Memphis

“Tutti i progetti di Memphis sono gesti propositivi positivi, non critici, come invece era avvenuto per le poetiche radicali e concettuali” (Barbara Radice, 1981).

Aldo Cibic, Andrea Branzi, Michele De Lucchi, Marco Zanini, Nathalie Du Pasquier, George Sowden, Matteo Thun, Martine Bedin ed Ettore Sottsass, fotografati nel ring disegnato da Masanori Umeda per la prima collezione di Memphis, 1981. Foto © Studio Azzurro. Da Domus 841, ottobre 2001

Memphis non è un movimento o una corrente propriamente detta. Piuttosto, si tratta dell’esperimento di un gruppo di designer, che lo costituisce come una piattaforma di riflessione critica e di progetto, con l’obiettivo di mettere in discussione le estetiche, i materiali e le modalità di produzione dell’industrial design della propria epoca.

Memphis ha una data e un luogo di nascita precisi: il collettivo è fondato ufficialmente l’11 dicembre 1980 nella casa milanese di Ettore Sottsass (1917-2007), che ne è inizialmente la guida. Sono presenti alcuni di quelli che ne saranno i membri principali: Michele De Lucchi (1951), Aldo Cibic (1955), Matteo Thun (1952), Marco Zanini (1953) e Martine Bedin (1957). A loro si aggiungono nel tempo Alessandro Mendini (1931-2019), Andrea Branzi (1938), Nathalie Du Pasquier (1957), Michael Graves (1934-2015), Hans Hollein (1934-2014), Arata Isozaki (1931), Shiro Kuramata (1934-1991), Javier Mariscal (1950) e George Sowden (1942), tra gli altri.

Due figure rivestono un ruolo fondamentale per l’affermazione e per il successo di Memphis: Barbara Radice (1943), giornalista, coordinatrice e direttrice artistica del gruppo, ed Ernesto Gismondi (1931), fondatore di Artemide e presidente di Memphis, a cui assicura il legame indispensabile con il mondo della produzione.

Sono gli stessi fondatori di Memphis a spiegare, con un aneddoto, le ragioni della scelta del nome. Durante il loro primo incontro del 1980 il giradischi si blocca più volte sulla stessa frase della canzone di Bob Dylan Stuck Inside of Mobile with the Memphis Blues Again. Memphis è il nome sia della città natale di Aretha Franklin ed Elvis Presley che della capitale dell’antico Egitto: i presenti lo adottano come rappresentativo del proprio approccio al design, che combina riferimenti alla storia e alla contemporaneità, e che vuole costruire un legame tra cultura alta e cultura popolare del prodotto.

Memphis presenta la sua prima collezione di 55 pezzi il 18 settembre 1981, in occasione del Salone del Mobile di Milano di quell’anno, alla galleria Arc ’74 di Brunella e Mario Godani. Il pubblico può osservare per la prima volta alcuni degli oggetti più iconici di Memphis, come le librerie “Casablanca” e “Carlton” di Ettore Sottsass e la lampada “Super Lamp” di Martine Bedin.

Nello stesso anno, Radice coordina una sequenza serrata di esposizioni della collezione nelle città del mondo, e soprattutto dà alle stampe il volume Memphis: the New International Style, che ha l’obiettivo di promuovere le attività del gruppo e di chiarirne la filosofia di base. Fin dal titolo del libro, si comprende la volontà di prendere le distanze dalla modernità, con le sue istanze di esattezza funzionale e riduzione formale.

Prima di fondare il gruppo, Sottsass e De Lucchi affrontano questi temi partecipando alle esperienze dell’anti-design radicale italiano degli anni ’70, ad esempio all’interno dello Studio Alchimia di Alessandro Guerriero. Con gli altri membri di Memphis proseguono la loro ricerca sperimentale e la portano alle estreme conseguenze, soprattutto sul piano estetico e delle scelte materiche. Il repertorio formale a cui attinge Memphis spazia dall’Art Déco al futurismo e alla Pop Art, accoglie il kitsch e si oppone platealmente alle norme codificate del good design.

Memphis può essere considerata come una delle massime espressioni del design postmoderno italiano e mondiale proprio in ragione dell’esibita “inclusività” formale, della moltiplicazione e dell’accostamento non scontato di “segni”, forme, colori e pattern selezionati all’interno dei tanti campionari offerti dalla storia e dalla contemporaneità. La visione intrinsecamente pop, di massa e non elitaria del design, si traduce poi nell’utilizzo frequente di materiali non nobili, come il laminato plastico e il terrazzo alla veneziana.

Sono caratteristiche che accomunano tutti i prodotti Memphis, dalla poltrona “First” di Michele De Lucchi (1982) allo specchio “Diva” di Ettore Sottsass (1984), dalla lampada “Piccadilly” di Gerard Taylor (1982) alla fruttiera di Nathalie Du Pasquier (1984) e al vaso “Cucumber” di Martine Bedin (1985).

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Al primo lancio del gruppo le reazioni della critica sono contrastanti, come prevedibile, ma l’interesse del pubblico è immediato. Quasi nessun oggetto di Memphis è realmente prodotto in serie; pure, il loro impatto culturale è potente e duraturo, tanto che finiscono per incarnare, anche nell’immaginario comune, l’estetica di tutto un decennio.

Nel 1985 Sottsass lascia il gruppo, che si scioglie ufficialmente nel 1988, dopo aver presentato una collezione ad ogni Salone del Mobile di Milano. Memphis è universalmente considerato come un momento di rottura nella storia del design: per la sua carica ironica, ma soprattutto come serissima operazione di critica allo status quo.

Nelle parole di Stefano Casciani:

Queste ovviamente sono cose che oggi si fa presto a dire: ma allora poteva sembrare davvero un’eresia – e qualcuno propose il rogo, contro la minaccia alle istituzioni – che nei dintorni del tempio della Kultur del design, il Salone del Mobile di Milano (…) qualcuno si dedicasse a consumare piccoli riti pagani, per di più sotto la protezione di un incontestabile Padre Fondatore del design italiano come Sottsass. C’era davvero 'motivo di scandalo e preoccupazione'
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