Michele De Lucchi è un signore alto, elegantissimo, dai modi essenziali ma gentili. Si veste in uno stile che da un lato occhieggia le linee militari, dall’altro quelle di Yohji Yamamoto. Difficile capire quale prevalga. Ha una barba folta, brizzolata, che gli fa dimostrare un po’ più della sua età ma che ha scelto, a quanto dice, per distinguersi dal fratello gemello. Da cui però la madre lo distingueva per una piccola macchiolina sopra lo zigomo. Il logo del suo studio è fatto da una piccola ‘a’, che sta per architetto, e dal suo monogramma, MDL. Più che una sintesi, una visione, o meglio una Weltanschauung. In effetti, quando MDL t’incontra, prima di tutto ti guarda e poi sorride e ti abbraccia. Entra subito in empatia, facendoti sentire parte del suo mondo e dei suoi riferimenti, anche se tu percepisci che non è un esercizio facile, né scontato. Dopo un po’ che lo frequenti, avverti che MDL si muove nei giorni come negli spazi, come se fosse capitato lì per caso, osservando con distacco, ma con intensità, le proporzioni tra cose e persone. Per farlo cerca sempre di guadagnare una posizione defilata, laterale, quasi minimalista. L’unica, secondo lui, capace di cambiare il senso delle cose, la posizione nello spazio.
Michele De Lucchi nel suo laboratorio, archivio e studio di Angera
Da gennaio 2018, per dieci numeri, MDL è stato il nuovo direttore dei contenuti di Domus, chiamato a portare la sua visione a un sistema che cambia governance, restituisce il senso agli oggetti, ricostruendo un valore perduto o comunque difficile da attribuire nel vortice della globalizzazione degli stili e delle tendenze. L’ha fatto declinando questa visione attraverso un nuovo alfabeto, che ha costruito una semantica fatta di parole chiave come ribellione, durata, silenzio, emozione, unicità, caos.
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È un atteggiamento singolare per una delle figure di riferimento dello star system creativo globale dal 1987, quando MDL disegna la lampada che venderà più esemplari al mondo, la Tolomeo di Artemide. Invece, è come se non volesse dare fastidio, MDL, o comunque come se volesse passare inosservato per disegnare sul suo taccuino nero o scrivere i suoi pensieri, come quando è in treno da Angera, dove vive con la famiglia e ha il laboratorio e l’archivio per raggiungere Milano, dove ha lo studio. Ma le cose stanno molto diversamente. Quando MDL inizia a parlare senti che quel signore gentile, riservato, educatissimo e quasi timido possiede una forza di visione non comune, una capacità di concentrazione e di trasmissione del pensiero che sa coinvolgerti nella dimensione dell’architettura e della società e che si posiziona all’opposto di quella linea celebrata e frequentata da personalità di primo piano nel mondo che potrebbe sintetizzarsi nel discorso che Rafael Moneo ha tenuto a Cersaie qualche anno fa: “Gli edifici non sono oggetti”. Per lo spagnolo premio Pritzker e docente di Harvard, “l’analogia fra edifici e oggetti ignora completamente la natura dell’architettura che cerca, invece, di integrarsi con il contesto, amplificare e creare identità. Il che significa che chi disegna edifici e città ha il privilegio, e l’impegno, di considerare l’insieme per progettare”. Senza nessuna polemica, il percorso di MDL si pone all’antitesi di questa linea interpretativa.
Sostiene, da amante incondizionato degli animali, che gli uomini sono diversi perché, a differenza degli animali, fanno oggetti, usandoli e costruendoli fin da quel primo momento – circa due milioni di anni fa – quando una scimmia nuda e indifesa, più piccola e debole delle altre, iniziò prima a usare e poi a costruire utensili per difendersi, produrre artefatti e cambiare il mondo, costruendone uno fatto da lei, a propria immagine e somiglianza o comunque a proprio uso e consumo. È la prima scena del capolavoro di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio, che per De Lucchi resta un punto di riferimento obbligato. Solo l’uomo, infatti, sa fare oggetti riproducibili su varia scala – che vanno dalle pietre aguzze alle case, dai libri ai ponti – tra i quali non c’è differenza sostanziale, tranne che per proporzioni e punti di vista, in uno spazio che gira su se stesso come il trono della Madonna del Bordone di Coppo di Marcovaldo, che chiude con l’esperienza della pittura bizantina e apre la modernità di Masaccio e di Giotto. L’architettura, quindi, non può che essere un’architettura di oggetti che, dalle lampade agli edifici, si muovono nello spazio su scala differente e che, attraverso questa posizione e questa scala, assumono funzioni che possono cambiare a seconda del punto di osservazione. All’inizio era lo strumento per difendersi da animali più forti e da una natura soverchiante, oggi di difendere gli animali e la natura dalla forza dell’uomo stesso, centuplicata dalla tecnologia. “Le ricerche dimostrano che l’uomo, all’inizio dei tempi aveva tre cose che lo distinguevano: era nudo, aveva mani diverse da quelle degli altri primati e, soprattutto, aveva l’immaginazione, cioè la capacitò di pensare in maniera laterale e trovare soluzioni inedite, senza stancarsi mai. Per questo, a volte mi sono definito un architetto evoluzionista, perché mi ispiro all’homo sapiens, che è stato in grado di evolvere di continuo organizzando nuove soluzioni”.
