Il giorno di San Valentino di quest’anno, YouTube ha compiuto sedici anni. Nel suo paese d’origine, gli Stati Uniti d’America, quella è l’età in cui si diventa maggiorenni. Quella da cui in avanti è possibile guidare un’automobile, con tutto quello che questo vuol dire in un paese che ha fatto del viaggio uno dei simboli della sua cultura. L’auto, a quelle latitudini, la si riceve di solito – così almeno i reality di MTV hanno insegnato a noi italiani – come regalo in feste di compleanno. Ma questo è materiale per un’altra storia.
Quella di cui mi occupo qui è la storia di una piattaforma la cui importanza nello sviluppo del web 2.0 è stata cruciale. YouTube è, infatti, il servizio che ha definito i canoni della condivisione video; un’attività oggi assai comune ma che, quando venne lanciato dai suoi fondatori, tre ex impiegati di PayPal di nome Steve Chen, Jawed Karim e Chad Hurley, era ancora qualcosa di complesso e abbastanza inaccessibile, per lo meno alla maggior parte delle persone non esperte di tecnologia.
Come tutte le piattaforme del web 2.0, anche il successo di YouTube si deve alla sua capacità di facilitare un’operazione complessa come, appunto la condivisione di video in rete, abbattendo al tempo stesso le barriere di costo necessarie per distribuire questo genere di contenuti. A caricare il primo di moltissimi fu uno dei tre fondatori, Jawed Karim che, con il suo account, alle 20:27 del 23 aprile del 2005, rese disponibile un breve filmato di soli diciotto secondi, intitolato Me at the zoo.
Si tratta di pochi frame, che riprendono la gabbia degli elefanti dello Zoo di San Diego, in California. Eppure sono bastati a fare tutta la differenza del mondo. Nato sotto l’egida di un payoff – broadcast yourself – che più esplicito non potrebbe essere, YouTube è stato fin da subito la piattaforma d’elezione per chi voleva, con il proprio video amatoriale, provare a ritagliarsi i celebri quindici minuti di celebrità che Andy Warhol profetizzò dovessero diventare un diritto di chiunque in tempi meno rigidi dei suoi.
È così, in effetti è stato. Al punto che, per un certo periodo, l’espressione youtuber ha finito per indicare l’insieme di tutte quelle persone che, usando la rete, provano a costruirsi una carriera facendo qualcosa che, in altri contesti e con altri mezzi, sarebbe loro impossibile. Ovvero produrre informazione, intrattenimento o, più in generale, conoscenza in varie forme. Una categoria di persone che oggi chiamiamo anche infuencer, quando il loro successo e il loro potere cresce fino a diventare strabordante, o, in modo più modesto, content creator, quando la loro dimensione gli impone di arrabattarsi per produrre il maggior numero possibile di contenuti da condividere sul numero maggiore di piattaforme possibile, diventando così, di volta in volta, tiktokers, instagrammers, streamers.
Sono loro che hanno fatto di YouTube il sito web col maggior tasso di crescita nella sua storia decennale, decretandone il successo e ritagliando per essa un posto privilegiato nel panorama della cultura contemporanea. Un’importanza certificata anche dalla straordinaria capacità che YouTube ha avuto di creare un’estetica tutta sua, facendo quello che tutti i media digitali sanno fare meglio, ovvero rimediare gli altri mezzi di comunicazione, come spiegano bene J.D. Bolter e Richard Grusin nel loro Remediation, vero e proprio testo chiave dei media studies.
Prendendo un prestito una serie di elementi dalla televisione, il mezzobusto per esempio, e dal cinema, il montaggio, gli utenti della piattaforma li hanno adattati al linguaggio roboante ed esagerato tipico della cultura internet creando una serie di format altamente riconoscibili, che si sono diffusi con grande rapidità in tutto il mondo. La reaction, ovvero la reazione a qualcosa che sta accadendo; il tutorial, ovvero un manuale d’istruzione, se ne trovano per fare praticamente ogni cosa; il gameplay, ovvero una sessione di videogame. Questi sono solo alcuni esempi, ma ce ne sono moltissimi altri da scoprire.
Una parte, consistente a dire il vero, di questa crescita e di questo successo spetta però a Google che, come il tutore saggio e buono di un romanzo di formazione ottocentesco, ha preso sotto la sua ala YouTube, acquisendola nel 2006, quando il servizio di condivisione video sembrava ancora un brutto anatroccolo, nero e un po’ strambo in cui nessuno credeva veramente. Così, sotto la sua guida, YouTube si è trasformato in quello strumento remunerativo e assai diffuso che è diventato in questo momento.
Eppure, nonostante questo successo, YouTube, che diventa maggiorenne, appare un po’ stanco, appannato. Discutibili scelte di design e management sembrano avergli tolto un po’ dello smalto dei bei vecchi tempi e una schiera di ragazzini agguerriti gli si fa dappresso per insidiare il suo primato. Se Instagram con le sue Stories, TikTok coi suoi video o Twitch con le sue dirette sapranno davvero togliergli lo scettro e la corona è una sentenza che spetterà ai posteri pronunciare. Per il momento, YouTube è ancora in vetta alle piattaforme social più utilizzate. Quindi ci limitiamo a fargli gli auguri. Buon dolce sedicesimo, caro YouTube.
Foto di apertura di Szabo Viktor da Unsplash