Questa intervista è stata pubblicata su Domus 1076, febbraio 2023.
“Le arti, in senso tradizionale, sono strettamente legate. L’architettura non può esprimersi completamente senza che entri in campo la pittura o la scultura. Soprattutto quando ho costruito delle chiese, ho sentito il bisogno di determinare anche l’aspetto iconologico perché consente di trasmettere le idee con maggiore chiarezza di quanto possa esprimere la sola architettura. Sono un architetto iconologo, cerco sempre d’imprimere un significato, magari non immediatamente percepibile, ma che in un modo o nell’altro arrivi al destinatario”. Paolo Portoghesi, architetto, teorico, storico dell’architettura, professore emerito nonché, forse, il più grande esperto di Francesco Borromini della sua generazione, mi guarda e sorride.
A quest’arte rimprovero il fatto che si sia allontanata troppo dal passato. La pittura e la scultura sono nate per rappresentare. Il far vedere la realtà attraverso il filtro degli occhi, della persona e della propria identità è qualcosa d’insostituibile.
Paolo Portoghesi
“Ho vissuto con grandi artisti e devo dire che queste amicizie sono state fondamentali, soprattutto all’inizio della mia carriera: Paolo D’Orazio e Alberto Ziveri, per citarne due. Sono un appassionato di arte, soprattutto astratta, l’ho vista crescere, svilupparsi, quasi con l’intento di cancellare tutto il resto però”. Nell’ultimo periodo della sua ricerca, Portoghesi ha approfondito la relazione tra uomo e natura, ma ha sempre lasciato un posto privilegiato all’arte. “Nella mia definizione le arti sono la pittura e la scultura, essenziali nella mia formazione, nella mia esperienza. Credo sia per questo che vedo con distacco l’arte concettuale, che m’interessa però non mi coinvolge”.
Nella sua casa di Calcata, un piccolo borgo in provincia di Viterbo, appena fuori Roma, dove si è ritirato da molti anni, troviamo opere futuriste, oggetti Art Nouveau e interessanti decorazioni in ogni dove. “A quest’arte rimprovero il fatto che si sia allontanata troppo dal passato. La pittura e la scultura sono nate per rappresentare. Il far vedere la realtà attraverso il filtro degli occhi, della persona e della propria identità è qualcosa d’insostituibile”.
Portoghesi sta scrivendo un altro libro, il tema è la bellezza, che ha come interlocutori ideali gli artisti del futuro. “È un po’ ambizioso, lo so. È un discorso che cerca di convincere i futuri artisti che la bellezza, a prescindere dalle finalità che l’arte può avere, che sono ovviamente libere, è uno strumento per trovare un facile colloquio con gli altri ed è quindi l’elemento più fortemente comunicativo. Lo è a un livello che non è solo quello di dare mentre l’altro riceve. È un qualcosa in cui sia chi dà sia chi riceve è attivo. Entrambi lavorano insieme, perché non c’è niente di meglio tra le aspirazioni dell’artista che quella di trovare il colloquio”.
Siamo nati per colloquiare, diceva Friedrich Hölderlin. Anche per Portoghesi è così. “La bellezza vale anche perché facilita il colloquio e aiuta a superare quelle divisioni di classe che ancora esistono e che, forse, sono diventate più pesanti”.
Immagine di apertura: Paolo Portoghesi (Roma, 2.11.1931) seduto a una scrivania durante un colloquio, a Milano nel 1965. Davanti a lui il volume Dieci manifesti del Partito Socialista Italiano 1905-1925. Photo Adriano Alecchi / Mondadori via Getty Images