In effetti, la carriera di MDL inizia dopo la laurea in architettura a Firenze, dove diventa assistente al corso di Progettazione tenuto da una delle istituzioni dell’ateneo, Adolfo Natalini, grazie al quale entra in contatto con le prime manifestazioni del design radicale fondando il gruppo Cavart, che organizza manifestazioni artistiche radicali all’interno delle cave venete.
Il passaggio successivo è a Milano dove MDL, nel 1979, incontra Ettore Sottsass, che lo invita a partecipare al gruppo Memphis e a dargli la forza di mettersi in proprio nel 1980, senza però rinunciare a dialogare con esperienze diverse dalla sua, come il gruppo del CentroKappa e, soprattutto, con Alchimia. Sottsass è una figura centrale per MDL. È lui a introdurlo negli ambienti del design industriale italiano, in primo luogo in Olivetti, dove MDL inizia una collaborazione imprescindibile e feconda, progettando gli arredi Synthesis e venendo nominato responsabile del design, ruolo che mantiene fino al 2002. È l’ispirazione della luce di Adriano e delle idee di Comunità a permettergli di approfondire la riflessione sul mondo del lavoro e sul suo nuovo protagonista, il computer, che MDL ripenserà per brand come Compaq, Philips e Siemens. Ed è qui che Tolomeo nasce nel 1987, grazie alle intense esperienze di ricerca a cui De Lucchi aveva preso parte negli anni Settanta e Ottanta.
Negli anni ho capito che per progettare devi amare l’industria, anche se non è facile. Perché è tutto il bene e il male che abbiamo. Se il ruolo dell’artista nel tempo antico era far vedere la bellezza della natura, il ruolo del designer oggi è far vedere la bellezza dell’industria.
Una convinzione che non gli impedisce di vincere i concorsi per l’immaginazione di spazi e di società come la riqualificazione delle stazioni ferroviarie tedesche e la ridefinizione degli uffici bancari Deutsche Bank, dove il patrimonio di valori e di esperienze elaborato e sedimentato a Ivrea sono fondamentali. È in queste dinamiche progettuali all’estero che MDL approfondisce la relazione del progetto architettonico come oggetto industriale, riportandolo in patria con la ristrutturazione degli edifici di Enel, Olivetti, Piaggio, Poste Italiane e Telecom Italia, ma anche musei come la Triennale di Milano, il Neues Museum di Berlino e, in tempi più vicini, le Gallerie d’Italia di Piazza della Scala a Milano.
Nel 1990, MDL compie un altro esercizio di immaginazione creativa, fondando Produzione Privata, un marchio dedicato alla realizzazione di oggetti senza committenza che sono essenziali per l’esplorazione della ricerca, proprio come le ‘cataste’ e le ‘casette’, che realizza nel laboratorio di Angera, con la motosega e gli attrezzi da falegname, vestito di una tuta da operaio e con delle cuffie da artigiano. Nello stesso tempo, cura allestimenti di mostre, cercando sempre di ripensare i rapporti tra spazi e oggetti, come alle Scuderie del Quirinale, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, a San Giorgio in Poggiale, vicino a Bologna, o alla Fondazione Cini di Venezia. Dopo aver vinto il terzo Compasso d’Oro per la stampante ArtJet 10 di Olivetti, nel 2002 accetta l’invito a insegnare prima a Venezia, allo IUAV, dove nel 2004 diventa ordinario, quindi al Politecnico di Milano, dal 2008. È un altro passaggio fondamentale nell’elaborazione architettonica di MDL, che come Produzione Privata offre ai propri studenti un percorso visivo dove le suggestioni dell’arte trovano corpo nello statuto del progetto, di design e di architettura. Il suo impegno all’università, infatti, è soprattutto un’invocazione a non rinunciare alla sperimentazione, decisiva per un Paese come l’Italia e per chi voglia investirci, fornendo quelle piattaforme che sono in grado di massimizzarne i pregi e renderli più competitivi. Soltanto in questo modo la bellezza che deriva dal talento può essere codificata e sviluppata, grazie agli stessi criteri che si usano e si misurano nella produzione industriale della grande serie.
