#legoforaiweiwei

La vicenda di Lego che rifiuta di inviare ad Ai Weiwei un grosso quantitativo di mattoni a causa del contenuto politico dell’opera d’arte ha scatenato un dibattito mediatico, ed è diventata l’occasione per una riflessione sul potere di internet, ma anche su cos’è la censura.

Photo from Ai Weiwei's Instagram account
Nel settembre 2015 Lego ha rifiutato di vendere allo studio di Ai Weiwei un grosso quantitativo di mattoncini Lego per un’opera sulla libertà di espressione, concepita per la mostra “Andy Warhol / Ai Weiwei” – in programma a dicembre alla National Gallery of Victoria di Melbourne – in quanto “non è possbile autorizzare l’uso di Lego per opere politiche”.
Ai Weiwei ha pubblicato la notizia sul suo account Instagram venerdì 23 ottobre. 

La posizione di Lego ha innescato un moto di indignazione sui social media. Numerosi sostenitori si sono offerti di donare i noti mattoncini all’artista cinese, molti con l’hashtag #legoforaiweiwei.
Photo from Ai Weiwei's Instagram account, posted on October 23, 2015
Foto dal profilo Instagram di Ai Weiwei, pubblicata il 23 ottobre 2015

In un’email inviata il Guardian, l’azienda danese ha confermato che l’ordine è stato respinto per motivi politici, specificando che il principio “non è nuovo”.

Il portavoce di Lego Roar Rude Trangbæk ha detto: “Ogni individuo può naturalmente acquistare o accedere ai mattoncini Lego in altri modi per creare i propri progetti Lego se lo desidera, ma come società, abbiamo scelto di astenerci da queste attività – per esempio attraverso l’acquisto all'ingrosso”.

“Nei casi in cui riceviamo richieste di donazioni o il sostegno di progetti – così come la possibilità di acquistare i mattoncini in grandi quantità – se  siamo consapevoli che il contesto di uso è politico, decliniamo gentilmente il nostro sostegno”.

Photo from Ai Weiwei's Instagram account, posted on October 24, 2015
Foto dal profilo Instagram di Ai Weiwei, pubblicata il 24 ottobre 2015

In risposta al rifiuto di Lego e al grande coinvolgimento dell’opinione pubblica, Ai Weiwei ha ora deciso di creare un nuovo lavoro per difendere la libertà di parola e di “arte politica”, che parte dalla creazione di punti di raccolta dei mattoncini in città diverse.

Installando un auto nel proprio giardino, la National Gallery of Victoria ha deciso di essere il primo di questi punti di raccolta, seguito dalla Martin-Gropius-Bau di Berlino, dalla Royal Academy di Londra e dalla Kunsthal Charlottenborg di Copenhagen.

La storia ha avuto una grande eco mediatica, con posizioni a favore o contro l’artista cinese. Tra queste ultime è particolarmente interessante il punto di vista di Jonathan Jones, che sul Guardian riflette sulla differenza tra un atto di censura e discriminazione e quella che lui vede come “una maldestra mossa di PR”.

Photo from Ai Weiwei's Instagram account, posted on October 25, 2015
Foto dal profilo Instagram di Ai Weiwei, pubblicata il 25 ottobre 2015

La vicenda è stata anche l’occasione per una riflessione sul potere di Internet: “Internet è come una chiesa contemporanea. Vai a lamentarti da un sacerdote e tutti nella comunità possono condividere i tuoi problemi” ha detto Weiwei in una conferenza stampa lunedì. “Penso che la mia casa è su internet. – ha continuato – Twitter è la mia casa e la mia nazione e mi ci sento a mio agio. Del resto, non mi interessa più di tanto la vita materiale. A volte ci sono materiali che mancano, come i Lego di cui avrei bisogno per il mio lavoro, ma va bene.”

Durante il suo intervento alla Universität der Künste Berlin – dove sta per iniziare a insegnare con un incarico per tre anni – Weiwei ha anche annunciato che uno dei suoi progetti si concentrerà sulla crisi dei rifugiati: “Io non voglio trasformare gli studenti in attivisti per i profughi, ma fare in modo che si confrontino con questo problema, in modo che possano capire meglio la realtà e come integrarla nelle loro opere artistiche”.

© riproduzione riservata

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