“Sono un designer manqué”. Derrick de Kerckhove sorride e mi fissa, illuminato dalla luce di una domenica pomeriggio troppo calda per essere a gennaio. Tra i massimi teorici dell'era elettronica - parole del suo maestro Marshall McLuhan - lo incontro nei locali di Domus Academy prima della lezione che terrà in apertura dell'Interaction Week, l’evento dedicato “al design e alle sue conseguenze”, che quest'anno si tiene per la prima volta a Milano. Risale al 1991 la pubblicazione de The Skin of Culture (versione Italiana, La pelle della cultura 1995), un libro all’epoca della pubblicazione illuminante, poi di culto; a rileggerlo oggi, quasi profetico. La nostra conversazione, tutta in italiano, puntellata qua e là da un po' di inglese e francese, comincia sulle sponde del Lago di Garda, quando Derrick ha 4 anni e in vacanza con la famiglia parla un italiano fantastico con il fratello e un amico, continua tra Pakistan e Nuova Dehli, dove vive tra i 6 e i 9 anni, impara l’urdu e soprattutto prende coscienza del design, “non come design, ma come forma, perché lì è tutto forma”, e si conclude nella desolazione digitale che si è propagata dal Wuhan con il coronavirus: “una cosa assurda sarebbe se il coronavirus si inventa a partire da una condizione psicosociale planetaria”, spiega de Kerckhove, inserendo la vicenda nel quadro teorico della ricerca sul quantum a cui sta lavorando insieme a Stefano Calzati, “un brillante assistente e ora coautore” che lavora con lui al Politecnico di Milano, dove il teorico canadese, nato in Belgio, insegna Antropologia delle comunicazioni. “Questo era il quarto anno, spero di farne un quinto, mi piace”, sottolinea lui.
E l’assistente digitale diventò il nostro padrone
La centralità del designer, l’amore per l’Italia e la sua umanità, il coronavirus: abbiamo incontrato Derrick de Kerckhove, il grande indagatore della realtà elettronica.
View Article details
- 05 febbraio 2020
Come si trova a insegnare a studenti di design?
È un dono, perché hanno una cosa speciale: l'immaginazione. Poi mi interessano perché la variazione culturale tra loro è estremamente ricca. Molti sono cinesi. Gli studenti sono obbligati ad aggiustarsi alle differenze culturali, che sono vere, ma al tempo stesso devono imparare l'altro.
È un corso teorico o lavorate su progetti concreti?
Anche su progetti, per esempio abbiamo provato una esperienza di creazione di comunità come sistema di design. È nato quasi per caso, dovevo comunicare al Politecnico su cosa avremmo lavorato e quel giorno ho letto una notizia particolare: il Molise dà 700 euro al mese a chi si trasferisce lì per almeno tre anni. La mia per l’Italia è una situazione di vero amore. È uno dei pochissimi paesi dove l'umano continua a essere. Ma l’organizzazione politica e burocratica degli italiani è “fuori dal melone”(sic) !
Si parla parecchio di design già nel suo libro del 1991, “La pelle della cultura”.
C'è molto sul design anche se non ho mai avuto una educazione in design. Ma come si dice da queste parti, “don't wait for the expert, become one yourself”. Poi mi sono appassionato alla problematica delle scritture non come design ma come infrastrutture della cognizione.
Il ruolo del designer è essenziale nel mondo del digital twin
In quel libro Babele e Gerico invece diventavano “metafore architettoniche per catastrofi tecnologiche”.
Sì, un racconto è quello di Babele e Gerico come problematica di design e sensoriale, sensoriale soprattutto per Gerico. L'idea della tromba è che creasse una vibrazione che una muraglia senza cemento avrebbe sentito fortemente. Con l'idea che i muri cadono per la musica, però per ragioni meno mitiche: come a Berlino, dov'è successo perché motivato da un concerto rock sotto i muri dal lato ovest. Tutto questo continua a interessarmi.
Un intero capitolo era dedicato al cyberdesign.
Il cyberdesign è l'evidenza che una parte del design era di natura interattiva, ma a un livello psicologico, prima di esserlo come interfaccia uomo-macchina. Questa sensibilità oggi è molto forte.
Rileggendo La pelle della cultura, ci si accorge che rispetto allo scenario degli anni Novanta sono cambiati i dispositivi, ma il quadro teorico si adatta ancora bene alla nostra realtà.
Questo libro racconta i semi di qualcosa che ora sta fiorendo, ma va moltiplicato per cento e per mille. Sono solo alcuni Fleurs du mal, citando Baudelaire. Un editore cinese mi ha chiesto di ritradurre questo libro che oramai ha trent'anni e allora ho pensato ad aggiornarlo adattandolo alla Cina di oggi, che è una sfida un po' più grande. Non ho potuto farlo per tutti i capitoli, ma per almeno una dozzina ci sono riuscito. E allora mi è venuto in mente che avrei potuto fare un libro aggiustato per ogni lingua in cui è stato tradotto, ovvero una quindicina di edizioni differenti. Ho provato con i francesi ma è difficile. Forse perché ci vivo dentro.
La tecnologia sta cambiando la figura del designer?
Il ruolo del designer è essenziale nel mondo del digital twin.
Gemello digitale?
Immagina che nel nostro smartphone ci sia il gemello digitale, una entità fatta di big data immediatamente scannerizzati e analizzati per dare la risposta più pertinente sul tuo destino, la tua salute, prossimo lavoro da fare, chi sposare o no. Tutto questo diventa una estensione fenomenale dacché il bambino crescente si chiama Alexa (l’assistente digitale di Amazon, NdR). E questo è un problema gravissimo anche perché noi continuiamo a pensare che il centro decisionale sia all'interno del nostro corpo. È di questo che parlerò più tardi davanti alla platea dell’Interaction Week.
Quello della consapevolezza nell’uso della tecnologia è un grande tema. Una statistica racconta che oggi metà degli americani usa la realtà aumentata senza saperlo.
La realtà aumentata oramai è data per scontata, la usiamo senza chiamarla così. Anche quando usi il computer è realtà aumentata, il puntatore del mouse che si muove è il mio modo di penetrare nello schermo del mio laptop. Usare il navigatore è una realtà totalmente aumentata. Talmente aumentata che i tassisti di Roma non sanno più dove siano i posti, però il loro navigatore lo sa.
Alla fine degli anni Ottanta e nel corso degli anni Novanta più che di realtà aumentata si parlava di realtà virtuale. E ultimamente è tornata alla ribalta anche con il lancio dei vari visori Oculus su cui Zuckerberg ha investito in prima persona. Io non penso che vivremo dentro una realtà virtuale a meno che nello scenario che accennavo prima: dal tuo punto di vista interiore se hai un sistema che prende le tue decisioni per te, hai una esternalizzazione del tuo sé. E gli algoritmi si prendono cura della tua intelligenza. Questa è una grande problematica di un designer, quale tipo di relazione possiamo stabilire con il nostro gemello digitale. Con Alexa ragazzo, con Alexa!
Interaction Week, organizzata dalla Interaction Design Association e dal gruppo IxDA di Milano e Torino, si svolge a Milano fino al 7 febbraio.