Ci sono sempre più manifestazioni contro il turismo di massa

Quella di Barcellona è solo l’ultima di una serie di proteste contro un fenomeno apparentemente paradossale: alcuni luoghi rischiano di essere distrutti  dall’interesse che suscitano nel mondo.

Il tema del turismo di massa è sempre più dibattuto, in primis dagli abitanti di quei luoghi che più degli altri ne vengono presi di mira, con gravi conseguenze sulla qualità della loro vita, così come sugli ecosistemi urbani e meno impreparati per far fronte a una tale mole di visitatori.

Se per anni – si potrebbe dire dai primi esempi di trasformazione turistica del territorio a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, con la nascita delle “riviere”, in Italia, in Francia e in Spagna – l’opinione pubblica tendeva a criticare malamente le lamentele di chi col turismo di massa doveva farci conti, oggi la sensibilizzazione su un turismo più sostenibile, variegato e consapevole si sta per fortuna diffondendo sempre di più, in parallelo anche alla crescente attenzione delle istituzioni, che hanno comunque intravisto l’importante margine di rientro economico nel far scoprire anche itinerari meno battuti, per quanto anche questa opzione porti con se rischi sociali e ambientali non indifferenti.

Foto da Flickr

Quel che è sicuro è che i cittadini di alcune città che hanno subito una violenta “turistificazione” sono stanchi, e in particolare in Spagna iniziano a far sentire la loro voce scendendo in piazza, come dimostrano il recente caso di Barcellona, in cui sabato pomeriggio migliaia di persone hanno manifestato per le strade intonando: "Turisti, andate a casa!" e spruzzando alcuni di loro con pistole ad acqua. Si tratta della prima grande manifestazione sul tema del turismo, organizzata da più di cento associazioni e guidata dall’Assemblea de Barris pel Decreixement Turístic (Assemblea dei quartieri per la decrescita turistica), secondo cui sarebbero stati presenti 20mila abitanti (mentre secondo la polizia locale sarebbero stati meno di 3mila).

Quella spagnola è una vera e proprio ondata di proteste, che oltre a Barcellona ha coinvolto le Baleari, le Canarie e anche la città di Malaga, che ha subito un cambiamento ancor più radicale dato che fino a poco tempo fa non era un’ambita meta turistica. Ma la Spagna non è l’unica, in Grecia, sull’isola Paros, l’anno scorso, ci fu la cosiddetta “rivolta degli asciugamani”. In cui furono occupate intere spiagge per riappropiarsi dello spazio pubblico, contro i prezzi inavvicinabili degli stabilimenti balneari che si allargano sempre di più.

Ormai da anni diverse realtà endemiche invitano a un ripensamento del modello turistico dominante. Nel caso di Barcellona, infatti, a fronte di 1,6 milioni di abitanti, si contano 30 milioni di turisti all’anno, con un impatto deleterio sulla città e numerosi disagi, diffusi in tutta la città, e non solo nella Rambla, anche se ormai è il simbolo del fenomeno. Uno dei problemi principali è l’aumento iperbolico dei prezzi delle case, sia per quanto riguarda le vendite che gli affitti, che vengono sottratte al mercato immobiliare locale per poter essere affittate ai turisti a prezzi altissimi. Anche l’Italia non è immune da questo fenomeno, basti pensare a casi eclatanti come Venezia, o Firenze, ma anche Napoli e Genova, in cui sembra esserci sempre meno spazio per gli abitanti locali, soffocati da spese stroboscopiche, impossibili da sostenere nel lungo periodo, e che anno dopo anno vedono i loro luoghi cambiare, in nome di un consumo usa e getta, che invece che premiare l’identità e la particolarità di questi luoghi – in teoria tanto apprezzata dai viaggiatori – finisce per raderla al suolo, spesso esclusivamente in nome del profitto. Per tutelare la diversità e la ricchezza dei luoghi che tanto amiamo, in Italia e nel mondo, è importante influenzare le istituzioni anche attraverso iniziative dal basso, e in seconda battuta essere i primi a rispettarli, magari – perché no? – evitando di andarci.

Immagine di apertura: Foto da Flickr

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