Too early, too late

La mostra cerca di analizzare, attraverso l’arte, i luoghi comuni che hanno accompagnato lo scontro e il confronto tra la tradizione orientale e la modernità di matrice occidentale.

La mostra Too early, too late. Middle East and Modernity, a cura di Marco Scotini, con la presenza di quasi sessanta artisti e documenti storici, indaga il rapporto dell’Oriente con la modernità occidentale e racconta la complessa struttura sociale di un’“area culturale” in transizione.

Allestita negli spazi delle esposizioni temporanee della Pinacoteca Nazionale di Bologna, si estenderà anche all’interno delle collezioni del Trecento (da Vitale da Bologna alle scuole tardogotiche), per sottolineare il fatto che Bologna “la dotta” era tra le cinque città (con Parigi, Oxford, Avignone e Salamanca) in cui il Concilio di Vienne del 1312 decise l’istituzione delle cattedre di arabo, ebraico e siriaco, ovvero le basi dell’orientalismo nell’Occidente cristiano. Ma la data che segna l’irruzione della modernità nel campo discorsivo del pensiero musulmano coincide con l’impresa Napoleonica in Egitto (1798), quando Bonaparte sbarcò col suo esercito per esplorare il Paese.

Too early, too late. In apertura: Mona Hatoum, Bukhara (multicoloured), 2008, dettaglio, lana e cotone, 106x162 cm. Courtesy Collezione Barillari, Roma. Photo Ela Bialkowska. Qui sopra: a sinistra, Ghadirian-Shadi, Qajar#17-(due-donne), 1998. Fotografia in-b/n, 90x60 cm. A destra, Ghadirian Shadi, Qajar#18-(radio), 1998. Fotografia in-b/n, 90x60 cm. Collezione Giuseppe Iannaccone. Courtesy l'artista

Ricostruzioni documentarie e materiali originali d’archivio si alternano a opere d’arte di natura installativa, fotografica e filmica, in modo tale da sottolineare alcuni passaggi fondamentali delle vicende culturali e politico-sociali di questa progressiva occidentalizzazione dell’Oriente – dall’introduzione dello ‘stato-nazione’ all’importazione delle spettacolari istituzioni museali negli Emirati Arabi – attraverso alcune testimonianze storiche per interrogare la produzione artistica e culturale più recente, proiettando la macchina espositiva in una pluralità di tempi, spazi e narrazioni.

Emily Jacir, Untitled (fragment from ex libris), 2010-2012, C-print and shelf, 294 cm. Collezione privata Torino. Courtesy Alberto Peola, Torino

Nell’urgenza della situazione geopolitica in atto, la mostra Too early, too late cerca di analizzare, attraverso l’arte, i luoghi comuni che hanno accompagnato nel tempo lo scontro e il confronto tra l’idea di una tradizione orientale rispetto alla modernità di matrice occidentale. “Con il collasso dell’Unione Sovietica – scrive il curatore della mostra Marco Scotini – il bipolarismo della Guerra Fredda sembra sia stato sostituito da una nuova dicotomia, quella tra Islam e Occidente, così come il vuoto lasciato dall’alternativa al capitalismo sembra sia stato colmato da identità nazionalistiche, etniche e religiose. Alla vecchia opposizione “politica” sarebbe subentrato piuttosto un “conflitto di civiltà”, a diversi regimi temporali, tra forme culturali arcaiche e avanzate, con l’idea di modernità (al-hadatha) quale discrimine.

