In un saggio scritto per il quotidiano El País nel 1988 lo scrittore spagnolo Javier Marías, come molti prima e dopo di lui, scriveva dell'immutabilità della fisionomia di Venezia. Le sue osservazioni, esplicitamente rivolte al particolare ceto della “gente perbene” (i veneziani veri) citavano, a proposito dello spettacolo serale del “vedere e farsi vedere”, “certe signore che si adornano all'eccesso mani, orecchie e collo per il loro bisogno di mettere in risalto, be’, principalmente se stesse”. Se di sabato sera vi capitasse di avere un posto in un palco della Fenice, il teatro dell’opera cittadino, potreste notare anche la notevole abilità di certe veneziane nel nascondere la loro età grazie agli ornamenti, raggiungendo in tal modo la stessa illusione di immutabilità che promana dalla città.
Nella loro ingannevole giovinezza le origini della Biennale di Venezia Architettura sono state sfumate e storicizzate dal tempo. Era il 27 luglio 1980 allorché la prima Biennale Architettura aprì i battenti alle Corderie dell’Arsenale, un lungo e verticale spazio nell'area dell’ex cantiere navale cittadino. Di questa edizione, nota con il titolo La presenza del passato, di cui fu curatore un giovane e ambizioso Paolo Portoghesi, due immagini sopravvivono tra le altre. La prima è la Strada Novissima, una via racchiusa tra facciate ben allineate che si confrontano simbolicamente in risoluto e aggressivo silenzio. La seconda è il Teatro del mondo di Aldo Rossi: un teatro montato su una chiatta che è passato per virtù propria nel pantheon delle costruzioni spettacolari.