Le cravatte di Memphis, storia di un accessorio tra arte e moda

Accanto alle icone dell'arredamento, nel catalogo di Memphis c’erano anche le cravatte, che Domus consigliava ai suoi lettori. Colpirono tra gli altri i Righeira, duo musicale italiano noto per le scelte stilistiche d’avanguardia.

Nel marzo 1985, all’interno della sezione Product Design, Domus 659 consigliava ai lettori – tra una camicia Rifle, un foulard di Krizia e un paio di scarpe Ferrè – la nuova collezione di cravatte Memphis.

L’accessorio era, in realtà, già da anni parte della produzione del collettivo-studio milanese, che a partire dalle sue primissime collezioni aveva esteso al lifestyle il concetto della sovversione della quotidianità domestica operata attraverso l’ironia postmoderna dei suoi arredi. Nel catalogo 1983, di fianco a capisaldi Memphis come la sedia First di Michele De Lucchi, il tavolo City di Ettore Sottsass o la lampada Santa Fe di Matteo Thun, comparivano infatti tessuti in cotone, in una varietà di pattern propri di quelli che tanto stavano contribuendo a rendere celebri gli arredi del marchio. 

Le cravatte Memphis Milano sulle pagine di Domus. Foto: Domus 659, marzo 1985.
Le cravatte Memphis Milano sulle pagine di Domus. Foto: Domus 659, marzo 1985.

Già i futuristi, avevano colto il potenziale di questo capo d’abbigliamento per rompere, attraverso tessuti a fantasia come quelli disegnati da Giacomo Balla nel 1914, con la convenzionalità e la formalità monocromatica della moda maschile del tempo. 

“Fu Balla a togliere alle cravatte quelle stupide tinte unite che sapevano di vecchiezza, di rassegnazione, di timore, di fiacchezza e di tabacco,” scriveva nell’Aprile 1933 il siciliano Guglielmo Jannelli sul numero 34 della testata Futurismo. 

Analogamente, Francesca Picchi su Domus 945 del marzo 2011 ricorda la connotazione artistica e destabilizzante assegnata alla cravatta dalle avanguardie tra le due guerre citando un intervento del 1926 dell’olandese Theo Van Doesburg sulla rivista De Stijl: “Se uno vuole mettere un secchio per terra: immediatamente il gran sacerdote dell’Arte viene a dirci ‘che turba l’armonia della strada, o l’armonia della città o il paesaggio’…Cartoline, francobolli, pipe, biglietti, pot de nuit, ombrello, asciugamano, pigiama, sedia, coperte, fazzoletto, lampade, stufe, cravatta…tutto è Arte”.

Le cravatte di Memphis Milano erano un caposaldo del look dei Righeira, il duo torinese che negli anni '80 aveva dominato le classifiche internazionali con brani come Vamos A La Playa. Foto: Archivio Ragazzi di Strada.
Le cravatte di Memphis Milano erano un caposaldo del look dei Righeira, il duo torinese che negli anni ’80 aveva dominato le classifiche internazionali con brani come Vamos A La Playa e No Tengo Dinero. Foto Archivio Ragazzi di Strada

A cogliere, a distanza di decenni e meglio di altri, lo spirito dissacratorio e la cifra di design delle cravatte furono i Righeira, duo torinese che negli stessi anni era balzato in cima alle classifiche italiane (e non) infilando una serie di singoli perfetti come Vamos a la Playa, No Tengo Dinero e L’Estate Sta Finendo

Si può dire che nella loro immagine – che dai costumi di scena si estendeva agli artwork dei dischi, ai videoclip e, più profondamente, alla filosofia dietro le loro composizioni – i Righeira incarnassero nell'industria musicale e nella cultura popolare dei primi ‘80 quello che Memphis rappresentava nel più elitario mondo del design.

