Domus Academy 1983, Milanofiori, anno di Fondazione. È inizio ottobre e una quarantina di giovani, vincitori di una borsa di studio, si ritrova per partecipare al primo Master in design della neonata scuola. Hanno alle spalle una laurea in architettura, design o discipline affini, e provengono da tutto il mondo. Tra gli Italiani c’è Marco Romanelli. Triestino di nascita (1958), ligure di formazione, si è appena laureato a Genova in architettura. I professori sono stellari: Bellini, Branzi, Ferrè, Sottsass, Trini Castelli, ma anche Restany e Meda.
Per raccontare Marco Romanelli voglio partire da qui, dal primo giorno a Milano, dal ricordo dell’emozione e della curiosità del trovarsi catapultati nell’epicentro mondiale del design. Una città che diventerà per la maggior parte di noi la città di adozione, dove fermarsi, se non per sempre, per un lungo periodo.
Marco percorre le tappe della professione in velocità, con agilità e naturalezza. Ha l’apertura di chi è nato e cresciuto guardando l’orizzonte, il mare. Un’apertura che con la conoscenza profonda della storia e della cultura del progetto lo porta a occuparsi di design a tutto tondo. È un professionista eclettico che spazia dal giornalismo e dalla critica del design alla curatela di mostre, libri e cataloghi, fino al progetto d’interni e del prodotto, alla consulenza per le aziende del settore, alla didattica universitaria.
Lo formano i primi anni da redattore a Domus, diretta da Mario Bellini, a cui faranno seguito gli anni di Abitare e Inventario, fino all’Osservatorio del Salone del Mobile. Giornalista e saggista, scrivere gli è lieve, ha una bellissima penna. Impossibile citare le molte monografie dedicate a progettisti, i cataloghi di mostre, i saggi per editori quali Abitare Segesta, Bellavite Editore, Corraini, D.E., Electa, Fam Publishing, Silvana Editoriale, Marsilio Editore, Skira.
Le mostre sono occasione di riflessione e approfondimento, quasi un dialogo ad alta voce tra lui e i fruitori del design, lo accompagnano durante tutto il suo percorso: dalle prime sofisticate per l’Associazione Jacqueline Vodoz e Bruno Danese alle ultime intime al Diocesano e a S. Eustorgio, a quelle di peso nei musei internazionali come quelle sul vetro al Correr di Venezia e a Murano. Ancora, la mostra su Ponti a Londra, Rotterdam e in Triennale, le esposizioni dedicate al gioiello, quelle su progettisti di ogni epoca tra cui Munari a Tokio, Parisi e Frattini alla Villa Reale di Monza e la nuova generazioni di progettisti quali Damiani, Parruccini, Ulian in Triennale e al Castello di Milano, la storia del design Italiano per RCS ai mercati Traianei di Roma, poi divenuta itinerante.
La curatela necessita studio, metodo, catalogazione, analisi e ha punti di contatto con la didattica che Marco Romanelli affronta tenendo corsi al Politecnico e allo IULM di Milano.
Nulla gli riesce difficile. Poco politico, elegante, signore, una educazione quasi da altri tempi, è apprezzato per le sue qualità umane oltre che professionali. “Un carattere avvolgente, ti faceva sentire bene”, ricorda la designer Antonia Astori, fondatrice con il fratello Enrico e Adelaide Acerbi di Driade, azienda cui Marco Romanelli è legato da una collaborazione per il marchio Atlantide. Molti altri i rapporti di lunga durata come art director o consulente di design: Oluce, Marazzi, Montina, Poltrona Frau.
Ma Romanelli è anche progettista di molti raffinati interni, case borghesi, con una visione un po’ pontiana, sempre colta. Una cultura che è per lui tradizione di famiglia e dunque spontanea, naturale. Con Marta Laudani firma, in un sodalizio duraturo negli anni, progetti di design per molte aziende italiane. Difficile dire in quale campo dei molti che ha attraversato il suo apporto è stato più incisivo. Forse la sua critica sagace sempre attenta? Personalmente voglio ricordarlo con il suo sense of humor, mai fuori posto, brillante e spiazzante. Partecipammo entrambi a un piccolo libro intitolato Italianità, Edizioni Corraini, su oggetti simbolo dell’Italia, voluto da Giulio Iacchetti. Il testo di Marco tra tutti è senza dubbio il più divertente. “Figurine Panini” racconta la sua infanzia, la scuola, i compagni, lo scambio di figurine “Celo, Celo, Manca” e guarda, con ironia, intelligenza, profondità e un po’ di rimpianto, al mondo e alla vita.