Nel 2020 Tesla presenta il suo pick-up, in acciaio tutto squadrato. Con il Cybertruck, il marchio americano ha segnato un’inversione di tendenza nel design, un vero “ritorno al futuro” a un approccio alla progettazione. Il riferimento non è casuale: la DeLorean Dmc-12, la macchina del tempo della trilogia cinematografica di Robert Zemeckis, è probabilmente la regina delle auto brutaliste.
Come nell’architettura, anche nelle quattro ruote brutalismo significa strutture nude e possibilmente a vista e una riprogettazione degli spazi interni che ha poco da invidiare alla marsigliese Unité d’Habitation di Le Corbusier. Un anno prima di quel rivoluzionario progetto del 1948, la Citroën lanciava Type H, la nonna di tutte le auto brutaliste. Il legame tra i due progetti francesi non è solo estetico: quel furgoncino squadrato e compatto aveva anche un’anima utilitarista, era un mezzo da lavoro in cui si dovevano massimizzare i volumi lavorando con le linee. Non a caso è stato trasformato in ambulanza dalla Croce Rossa, in caravan e perfino in bottega mobile dei venditori ambulanti.
Non stupisce poi che il progetto del Type H sia firmato Flaminio Bertoni. Il designer e scultore di Masnago è solo uno dei tantissimi progettisti e marchi italiani che hanno fatto correre il brutalismo sulla strada. Da Bertone a Gandini, da Giugiaro a Pininfarina, da Ferrari e Fiat e Lamborghini, non c'è dubbio che la lingua parlata dal brutalismo a quattro ruote è soprattutto l'italiano.