Il numero di febbraio di Domus 1065 si concentra sul legame tra la disciplina architettonica e l’arte. Continua il percorso di ricerca iniziato dal nuovo Guest Editor Jean Nouvel, che nel suo secondo Editoriale scrive di come l’architetto abbia come obiettivo quello di offrire piccoli piaceri permanenti. E proprio per questo sostiene che sia urgente “decidere che, per consentire di vivere in modo felice, ogni scelta cruciale sull’evoluzione delle nostre città e dei nostri quartieri venga fatta da architetti poeti, dotati d’empatia e che abbiano fatto propria la convinzione che l’architettura è un’arte che non si vanta di esserlo, che l’architettura è un’arte e ha bisogno di invitare altri artisti”.
Segue nei Saggi il filologo e responsabile museale Donatien Grau, il quale scrive dell’impatto congiunto della pressione civile imposta agli architetti e della pressione commerciale e sociale imposta agli artisti, che ha condotto a una sorta di separazione tra le due categorie. L’architetto svizzero Nicola Navone ripercorre l’opera del maestro Aurelio Galfetti, scomparso lo scorso dicembre: “la capacità di guardare la realtà senza nostalgie o rimpianti, animato da un lucido ottimismo della volontà, consapevole dei problemi, ma al contempo convinto della possibilità di rimediarvi facendo fino in fondo il proprio mestiere”.
La prima parte della sezione Architettura è dedicata all'opera di Junya Ishigami, e si apre con uno scritto da Hervé Chandès, direttore generale della Fondation Cartier per il quale l’architetto giapponese aveva curato l’esposizione “Freeing Architecture” nel 2018. Nell’occasione Ishigami ha dimostrato la sua capacità d’immaginazione al di là dei confini della scala architettonica, con il tocco sottile di uno spirito quasi naïf. Il primo progetto raccontato è la Casa per la madre, situato nel sito dell’abitazione dei nonni circondato da campi di riso. Segue Casa e ristorante Noël, dove il cliente chiedeva di riunire in un’unica architettura un ristorante e la sua abitazione privata. Il confine tra le due destinazioni non doveva essere netto: la vivacità del ristorante e la quotidianità domestica dovevano incontrarsi in uno spazio solido come una grotta. Ci spostiamo poi in Cina, dove Ishigami ha curato a Shandong un gruppo di tre architettura: Cultural Centre, percorso simile a una passerella che si snoda per un chilometro sopra l’acqua; Chapel of the Valley, un tempio ecumenico situato sul fondo di una piccola gola nel paesaggio; Forest Kindergarten, uno spazio di didattica all’aperto.
Segue poi un ricordo di Richard Rogers, per il quale raccontiamo in questo numero la Drawing Gallery al Luberon Nature Park, una lunga promenade museale nel vuoto limpida: connette gli artisti con la terra e con il cosmo allo stesso tempo. In chiusura della sezione Il Grotto della Roccia di Enrico Sassi, un piccolo edificio dei primi del Novecento incastonato nella roccia all’inizio del sentiero di Gandria, sul lago Ceresio. Nonostante il pessimo stato dell’edificio, in totale stato di abbandono da quasi un secolo, si è optato per un intervento conservativo, che ne mantenesse quanto più possibile l’aspetto originario.
Le pagine della sezione Arte sono dedicate all’installazione The Guardians di Tatiana Trouvé, in mostra alla Bourse de Commerce di Parigi, sculture realizzate in bronzo che diventano nel percorso museale indicatori sia di monumentalità sia di evoluzione: il bronzo si modifica a causa degli agenti atmosferici, senza che per questo le opere si deteriorino.
Per Design, viene presentata la serie di sedie Leftover Synthesis, un’esplorazione del designer Simon Gehring che ha l’obiettivo di trovare una modalità per sfruttare al meglio gli scarti di legno, soprattutto quelli prodotti nel settore dell’arredo, combinandoli tra loro con metodi di progettazione computazionale. L’architetta Martine Bedin – una delle fondatrici del gruppo d’avanguardia Memphis – ricorda il processo progettuale della Seyun chair di Zaha Hadid. “Questa sedia, come pure tutti gli oggetti prodotti da Karimoku, era forse per lei l’espressione di qualcosa di più intimo, il contrario delle sue architetture”.
Il Diario di questo mese, pagine dedicate all’attualità, è aperto dalla sezione Punti di vista, dove gli architetti italiani Giacomo Ardesio e Matteo Ghidoni dialogano sul tema degli urban center e del loro ruolo nelle trasformazioni urbane. Per Grafica, Francesco Franchi racconta il ruolo dei graphic designer nel rappresentare la società, e la derivata potenzialità di essere trasformativo e inclusivo, se creato da persone con identità, background e capacità diverse. Antonio Armano narra la doppia vita dell’azienda tedesca Midgard: fondata nel 1919 dall’ingegnere Curt Fischer, e rinata per passione nel 2014-2015 grazie a David Einsiedler e Joke Rasch. Per la rubrica Casa d’altri, lo scrittore Andrea Bajani racconta i suoi soggiorni a Kiel, due brevi periodi, di dieci giorni ciascuno, in quello che descrive come “poco più di uno stanzone, che però aveva tutto per sembrare una casa”. Il tentativo: andare a stanare un romanzo ai confini dell’Europa.
Walter Mariotti, Direttore Editoriale di Domus, chiude il numero scrivendo dell’incontro con Judith Wade, fondatrice della società Grandi Giardini Italiani, arrivata nel 2010 all’internazionalizzazione con Gardens of Switzerland, seguita, nove anni dopo, da Great Gardens of the world.