Nel giro di pochi giorni due brutte notizie hanno colpito altrettanti edifici realizzati dallo studio Venturi & Scott Brown, la Abrams House a Pittsburgh del 1979 (Lo stesso anno de La condition postmoderne) e il San Diego Museum of Contemporary Art terminato nel 1996. Nel primo caso il proprietario di un’altra villa attigua, la Giovannitti House progettata da Richard Meier nei primi anni Ottanta, l’ha acquistata per allargare la proprietà, cominciando i lavori di rifacimento alla chetichella, compreso il distacco di un affresco di Roy Lichtenstein dal soggiorno; nel secondo caso, c’è un progetto di ampliamento minimalista che minaccia la demolizione dell’ala aggiunta da V&SB al museo che ha come nucleo originario un edificio del 1915 di Irving Gill – il pioniere dell’architettura moderna nella California del Sud. Tutto questo accade dopo che, nel 2007, un progetto di Brad Cloepfil ha deformato e alterato inesorabilmente l’ampliamento del duo di Filadelfia del Seattle Art Museum e che nel 2009 la Lieb House del 1969 è stata salvata per il rotto della cuffia solo grazie a un collezionista che l’ha acquistata trasportandola su una chiatta dal New Jersey in una nuova proprietà a Long Island.
Il PoMo ha il difetto di essere desueto senza essere ancora abbastanza vecchio per essere rivalutato, mentre una nuova generazione di architetti cresciuta nella rivalutazione di questi riferimenti, sta venendo fuori. – Denise Scott Brown
Viene insomma da chiedersi: se il lavoro degli architetti di punta della stagione postmoderna è minacciato, forse allora tutta quella produzione è in pericolo vuoi per le speculazioni edilizie vuoi per il rifiuto di quella parentesi estetica in nome di un non meglio precisato “neomodernismo”, come lo definisce al telefono Denise Scott Brown. “Il PoMo ha il difetto di essere desueto senza essere ancora abbastanza vecchio per essere rivalutato, mentre una nuova generazione di architetti cresciuta nella rivalutazione di questi riferimenti, sta venendo fuori. Per nostra fortuna, l’ampliamento della Sainsbury Wing National Gallery a Londra è stato inserito nella lista dei monumenti inglesi da preservare”.
E giusto il 31 luglio anche l’AT&T Building di Philip Johnson a Manhattan – quello della celebre copertina di Time del 1979 – è stato riconosciuto dalla Landmarks Preservation Commission come edificio da preservare, fermando così di fatto il progetto di trasformazione della sua base da parte della ristrutturazione in corso di Snøhetta, aspramente criticata da architetti come Norman Foster, Robert A. M. Stern e giornalisti come Oliver Wainwright. Inoltre, pochi giorni or sono gli architetti Gilbert and Christian Stayner hanno acquistato la Wave House di Walter S. White del 1955 nel Palm Desert della California, per mantenerne l’autenticità di un edificio sulla carta “moderno”, ma di fatto turchese con un tetto a onda che anticipa molti di quelli degli anni Ottanta.
Molta produzione postmoderna è a rischio demolizione proprio mentre un pulviscolo di giovani studi e giovani critici in Europa e negli USA ne sta recuperando l’eredità del canone figurativo.
Insomma, molta produzione postmoderna è a rischio demolizione proprio mentre un pulviscolo di giovani studi e giovani critici [1] un po’ dovunque in Europa e negli USA stia recuperando l’eredità del canone figurativo postmoderno che solo in architettura ha trovato una collocazione che se non è perfettamente definita, quantomeno è accettata. Esplosa dopo la Biennale di Paolo Portoghesi del 1980 (ma a ben vedere già presente sotto la cenere dell’architettura radicale e quella più patinata di “Oppositions”), la “fine del proibizionismo” citazionista, storicista e antifunzionalista ha avuto un’eco fortissima nel design, da Memphis di Ettore Sottsass & Co., e nella moda specie nel dominio planetario degli orologi Swatch sotto la direzione artistica di Alessandro Mendini. Dopo gli anni del Superdutch e quelli del rappel à l’ordre, il Postmoderno ha rialzato la testa con la generazione dei millennial [2], complici anche i videoclip, da Katy Perry a Thegiornalisti. Ultimo esempio assai rappresentativo di una tendenza generalizzata ne è il recente teatrino di Matteo Ghidoni alla Triennale di Milano, un mishmash di allusioni ad Aldo Rossi (il teatro effimero in legno), Sottsass (l’autodefinizione di “tempio pagano”, i colori sgargianti del telo) e Rem Koolhaas (il pallone aerostatico)
Il Postmoderno non è stata l’invenzione peccaminosa e frivola di alcuni, non è stata una poetica che ha liquidato la serietà angosciosa dei Moderni per sostituirla con il consumo ludico di forme effimere.– Alfonso Berardinelli
Per tornare a Venturi e Scott Brown, oggi molto anziani e non in grado di difendersi adeguatamente, in fatto di sensibilizzazione molto potrà fare l’imminente film documentario del loro figlio Jim Venturi, Learning from Bob & Denise, che in precedenza aveva già realizzato nel 2009 (con John Halpern) Saving Lieb House. È difficile dirimere la questione qui, restano valide però le considerazioni di un grande critico, Alfonso Berardinelli: “Il Postmoderno non è stata l’invenzione peccaminosa e frivola di alcuni, non è stata una poetica che ha liquidato la serietà angosciosa dei Moderni per sostituirla con il consumo ludico di forme effimere. Come il Moderno, anche il Postmoderno presenta almeno due versanti. Da un lato, può essere replica retorica di un estremismo che già nelle avanguardie storiche era troppo programmatico. Dall’altro, il Postmoderno è stato nel corso di mezzo secolo, dal 1945 in poi, una situazione storica che ha coinvolto tendenze culturali contrastanti: neorealismo, nouvelle critique, nouveau roman, neomarxismo. Romanzi come Menzogna e sortilegio, come Lolita, come Il Gattopardo, film come Il fascino discreto della borghesia e Barry Lyndon, poeti come Ponge e Auden o Pier Paolo Pasolini, Magnus Enzensberger, Álvaro Mutis e Derek Walcott sono consapevoli che il progressismo modernista e la ricerca formale del nuovo senza limiti a metà del Novecento non avevano più fiato né spazio. Non c’erano più tradizioni e norme da infrangere, ma forme da riprendere e variare per altri usi, contaminando i generi piuttosto che azzerarli [3]”. E di questo bisogna tener conto, prima di demolire edifici attualmente “fuori moda”.
Note
[1] Cfr. Léa-Catherine Szacka, Veronique Patteeuw, a cura di, Mediated Messages Periodicals, Exhibitions and the Shaping of Postmodern Architecture, Bloomsbury, London 2018.
[2] Glenn Adamson, Jane Pavitt, edited by, Postmodernism: Style and Subversion, 1970-1990, Victoria & Albert Publishing, London 2011.
[3] Alfonso Berardinelli, Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione, Quodlibet, Macerata 2007, pp. 11-12.