Too early, too late. Kader Attia, Open your eyes, 2014. Due set di diapositive in b/n e colore. Collezione E. Righi. Courtesy l'artista e Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins. Photo Andrea Rossetti

Medio Oriente è un termine geopolitico europeo coniato da un giornale inglese alla svolta del secolo scorso. Da allora ha continuato a esistere più come oggetto teorico che come regione geografica. Così viene assunto in Too early, too late per rappresentare un’area che si estende anche al Nord Africa, Caucaso e Asia Centrale, tanto più che il centro di gravità tende a spostarsi dal mondo arabo a quello turco-iranico: dall’Egitto all’Iraq e all’Arabia Saudita, così come dall’Azerbaijan ai margini del Kazakistan e dell’Afghanistan. Proprio a causa della loro particolare posizione, Istanbul e la Turchia rivestono nella mostra un ruolo cruciale quale porta d’Oriente, sia in senso geografico che politico, a partire dalla Repubblica di Ataturk del 1924.

Too early, too late. Mona Hatoum, Vitrine, 2006. Pasta, vetro, metallo, legno. Fondazione MUSEION Bolzano, Collezione E.Righi. Courtesy Galleria Continua, San Gimignano. Photo Ela Bialkowska

L’esposizione non tenta di registrare o riscrivere una storia, pur confrontandosi con un ampio spettro di accadimenti epocali, né di affrontare in una prospettiva post-orientalista i codici visivi e linguistici delle rappresentazioni dell’Oriente da parte dell’Occidente. Cerca piuttosto di ricostruire l’incontro dell’Occidente con il mondo musulmano e, concentrandosi sulla scena artistica contemporanea, si posiziona intorno a un preciso “punto topografico”, da cui osservare quest’area aprendo a una costellazione tematica che articola lo spazio espositivo e discorsivo della mostra attraverso una serie di concatenamenti,
a partire dal ritrovamento dell’unica copia rimasta dei filmati di Tel al Zaatar (1977) e attraverso il quadro tracciato dal “Taccuino Persiano” di Michel Foucault per il Corriere della Sera sull’insurrezione pro-Komeini a Teheran (1979).

Too early, too late. Mahmoud Bakhshi, Talk Cloud, 2014. Istallazione luminosa con audio 1.80x50. Collezione Rebecca Russo. Courtesy Thaddeus Ropac, Paris

Fino al titolo della mostra Too early, too late, tratto dal film sull’Egitto di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet Trop tôt/Trop tard del 1981 che ridefinisce i confini negoziabili del tempo storico. Vero e proprio capolavoro della storia del cinema, il film si concentra sulle lotte contadine della Francia del 1789 e dell’Egitto del 1952. Diviso tra la campagna bretone e quella egiziana, nella prima parte una voce fuori campo legge il testo di una lettera di Engels a Karl Kautsky del 1897 a proposito di ciò che rimane della rivoluzione francese. Nella seconda parte viene recitato un frammento dalla postfazione del libro La lutte des classes in Égypt de 1945 à 1968 di due autori arabi che scrivono sotto lo pseudonimo di Mahmoud Hussein (Maspero, 1969). Per tutto il film la nota coppia di cineasti cerca di inquadrare l’orizzonte della campagna deserta trovando un punto di vista ideale tra il cielo e la terra, lì dove Engels avrebbe precisato “se la Comune del 1793 con le sue aspirazioni di fraternità è venuta troppo presto, Babeuf a sua volta è giunto troppo tardi”.

Too early, too late. Said Atabekov, Dervish & Baltic Sea, 2003. B/W print, 41x30 cm. Collezione Privata, Milano. Courtesy Laura Bulian Gallery

Uno dei pochi film in cui si è tentato di filmare il vento (Serge Daney), così la metafora di questo secondo capitolo espositivo è ancora una forza invisibile,
qualcosa che c’è ma non si vede: dal vento che scuote gli alberi della campagna prima francese poi egiziana, nelle sequenze di Straub-Huillet, al vento dei processi rivoluzionari che rovescia l’ordine della storia. Una revisione dello sguardo sull’Oriente offre, in un segmento spazio-temporale differente, quello della mostra, una diversa narrazione, tra percorsi di dominio e di emancipazione.

Vahap Avsar, Ipdal series, 2010, C-print, 120x154 cm. Collezione privata, New York. Courtesy the artist and Rampa, Istanbul