Una possibile prospettiva da cui osservare Venezia e la sua Biennale è offerta dalla mostra a cura di Alison M. Gingeras e Francesco Bonami. Mapping the Studio per il museo di Punta della Dogana, recentemente ristrutturato dall’architetto forse atteso per la contemporanea Biennale del cinema che gli ha quindi impedito di essere presente a quella di architettura: Tadao Ando.
Qui, al centro di una sala, intorno ai volti di una donna che si autoritrae nel patetico sforzo di piacere, Cindy Sherman, un busto - Bourgeois Bust, Jeff and Ilona - rappresenta il suo autore, l’artista newyorchese Jeff Koons insieme alla pornodiva ungherese Ilona Staller, scolpiti nel marmo canoviano come una coppia (eterosessuale n.d.r.) di turisti intenta a immortalare i loro sguardi mentre si incrociano per fingere un bacio, sullo sfondo di San Marco che entra da una finestra a lunetta.
Le opere così allestite disegnano in modo non scontato il complesso rapporto che lega il tema di questa Biennale People meet in architecture alla città trasformatasi nell'icona di se stessa, per lasciarsi inondare da frotte di turisti che la scorrono incessantemente, invadendo ogni suo angolo alla ricerca di un qualche dejà vu, con il famoso campanile e la scritta VENEZIA  in caratteri graziati, colorati e corpo 26.
La metafora della città stessa, suggerita dagli sguardi di Sherman, insieme al profumo intenso dell’incenso, che si avverte attraversando piazza San Marco in prossimità della sua basilica, riescono a riallacciare per un istante Venezia alla sua storia, a popolare di fantasmi le sue calli, a squarciare il velo della sua scenografica decadenza mentre i caffè della piazza propinano melodie sdulcinate come colonna sonora dello spot che ha trasformato i monumenti della Serenissima in altrettante insegne pubblicitarie al neon.
Sono La città archeologica e La città reale proposta nel Modello teorico della civiltà merceologica esposto alla Biennale di architettura 2010 nella mostra Per una Nuova Carta di Atene di Andrea Branzi. Basta sostituirgli la Tour Eiffel con una gondoletta di plastica. Branzi espone infatti in Biennale una serie di modelli analitici che rappresentano altrettanti punti di vista sulla città contemporanea interrogandosi, soprattutto con Interno continuo, sul tema stesso della Biennale con cui il curatore, l’architetto giapponese Kazuyo Sejima invita a riflettere sul  ruolo della folla nell’architettura, che è un ruolo centrale della riflessione teorica dei prossimi anni dal momento che siamo sette miliardi di persone urbanizzate: viviamo in un sistema che non ha più un esterno, in un territorio infinito, monologico e ingovernabile nel quale un’architettura che invece è ancora basata sui perimetri, sulle fondazioni, sulle aree chiuse entra necessariamente in crisi.
La compresenza complessità dei livelli di lettura attraverso i quali è oggi possibile pensare la città, indicati da Branzi nel Palazzo delle Esposizioni, o, se vogliamo, la compresenza di molteplici logiche di progetto- come direbbe Corrado Levi - che si sovrappongono e si avvicendano in ordine temporale, spaziale e concettuale stride con la semplificazione che degli stessi modelli tenta Aldo Cibic in Rethinking Happiness: new realities for changing lifestyles” all’interno dello stesso Palazzo delle Esposizioni.
Scimmiottando il testo di Alain de Bottom The Architecture of Happiness , l’architetto veneziano tenta di materializzare in esempi concreti uno soltanto dei modelli analitici proposti da Branzi, Agronica.Ne consegue la rinuncia alla complessità di lettura del mondo contemporaneo prima, e di progetto poi, candidando Cibic presso la Presidenza del Consiglio per il nuovo progetto di Milano 5, Aquila 3, o Gomorra 1.
Architecture of Happinessappare quindi come un disarmante esempio di ecocrazia illuminata che non sembra  andare troppo oltre al pensiero che aveva ispirato il disegno di Crespi D’Adda e dimostra, almeno secondo Elisa Astori, un industriale italiano in visita alla mostra,  “per lo meno la diffidenza di Seijima nei confronti dell’architettura del bel paese che tale non sembra essere più”.
