differenza è che l’edificazione non è avvenuta nel corso di cinque o sei anni, ma in un tempo cento volte superiore". Lo scopo, raggiunto, è la trasformazione di un evento effimero (nel caso specifico, le Colombiadi del 1992) nel motore di conversione e rinascita della città. Lo stesso metodo, appunto, adottato negli interventi sulla berlinese Potsdamer Platz (1992-2000), per il campus della Columbia University a New York (2000-2017) o per interventi a scala minore, come la costruzione della Banca Popolare di Lodi (1991-2001) o della sede del Sole 24 Ore a Milano (1998-2004).
Filo conduttore di tante altre operazioni è, invece, il rapporto con l’acqua: un elemento che nel corso degli anni ha assunto un ruolo progressivamente più incisivo, inteso non come semplice orpello urbano – possibile retaggio di un’ideale pittoresco – ma come strumento attraverso cui costruire nuovi paesaggi, in cui natura e artificio s’intrecciano. Fascinazione che ovviamente deriva dall’amata Genova ma che il Piano ripropone per il NEMO di Amsterdam, il Centro Nazionale per la Scienza e Tecnologia costruito in forma di nave che pare attraccare dentro il porto; per l’aeroporto di Kansai; per il centro culturale Jean-Marie Tjibaou in Nuova Caledonia; per la Citè Internationelle di Lione.
L’acqua ha una bellezza immediata, istintiva, ha un valore espressivo universale: è un materiale che trasmette vibrazioni, raddoppia le immagini, restituisce la complessità della visione
Insignito dei più prestigiosi premi internazionali, Piano è stato visiting professor alla Columbia University di New York, alla facoltà di Architettura di Oslo, al Central London Polytechnic e alla Architectural Association School di Londra. Tra i numerosi riconoscimenti il Pritzker Prize (1998); il Wexner Prize (2001); la medaglia d'oro del londinese RIBA - Royal Institute of British Architects (1989); il premio speciale della Cultura 1992 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per il settore architettura in Italia. È inoltre membro dell'Accademia di San Luca (1999), Officier de l'Ordre national de la légion d'honneur (2000) e senatore a vita della Repubblica Italiana. Nel 2008 ha ottenuto la medaglia d'oro dell'AIA (American institute of architets). Tra le opere più recenti o in corso di elaborazione, si segnalano il Whitney Museum di New York e l’hospice pediatrico di Bologna. Saltuariamente, Piano affianca ai progetti di architettura incarichi legati al design, in particolare per quanto concerne l’allestimento d’interni. Tra questi, il progetto per “Zero Gravity”, la mostra della Triennale di Milano dedicata al maestro Albini (2006). Negli anni Sessanta ha disegnato anche un introvabile giradischi della Brionvega; più recentemente, il modulo abitativo “Diogene”.
Attraverso le parole di Fulvio Irace:
A settant’anni Renzo Piano sembra ancora un rappresentante della “meglio gioventù” di quell’eterna provincia che sa innamorarsi del mondo sino al punto di rivoluzionarlo. Ancora adesso pare sinceramente stupito dell’interesse per il suo lavoro, e quando in maggio si è presentato davanti a tremila studenti del Politecnico di Milano, nel grande spiazzo del campus Bovisa, si è commosso più che davanti a Bill Clinton quando gli ha consegnato nel 1998 il Pritzker Prize – considerato il Nobel dell’architettura – alla Casa Bianca
- 1937–in vita
- Architetto, designer