Le loro performance televisive, che uniscono l'haute couture degli ‘80 (Jean-Paul Gaultier, Calugi e Giannelli) a riferimenti estetici di una Space Age post-atomica e di una new wave giocosamente autarchica, sono spesso impreziosite da cravatte con stampe Memphis, come Schizzo di Sottsass o come quella rosanero di George James Sowden utilizzata per la sua poltrona Oberoi. In alcuni casi, addirittura, le cravatte venivano indossate due alla volta, accentuando la dimensione iperbolica, ma non certo superficiale, del nonsense righeriano.

I Righeira erano soliti indossare cravatte Memphis nelle loro esibizioni dal vivo


“Memphis era un caposaldo per noi. Una volta mi presentarono anche Sottsass e Mendini, ma non ci furono ulteriori frequentazioni,” racconta Stefano Righi, in arte Johnson Righeira, fondatore del duo e oggi a capo dell’etichetta discografica e di vini Kottolengo Recordings & Wine.

“Era un periodo molto stimolante dal punto di vista dell’abbigliamento maschile che solitamente è molto più convenzionale. Uno dei pregi degli ‘80 è stato quello di una creatività diffusa in tutti gli ambiti, in cui noi abbiamo sguazzato felici.

Siamo arrivati a Memphis, come a tante altre cose, attraverso un percorso logico e tramite l’attenzione verso la moda, il design, l’architettura e il futurismo. Quando uscì fuori Memphis con i mobili di Sottsass e dei suoi altri designer fu un botto. Si può immaginare quando arrivarono le cravatte come ne fummo entusiasti, corremmo ad accaparrarcene diverse. Una delle mie preferite era rosa con il Bacterio di Sottsass.”

Sulla copertina dell'omonimo disco di debutto del 1983 i Righeira racchiudono il loro universo iconografico, tra futurismo, design e  new wave.
I Righeira posano con cravatte Memphis, 1983 Foto Archivio Ragazzi di Strada

Nel 1983, il loro omonimo disco di debutto li vede posare in copertina con cravatte Memphis in un immaginario museo sospeso tra cenni di futurismo un allestimento di Alchimia; che a pochi mesi di distanza disegnerà la copertina per l’album Aristocratica dei Matia Bazar. Il video di No Tengo Dinero, realizzato da Pierluigi De Mas, storico e pluripremiato autore di caroselli RAI, anima questo ambiente, introducendo riferimenti al De Stijl di Mondrian e riproducendo i disegni di Antonio Sant’Elia e la sua La Città Che Sale. “È ovvio che non si spiegasse ciò a Pippo Baudo quando la canzone fu scelta come sigla di Buona Domenica”, scherza Johnson Righeira.

Righi riflette su come all’epoca il successo fulmineo e nazional popolare dei Righeira ne eclissò la più profonda ricerca sul design, alienandoli dai favori del sottobosco controculturale da cui si sentivano provenire e al tempo stesso costringendoli a dialogare con un pubblico che, pur avendone decretato il successo, non ne comprendeva i riferimenti artistici. 

Con le acconciature scolpite dallo storico coiffeur bolognese Orea Malià e regolarmente citati per i loro look dalle classifiche delle riviste di moda degli ‘80, i Righeira giravano l’Italia e l’Europa alla ricerca di capi d’abbigliamento unici con cui amavano interferire in maniera del tutto personale con lo styling dei costumisti. Ne sono un esempio le cravatte Memphis che Johnson ricorda fossero state acquistate dal duo di tasca propria. 

Il video di No Tengo Dinero animato da Pierluigi De Mas per i Righeira riproduce i disegni di Antonio Sant'Elia e le opere di Mondrian


“Se avessero fatto le camicie avremmo comprato anche quelle,” scherza Johnson. Come testimoniato da Domus 659, sarebbero arrivate anche quelle nel 1985. Un lotto di 12 esemplari facente parte della collezione Memphis di Dennis Zanone (una delle più grandi al mondo assieme a quelle dello stilista Karl Lagerfeld e di un’altra pop star: David Bowie) è andato all’asta nel 2019.

