“Domus vuol dire casa. Economia, gestione della casa. È forse qui per un qualche consiglio?”. Diversamente dai colleghi anglosassoni sempre compassati e vestiti di scuro, Giulio Tremonti non ha mai smesso di frequentare l’ironia e i completi grigi. Usi di mondo contrari al mainstream europeista quanto al tono del suo studio milanese, dove niente è concesso a quel design che accese un’Italia già in declino. “Prima gli illuminati, poi le élite sconfitte dalla storia, infine i cuochi che prendono il controllo della nave. Per capire il grande disordine che investe le nostre vite e rischia di distruggere la nostra casa più che agli studi specialistici conviene ricorrere alle profezie che emergono dalla storia”.
Forse perché appassionato dei sentieri alpini che per Martin Heidegger non portavano da nessuna parte, salvo forse a conoscersi meglio, Tremonti è stato tre volte ministro dell’Economia e delle Finanze in una delle fasi più difficili del secondo Novecento, dall’entrata in vigore dell’euro alla crisi del 2008, al “colpo di Stato finanziario del 2011”. Adesso che qualche anno è passato, è evidente però che resta quello che è sempre stato nel profondo, un teorico del diritto con la passione per la politica e la diffidenza per gli economisti. Tutto reciproco, direbbero questi ultimi.
“Continuiamo a giocare con le metafore architettoniche. La nostra casa europea pare studiata da un designer impazzito, con migliaia di corridoi che finiscono in sottoscala, disimpegni, antibagni, ripostigli. Le stanze comuni e i servizi? Seppellite quando non sostituite da regole come lo scarico delle toilette– 120 pagine ritirate pochi giorni prima di Brexit – oppure i passaporti dei furetti, che ricordavo sempre a Romano Prodi facendolo arrabbiare”, dice con uno dei noti sorrisi. Ma oltre all’ironia, e ai famosi silenzi alternati da scuotimenti della testa, negli anni Tremonti ha scritto libri preziosi in cui suggerisce un metodo. Connettere saperi diversi, dalla letteratura alle finanze, dalla musica alla poesia, dalla geopolitica alla teologia. Un approccio che allinea il professore di Sondrio a una grande tradizione italiana dimenticata eppure indimenticabile che ricorda Francesco de Sanctis e Quintino Sella. Intelligenze eterodosse capaci di trovare i punti critici della storia, quelli che rovesciano gli eventi e fanno distinguere tra giusto e sbagliato, principale e laterale, intelligente e cretino. Un metodo che aiuta a mettere sullo sfondo gli accidenti e illuminare la sostanza, quei fatti incongrui che nell’ultimo libro Tremonti ha chiamato ‘profezie’”.
Tre profezie aiutano a capire quello che sta succedendo. Quella di Marx sulla deriva del capitalismo globale, quella di Goethe che nel Faust spiega il potere mefistofelico del denaro e del mondo digitale, infine l’intuizione di Leopardi sulla crisi di una civiltà che diviene cosmopolita.
Come dire: dimenticate Francis Fukuyama e la fine della storia. Dimenticate Bill Clinton e l’esportazione della democrazia. E dimenticate anche Mark Zuckerberg e il nuovo ordine globale digitale. “La storia sta tornando con il carico degli interessi arretrati e il populismo è una talpa che scava il terreno su cui, appena caduto il Muro di Berlino, è stata costruita l’utopia della globalizzazione. Oggi l’architettura della nostra casa assomiglia a quelle della Weimar degli anni Venti: un progetto stravolto, dove nascono virus estremi. Non più cogito, ma digito ergo sum”.
Così, anche per un giurista prestato all’economia l’unica via d’uscita resta l’architettura, o meglio il design. “Occorre ridisegnare le regole, costruire iniziative a favore delle imprese, ma soprattutto valorizzare l’anima dei popoli”. Per Tremonti la ragione è semplice. “Se lei va in un caffè e propone l’unione bancaria rischia di essere buttato fuori a calci nel sedere. Se invece dice cose pratiche come la difesa o la sicurezza la gente capisce. E qualcuno potrebbe anche offrirle il caffè”. Il nuovo progetto della Casa comune prevede così l’abbattimento dei muri che non sono portanti, come i “modelli sociali universalistici, artificiali e fallimentari”, e il restauro conservativo di tutto “ciò che è essenziale e popolare: difesa, sicurezza, intelligence”.
Nella luce della mattina più corta d’autunno, più che Tremonti sembra Walter Gropius che si appoggia sulla sedia e cerca qualcosa nelle tasche. Una pipa, segno che il tempo sta per finire. “Non si può creare troppo a lungo denaro per mezzo di denaro, né debito per mezzo di debito. Non si può confondere il pronto soccorso con una lunga degenza. Bisogna fermarsi”. Fermarsi? Il professore smette di sorridere. “Ho l’impressione che la crisi non sia terminata, che non sia stata superata, ma solo sospesa. La nostra casa è più in pericolo che mai”.
Accompagnando all’uscita, Tremonti saluta con un ultimo calembour. “Ricorda cosa c’era scritto sulle banconote della Repubblica di Weimar?” La memoria è una dea bendata. “I versi del Faust di Goethe: credi in me, abbi fiducia in me”. Cinque secondi di silenzio assordante e la porta si chiude. “Poi si è visto come è andata a finire”. L’ultima profezia?
Giulio Tremonti Senatore della Repubblica, commissione Affari Esteri, Tremonti (1947) è avvocato e, dal 1974, professore universitario. È autore di varie pubblicazioni, tra cui: Rinascimento (2017) con Vittorio Sgarbi e Mundus Furiosus (2016). È stato vicepresidente del Consiglio dei Ministri, ministro delle Finanze, ministro dell’Economia e delle Finanze, vicepresidente della Camera dei Deputati.