Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1055, marzo 2021
“Le case le vorrei tutte di bella pietra, ben squadrate, con le altane aperte sui golfi del cielo”. Scritta ben prima della fondazione della sua famosa “Casa come me”, la visione architettonica di Curzio Malaparte non descrive efficacemente solo il rapporto tra il paesaggio e le abitazioni, ma anche la relazione tra gli uomini e le cose, gli interni e gli esterni, ovvero quel design che prima di essere tecnologia abitativa resta strumento dell’affermazione di un’identità. Eretta nel 1938 sull’inarrivabile promontorio di Capo Massullo, nell’estremità Est dell’isola di Capri, Villa Malaparte appare, oggi come ieri, il gesto di una personalità complicatissima, dominata da una scala che conduce al solarium, ma che in realtà tende all’infinito. Progetto dunque in cui il novecentismo di Malaparte si esprime nella forma più compiuta ed espressionista, che non può quindi iniziare se non dalle polemiche.
Non solo il progetto, datato 1938, ma tutto il percorso che porterà all’edificio è al centro di una infinita serie di polemiche e attribuzioni.
Malaparte arriva sull’isola nel 1936, per fare visita al medico svedese Axel Munthe, proprietario di Villa San Michele. Durante il suo soggiorno rimane incantato dalla bellezza selvaggia di Capo Massullo. Acquista così il terreno per 12.000 lire dal pescatore Antonio Vuotto e si mette subito in contatto con l’amico Galeazzo Ciano per ottenere la licenza edilizia, necessaria, ma difficile visto il contesto.
Chiama poi l’architetto Adalberto Libera, principe del modernismo, ma subito giudica il suo progetto poco più di una falsariga rispetto alla costruzione definitiva che si deve tutta allo scrittore. I volumi della ‘villetta’ non sono ancora uniti tra loro dalla scenografica scalinata destinata a caratterizzare l’esterno; sul tetto non è ancora previsto il muro che, arcuato come un’ala, avrà il compito di integrare con l’artificio di una quinta il panorama irripetibile del golfo.
Un gesto formale, quindi, che diventa sostanziale, capace di trasformare il terrazzo in una stanza a cielo aperto in cui l’unico arredamento consiste in una vela bianca, immaginata per riparare le nudità del padrone di casa e delle sue amanti dagli sguardi indiscreti della popolazione locale più che essere il sostegno mascherato della canna fumaria. Se il razionalismo dell’esterno eccede le idee di Libera, che appunto Malaparte prima ingaggia per la progettazione, ma subito diffida per divergenza di vedute, l’interno della villa gira attorno al dialogo che lo scrittore di Tecnica del colpo di Stato intrattiene con Alberto Savinio, autore dei disegni delle maioliche colorate, dove la lira è ispirata a Goethe, nonché delle grandi cornici in legno di noce che rendono le viste sui quattro lati di “una nave omerica finita a secco”, come la descrisse Bruce Chatwin, dei veri quadri espressionisti, aperti su un pavimento in basolato che lo fa sembrare una strada Così, se a distanza di quasi un secolo a sorprendere è la forma della villa, integrata quasi perfettamente sul promontorio su cui spicca però per il rosso pompeiano di cui è rivestita, è proprio il mix di scelte che conferma la poliedricità della personalità di Malaparte. Scale dallo stile precolombiano collegano il mare alla casa girando idealmente attorno a un camino con il fondo di cristallo, che svela il mare quando le fiamme ardono. Il contrasto tra la vita e l’opera di Malaparte si conferma nel suo studio, pensato in fondo alla casa a picco sul mare, proprio come le tre camere ognuna con una vista unica: i Faraglioni, Punta Campanella e la linea d’orizzonte tra cielo e mare.
Lo stesso orizzonte enigmatico che Jean Luc Godard volle immortalare ne Il Disprezzo e che Liliana Cavani fece scrutare a un Marcello Mastroianni che vestiva i panni dell’autore de La pelle. In uno degli innumerevoli aneddoti che Malaparte si compiacerà sempre di disseminare nei suoi scritti, lo scrittore pratese racconta della visita di Erwin Rommel a Capo Massullo.
Il generale tedesco vuole sapere se, per caso, la casa non fosse stata costruita su progetto del proprietario. Malaparte risponde che no, la villa era già così, però subito dopo indica i faraglioni, Sorrento, Amalfi e aggiunge: “Io ho disegnato il paesaggio”. In questa battuta, che potrebbe benissimo essere inventata, Malaparte nasconde e rivela al tempo stesso la vera missione di Casa Malaparte: fare la Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale che rappresenta un culmine di una vita, un pensiero e un personaggio. Oltre forse che dell’arte, non solo architettonica, del Novecento.
Immagine di apertura: veduta aerea di Villa Malaparte, negli anni Ottanta. Foto Archivio storico di Grand Bazaar