“Sejima - spiega Branzi--ha invitato soltanto tre italiani: Aldo, Piano e me, due dei quali, Aldo ed io, ci dichiariamo designer e non architetti, il che la dice lunga sulla crisi dell’architettura italiana e della sua carenza internazionale”.
Crisi pienamente dimostrata dalla qualità dei progetti esposti nel sovradimensionato Padiglione Italiano dell’Arsenale nella sezione curata da Luca Molinari Ailati. Riflessi dal futuro, alcuni dei quali davvero imbarazzanti, come, ad esempio  Bulbo/rimbalzi di Attilio Stocchi che ricorda troppo da vicino il lavoro di Eliasson presentato alla  Biennale del 2003 o il tentativo - risulta difficile descriverlo altrimenti - di Italo Rota o ancora quello di definire la qualità (estetica) dell’architettura a priori come conseguenza diretta delle sue finalità etiche di lotta alla mafia. L’etica espressa dal programma è apprezzabile anzi indispensabile, anzi condizione necessaria ma purtroppo non sufficiente a definire una nuova estetica e nemmeno a ribadire quelle superate o condivise.
Del resto non ci si poteva aspettare molto di più dall’architettura di un paese il cui ministro della cultura inaugura uno dei più importanti eventi internazionali di architettura inviando una lettera di tre pagine nella quale si fa carico di spiegare agli architetti l’importanza dell’architettura nella vita civile e, dopo aver descritto la devastazione delle periferie, ventila la possibilità di abolire il piano regolatore responsabile, a suo dire, del degrado dell’architettura in cui versa il nostro paese. 
 Il ministro infine, dopo l’importante lezione di architettura impartita agli architetti, nell’imbarazzo generale di quanti assistevano alla cerimonia di apertura, conclude la sua lettera senza citare né ringraziare il curatore della Biennele e si scusa della sua assenza dovuta ai più urgenti impegni romani.

Immagini
1 Conferenza stampa: Kazuyo Sejima, Paolo Baratta
Photo: Giorgio Zucchiatti
Courtesy: la Biennale di Venezia
2 Cindy Sherman, Untitled, 2007-2008, Color photograph;
Cindy Sherman, Untitled, 2007-2008, Color photograph;
Jeff Koons, Bourgeois Bust – Jeff and Ilona, 1991, Marble;
Foto: Studio ORCH: Fulvio Orsenigo e Alessandra Chemollo
Courtesy Palazzo Grassi SpA.
3 Studio Andrea Branzi
La città reale, 2010 Modello teorico
Civiltà merceologica
Collaboratori: Haruhiko Endo, Bianca Vezzi, Anna Serena Vitale; Coordinamento: Daniele Macchi
4 Studio Andrea Branzi
La città archeologica
Architettura Agricoltura, 2005, Modello teorico
FRAC Centre Collection Orléans
5 Andrea Branzi con Dante Donegani, Antonio Petrillo, Claudia Raimondo, Tamar Ben David
Agronica, 1995
Modello di urbanizzazione debole, modello teorico.
Per Centro ricerche Domus Academy e Centro Design Philips (direttore Stefano Marzano)
Collezione Centre Pompidou, Parigi
6,7 Aldo Cibic
Rethinking Happiness, 2010
© Cibic & Partners
8 Attilio Stocchi
Bulbo/rimbalzi
Padiglione Italiano Biennale di architettura, Venezia 2010
9 Olafur Eliasson
The Blind Pavilion
Padiglione danese Biennale di arte contemporanea, Venezia 2003
© Olafur Eliasson
10 Padiglione Italiano
Ailati. “Laboratorio Italia”Vista d'insieme
Curatore, Luca Molinari
Progetto allestimento, Francesco Librizzi e Salottobuono
Grafica e immagine coordinata, Tankboys Progetto della luce: Mario Nanni
Biennale di Venezia 2010
©Biennale di Venzia