Nato a Varese nel settembre 1938, Gianni Sassi è stato il Frankenstein del design italiano, un vulcanico mescolatore, provocatore e demiurgo che attraverso 30 anni, dai ‘60 ai ‘90, ha agitato la cultura italiana, spaziando dalla musica alla grafica, dall’editoria alla poesia.
La figura di Frankenstein, come il nome della rivista di tecnologia e poesia da lui fondata nel 1972, racconta la visione di Sassi – art director, grafico, pubblicitario, produttore discografico, fotografo – di superare i compartimenti stagni della cultura, stabilendo inedite connessioni tra discipline.

Il volto di Frankenstein è quello del logo della Cramps, l’etichetta discografica che Sassi fonda nel 1971, piattaforma per la crema del rock progressivo italiano – Area, Arti & Mestieri, Eugenio Finardi, l’Alberto Camerini precedente all’arlecchino sintetico – e poi fabbrica di provocazioni situazioniste con il rock demenziale degli Skiantos.
Nella poetica di Sassi, elementi infantili e giocosi celano sempre risvolti più complessi.
Prima ancora c’era stata la Bla Bla, etichetta discografica con cui Sassi plasma la sua visione sul giovane Franco Battiato. Due dischi, Fetus e Pollution, in cui la direzione artistica di Sassi si concretizza negli artwork: stranianti, disturbanti, senza dubbio provocatori. Il primo con un feto, il secondo con un limone trafitto da una vite. Colori terrosi e volumi plastici, con cui Sassi ha saputo farsi interprete di una trasposizione musicale dell’estetica dell’arte povera. Immagine di un’Italia plumbea, violenta ma visceralmente creativa. Così ha fatto anche con molte altre copertine di dischi seminali, come Arbeit Macht Frei degli Area, Terra in bocca de I Giganti, concept album sulla Mafia e la guerra dell’acqua in Sicilia, Diesel di Eugenio Finardi e Cenerentola e il pane quotidiano di Camerini. Con la serie Nova Musicha della Cramps, ma anche con Tilt degli Arti & Mestieri, lettera d’amore di Sassi a Marcel Duchamp, che tornerà negli anni nel sodalizio con Arturo Schwarz, che del surrealista francese magistralmente scrisse, anche con Bonito Oliva.

Nella poetica di Sassi, elementi infantili e giocosi celano sempre risvolti più complessi. Come la testa di bambola mozzata sulla copertina del singolo Un falco nel cielo degli Osage Tribe, alle campagne Polistil: impensabile oggi affidare a un bastione della cultura alternativa italiana la comunicazione di un'azienda di giocattoli. Le pubblicità dirette da Sassi e che comparivano sulle pagine di giornalini come Topolino sono opere d’arte, armoniose, plastiche, ma altrettanto sinistre. Ogni tanto a fare da modella anche Paola Pitagora, volto del nuovo cinema arrabbiato dei ‘60, de I pugni in tasca di Bellocchio, e che di Sassi fu musa.
D'altronde Sassi si divertiva ad infiltrare il mondo della pubblicità e delle aziende con il suo genio situazionista. Con C&B, quando Cassina e Busnelli ancora facevano divani assieme, mette Battiato su un sofà e gli trucca la faccia con un cerone bianco, metà divo glam rock metà alieno. “Che c'è da guardare? Non avete mai visto un divano?”, recita il payoff, con cui Sassi si diverte a sfidare altarini morali di un’Italia che si era scoperta potenza industriale, ma rimasta intimamente provinciale. Lo rifarà anni più tardi con le provocazioni degli Skiantos, come al grande evento Bologna Rock del ‘79, non suoneranno preferendo cucinare una spaghettata sul palco. Il punk è morto, mangiamoci su.