L’uso della cravatta fatto dai Righeira era tutto fuorché quello di un mero accessorio dal sapore retrò, ma quello di veicolo di zeitgeist. E il fatto che la scelta fosse ricaduta su Memphis non è certo una casualità. Come annota Pier Vittorio Tondelli nel suo Un Weekend Postmoderno (Bompiani, 1990) la gioventù new wave degli ‘80, grazie a figure come i B-52s, David Bowie e, in origine, la Patti Smith ritratta da Robert Mapplethorpe sulla copertina di Horses, era stata riconciliata con la cravatta, non più un’imposizione istituzionale e parentale a cui si era ribellata la generazione del lungo Sessantotto, ma “un prestigio”, “rigorosamente nera, sottilissima, in seta” con “il nodo solitamente strettissimo e a forma di trapezio rovesciato”. 

Una riflessione che oggi fa il giro e ritorna attuale con l’uso volutamente dissacratorio della cravatta, dai richiami punk e indossata allentata, fatta – per citare ancora Tondelli – dalla nuova “fauna d’arte” nelle strade e nei contenuti di Tik Tok.

I Righeira indossavano le cravatte Memphis anche due alla volta, accentuando la dimensione iperbolica della loro arte. Foto: archivio Ragazzi di Strada.
I Righeira indossavano le cravatte Memphis anche due alla volta, accentuando la dimensione iperbolica della loro arte. Foto Archivio Ragazzi di Strada

Un atteggiamento che, secondo Johnson, era da ricollegare al clima culturale dell’epoca, un’onda febbrile di cui i Righeira come altri creativi a loro contemporanei facevano parte. 

C’era Milano, città in cui il duo si trasferisce una volta scoppiata la febbre di Vamos a la Playa, dove il clima culturale era pregno delle trovate di Memphis, delle creazioni di Jean-Paul Gaultier, e dove i ritmi dell’eclettismo mondano erano dettati dalle visioni che si concretizzavano tra le mura del Plastic.

Ma anche la scena dei pittori della natia Torino, con esponenti quali Raffaello Ferrazzi, Pierluigi Pusole, Daniele Galliano, Bruno Zanichelli alias Pennarex e Ugo Nespolo a cui Righi riconosce un tratto futurista comune a certe sue intuizioni creative. 

D’altronde, il futurismo rappresentava un fil rouge concettuale per i Righeira, che lo vedevano come un reset dello status quo artistico e del costume, tanto quanto il punk, tra le prime ispirazioni dell’artista, che ne conserva oggi l’attitudine. 

Gli accessori tecnologici pensati da Michele De Lucchi per Memphis raccontati da Francesca Alinovi su Domus. Foto: Domus 617,  maggio 1981.
Gli accessori tecnologici pensati da Michele De Lucchi per Memphis raccontati su Domus da Francesca Alinovi. Foto: Domus 617, maggio 1981.

Memphis e i Righeira lo avevano senza dubbio intuito. Sono anni questi in cui l’accessorio a trame postmoderne spopola, flirtando con una controcultura giovanile frizzante che, accantonando la militanza politica, si apre al gusto estetizzante per l’arte e il design, e esercitando la propria influenza, più che in altri decenni, sulla cultura dominante, complici testate come Frigidaire o contenitori di video musicali come Mister Fantasy, con pezzi di Memphis a scandirne lo studio. Lo annota Francesca Alinovi su Domus 617 del maggio 1981 commentando i registratori stereofonici e i televisori 9” portatili pensati (e rimasti solo su carta) da Michele De Lucchi per Memphis.

“Gli apparecchi portatili di De Lucchi, decorati con righine bianche e nere come stoffe ska, o a patterns iridescenti alla Balla, prolungati da peduncoli gialli-rosa-verde-azzurri diventano con le loro cinghie multicolori accessori essenziali dell’abbigliamento di chi li indossa, come la cravatta o la giacca da passeggio”. 

Siamo certi che avrebbero fatto una certa figura al collo o alla vita dei Righeira, accanto alle adorate cravatte Memphis, a aprire scorci sul futuro dal palcoscenico di uno studio RAI o di un festival canoro estivo. 

Immagine di apertura: Sulla copertina dell’omonimo disco di debutto del 1983 i Righeira racchiudono il loro universo iconografico, tra futurismo, design postmoderno e new wave

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