Annoverato tra i più grandi designer della contemporaneità, Konstantin Grcic (Monaco di Baviera, 1965) può essere descritto come un progettista della sintesi. I suoi oggetti ed arredi, esercizi di innovazione giocati sul terreno del controllo e della consapevolezza, bilanciano senso dell’opportunità – per la scelta dei materiali, delle relazioni spaziali, dei gesti evocati – con un rinnovamento delle forme lontane da ogni tentazione nostalgica o citazionista. Epurati senza essere castigati, geometricamente netti ma senza velleità scultoree, contemporanei ed insieme atemporali, i suoi progetti parlano ad un pubblico eterogeneo che gli riconosce una capacità di immedesimazione con le istanze del quotidiano.
Progettista prolifico eppure refrattario alla bulimia, Grcic ha espresso il suo miglior potenziale lavorando al servizio dell’industria, senza però esimersi da salti di scala o di referente. Negli oltre trent’anni di carriera, si è nutrito di scambi con il mondo delle edizioni limitate, ed ha lavorato con istituzioni culturali internazionali per mostre e curatele che ne hanno sollecitato l’attitudine speculativa.
Parto sempre da un’idea su un progetto e poi molto rapidamente penso al come, al materiale, alla tecnologia.
Il suo apprendistato al design, cominciato con un’esperienza a bottega, è una chiave di volta per mettere a fuoco la natura del suo approccio al progetto. Ancora ragazzo, Grcic scopre il mondo degli arredi lavorando nell’atelier di un restauratore di mobili antichi. Successivamente, il suo periodo di incontro ravvicinato con la materia e la tecnica continua in Inghilterra.
Apprendista presso The John Makepeace School, scoprirà attraverso il lavoro manuale la dimensione intellettuale che definisce il campo del progetto – come la pianificazione del tempo, delle mansioni e dei passaggi necessari alla finalizzazione di un pezzo d’arredo e al rapporto con gli utensili. Di questa esperienza Grcic conserva un imprinting prezioso, che si traduce non solo in un solido bagaglio tecnico, ma anche nella profonda convinzione che la natura e l’identità di un oggetto siano imprescindibilmente legate al modo in cui questo è realizzato.
C’è un potenziale infinito e in continua evoluzione all’interno delle cose più comuni e banali.
Sempre in Inghilterra, è al Royal College of Art che Grcic riprende gli studi in design, entrando in contatto con grandi maestri quali Vico Magistretti e Jasper Morrison – di cui sarà anche assistente al suo studio – e che rimarranno dei punti di riferimento importanti per la sua crescita intellettuale. Accanto all’università, è della vitalità culturale della Londra degli anni ’80 che Grcic si nutre: la libertà creativa della metropoli, e il gusto tutto anglosassone per l’eccentricità, regalano a Grcic il senso di legittimità per l’individualismo come espressione di una visione singolare, come esercizio votato all’espressione senza compromessi della personalità.
Di ritorno sul continente dopo l’esperienza inglese, è a Monaco, la sua città natale, che Konstantin Grcic sceglie di rimanere ed avviare il suo studio nel 1991. Dopo i primi lavori con l’azienda inglese SCP – è di quegli anni la scrivania Prado, che combina con originalità apertura dei volumi e adattabilità ai piccoli spazi – si apre progressivamente la stagione delle grandi collaborazioni con le industrie italiane, interlocutrici privilegiate di molti tra i suoi progetti lungo il corso di tutta la sua carriera. A cavallo del 2000, la sua prima lampada per Flos, MayDay, è un inaspettato successo di critica e commerciale: luce-utensile con gancio ispirata alle lampade dei carrozzieri, interamente in polipropilene e dal prezzo democratico, MayDay è un’opera aperta capace di combinare praticità e versatilità, e che, come tale, troverà una diffusione tanto tra le architetture effimere che tra gli interni borghesi.