Il cibo, inteso come cultura, è un altro grande amore (e intuizione) di Sassi che nel 1982 è tra i fondatori de La Gola, rivista che sovverte il concetto di gastronomia, ponendo le basi per lo Slow Food che verrà. La testata, di cui Sassi è art director, ha spesso in copertina grafiche del pesarese Massimo Dolcini. È proprio nelle Marche, collaborando (ma soprattutto condividendo la tavola) con il ceramista Franco Bucci, che a Sassi viene l’idea di realizzare piatti decorati con poesie. Come dei piatti del Buon Ricordo, ma d’artista.
In un continuo limbo tra l’industria e la cultura alternativa, Sassi è così riuscito a scardinare come pochi altri creativi italiani convenzioni e gerarchie, arrivando con la sua visione e verve al cuore della vita artistica e culturale meneghina.
Prima di Bucci, c’è il sodalizio di Sassi e del socio Sergio Alberigoni con Iris Ceramica, azienda dello storico distretto tra modenese e reggiano. Un rapporto, promosso dal fondatore Romano Minozzi, che porta nel 1973 alla nascita della rivista Humus, visionario punto di contatto tra ricerca industriale e cultura alternativa. E, soprattutto, a Pollution – Per una nuova estetica dell’inquinamento, happening che Sassi porta in scena a Bologna nel 1972 con 26 artisti (tra cui Mambro, Ceroli, Battiato, UFO, La Pietra) a cui il creativo chiede di immaginare “modi per gestire una natura mutante”. Sensibilità lontana dal greenwashing a cui le multinazionali ci hanno abituato, anzi manifesto di un tempo in cui i cumenda in doppiopetto erano felici di investire nel bello e lasciare nelle mani dei figli capelloni e contestatori l’apparato grafico delle loro aziende. Immaginatevi, oggi, Gianni Sassi nel decennio della comunicazione commerciale delegata alle emoji Whatsapp e alle grafiche auotgenerate con l’AI.

In un continuo limbo tra l’industria e la cultura alternativa, Sassi è così riuscito a scardinare come pochi altri creativi italiani convenzioni e gerarchie, arrivando con la sua visione e verve al cuore della vita artistica e culturale meneghina, con esperienze come Milano Poesia e il Mudima che ospitò performance di molti degli artisti legati a Fluxus (John Cage, Yoko Ono e Beuys su tutti).
È soprattutto questo aspetto di Sassi ad essere celebrato in Gianni Sassi. Gioia e Rivoluzione, mostra dell’ADI Design Museum di Milano che unisce elementi d’archivio ad altri multimediali nel tentativo di raccontare come a partire dal design (grafico, in questo caso) Sassi abbia contribuito a rivoluzionare la cultura italiana.

Non mancano le chicche: come la grafica originale “Dipingi di giallo il tuo poliziotto”, usata per la copertina della rivista Bit di cui Sassi fu art director ai tempi del fermento beatnik, così come copie manifesti e copie originali delle rivista La Gola e Alfabeta; un muro di VHS con le performance di artisti Fluxus curate per il Mudima, e fotografie, da quelle più intime con gli amici allo storico Lucky Bar di Milano a quelle con John Cage.
Nonostante la ricerca di tridimensionalità multimediali, dai pianoforti preparati alle proiezioni, Sassi ne esce bidimensionale. La sua ricerca estetica, sperimentale e anticonformista, viene neutralizzata da un allestimento eccessivamente istituzionale.
Rimane, così, l’amaro in bocca per quella che sembra piuttosto un’occasione perduta per fare uscire la figura e opera di Sassi dal circolo dei nostalgici e dei vecchi amici e collaboratori, e rilanciarne appeal e significati agli occhi di un pubblico nuovo; come per esempio recentemente e virtuosamente fatto con Pino Pascali in Fondazione Prada.
Continua dunque a rimanere la necessità di una retrospettiva più completa, per trarre insegnamento, e non solo conforto nostalgico, dal genio di Sassi.
Immagine di apertura: Gianni Sassi e John Cage sul treno sonoro, 1978. Foto di Fabio Emilio Simion

FADE Family e il nuovo modo di vivere outdoor
L'ultima novità di PLUST Collection è una collezione di arredi che si ispira alla texture della pietra bianca e si illumina al calar della sera.