Qualche anno più tardi, la consacrazione di Grcic arriva con uno dei suoi progetti ancora oggi considerati più emblematici, Chair_One (Magis 2004). La seduta, distinta da una scocca-telaio in alluminio pressofuso, costruisce una forma tridimensionale leggera ed aerea attraverso l’accostamento di stecche ad angolo, mentre il cono della versione con base in cemento – il modello che più incarna lo spirito di quegli anni – si ancóra a terra bilanciando i vuoti con la sua spiccata materialità.
Konstantin è un genio. È una delle grandi menti del nostro tempo.
Hans Ulrich Obrist
Le due decadi successive si riveleranno estremamente prolifiche. La maestria tecnologica che le industrie gli mettono a disposizione stimola Grcic a rinnovare la forma senza mai renderla fine a se stessa, e senza mai rinnegare un ideale di opera capace di combinare visione autoriale e buon design. La tensione strutturale esibita attraverso il gioco di contrappesi – ne sono un esempio Miura (Plank, 2005), Myto (Plank, 2008), Medici (Mattiazzi, 2012), Traffic (Magis, 2013) – trasforma i suoi oggetti in un’architettura di piccola scala da contemplare alla luce di un’intelligenza costruttiva intrisa di ricerca, ma mai di virtuosismo.
La tipologia delle sedute rimarrà uno dei suoi campi di esplorazione preferiti ripercorso nel libro intervista How to Design a Chair, dove motiverà il suo interesse per questa tipologia anche per la prossimità fisica e l’intimità psicologica che lega la sedia ai suoi utilizzatori.
Sono un progettista che costruisce e edifica, anziché uno scultore che dà forma alle cose. Mi piace capire i materiali e le tecnologie per comprenderne l’essenza. Sono contrario a forzare le cose in qualcosa che non vogliono essere. Ritengo che la tecnologia e la produzione di materiali mi danno molti indizi che sono utili e non limitazioni.
Oltre al mondo dell’industria, un dialogo fertile si sviluppa anche con le gallerie, un terreno per esplorare oggetti più ambigui e indefiniti. Emblematica in questo senso è la collezione Volumes esibita nel 2004 da Galerie Kreo, una serie di volumi appena sbozzati nei quali intravedere archetipi di mobili, forme da abitare pronte ad accogliere ed instaurare relazioni tanto fisiche che immaginarie.
Segnati da un foro che li attraversa, i mobili citano la lampada Arco di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, un tributo ai maestri del design che, come Ettore Sottsass, Philippe Starck e i già citati Magistretti e Morrison, sono stati fonte di studio e ispirazione.
All’edizione limitata si aggiunge il lavoro di curatela, a cui Grcic si applica respingendo qualsiasi presupposto didascalico, ma anzi utilizzando le piattaforme come un’opportunità per mettere in luce oggetti esemplari, o proiettare pratiche d’uso verso scenari di un possibile futuro prossimo. Design Real, presso la Serpentine Gallery, è prima esposizione di design ad essere allestita presso la galleria inglese: Grcic vi metterà in scena alcuni progetti innovativi di designer affermati e meno noti, restituendo la sua visione sul design del primo decennio del millennio. Ritornando invece ai propri progetti, con “New Normals” (Haus am Waldsee, 2022) supera l’utilitarismo dei suoi pezzi affiancandoli con oggetti di design anonimo per creare scenografie dissonanti, indizi di un futuro possibile.
Dovremmo guardare le cose in modo diverso e metterle sempre in discussione.
I progetti di Konstantin Grcic sono stati acquisiti dalle collezioni dei principali musei internazionali, tra cui il MoMA/New York e il Centre Georges Pompidou. Il suo lavoro è stato consacrato in numerose mostre (“Konstantin Grcic: Decisive Design”, Chicago Art Institute, 2009; Design Panorama, Vitra Design Museum, 2014; New Normals, 2022). Insignito di tre Compassi d’Oro (May Day, Flos 2001, Myto, Plank 2011, e Ok, Flos 2016), è stato nominato Designer of the Year a Design Miami nel 2010. L’opera di Grcic è stata estensivamente indagata da monografie (tra cui Konstantin Grcic , Phaidon; Panorama, Vitra Design Museum) e dai cataloghi delle numerose mostre da lui curate.
Immagine in apertura: Konstantin Grcic. Foto Markus Jans