È in questi anni che MDL partecipa alla riqualificazione del quartiere Rykhe a Tbilisi, da cui nasce l’opportunità di collaborare con il Ministero degli Affari Interni e quindi di disegnare il Ponte della Pace nella capitale georgiana, come pure il Palazzo di Giustizia e l’hotel Medea a Batumi, meriti culturali prima che architettonici che gli fanno ricevere la cittadinanza onoraria georgiana dal presidente Saakashvili. Diventa difficile ricordare tutti i suoi progetti, che spaziano dalla produzione industriale al design di interni per ufficio, attraversando collaborazioni con Enel, Piaggio, Hera, Intesa Sanpaolo – che gli commissiona anche le carte di credito. A guardarlo dalla prospettiva degli oggetti, però, la visione di De Lucchi ricorda l’antropologia di Claude Lévi-Strauss e l’economia di David Ricardo. È un percorso di valore, quello di MDL, o meglio un percorso che scava nel consueto e nell’ordinario della quotidianità per ritrovare il valore perduto degli oggetti e, quindi, della loro relazione con la vita delle persone.
Abbiamo cercato fin dall’inizio di dare valore alle cose, agli oggetti, fin dal primo momento in cui abbiamo iniziato a disegnarli e costruirli. In realtà noi siamo gli unici animali che siano riusciti a farlo, attitudine che ci condanna a costruirne sempre di più, in forme sempre diverse e sempre migliori. Siamo animali nudi con un particolare spirito sociale, dotati di mani e con una grande capacità di immaginazione. Nonostante questo, siamo arrivati al punto in cui abbiamo troppi oggetti e non sappiamo più attribuirgli un valore preciso, significativo, che ci aiuti a decidere se usarli o gettarli. Per questo esercizio usiamo l’immaginazione, la nostra facoltà che ci ha sempre permesso di dare valore a un simbolo o un oggetto. E l’immaginazione è condotta dal senso dell’esistenza, dall’adattabilità che ci può aiutare a chiarire le scelte che facciamo ogni giorno, provando a dare valore alle cose e dando a loro un nome, quindi un significato per noi stessi e per gli altri.
MDL cita spesso, a questo riguardo, la teoria dell’evoluzione dell’uomo, che nelle ultime interpretazioni parla di piattaforme culturali, vere interfacce di scambi genetici e di sedimentazioni esperienziali che non si accrescono per sincronicità ma per salti quantici, di stock di informazioni che agiscono per percorsi indipendenti, quasi algoritmici ma causali. È grazie a queste interazioni fra piattaforme che avviene la creazione, un fenomeno che diventa particolarmente decisivo, per MDL, nel design e nell’architettura.
Da gennaio 2018, per dieci numeri, MDL è stato il nuovo direttore dei contenuti di Domus, chiamato a portare la sua visione a un sistema che cambia governance, restituisce il senso agli oggetti, ricostruendo un valore perduto o comunque difficile da attribuire nel vortice della globalizzazione degli stili e delle tendenze. L’ha fatto declinando questa visione attraverso un nuovo alfabeto, che ha costruito una semantica fatta di parole chiave come ribellione, durata, silenzio, emozione, unicità, caos.
Perché nel magma primordiale è nata la vita e tutta l’evoluzione è basata su una sequenza incontrollata di eventi. La forza di gravità tiene insieme il mondo e tanta cultura è basata sulla sfida a questa forza misteriosa e magica.
È qui che MDL si muove. Analogamente alla ricerca sullo spazio dell’architettura che negli ultimi anni Paolo Baratta ha imposto alla Biennale di Venezia. È qui che, per MDL, l’architettura e il design devono esercitarsi. Per costruire o ricostruire quel valore che sta celato nel segreto delle cose, nella dimensione arcana e nei nessi che regolano la relazione tra soggetti e oggetti che prende il nome di design, architettura, società. Perché solo qui nasce l’unicità, “che rappresenta una proposta inattesa e unica, affascina per la sua carica di novità, per la spinta a guardare oltre”.
Sono, a volte, anche semplicemente soluzioni alternative al modo di pensare le cose, e quindi di vivere, ma, proprio perché non rappresentano l’ovvia consuetudine, liberano il campo e ampliano l’orizzonte.
Rifiutare di considerare le alternative possibili o, come altrimenti teorizzato da Steven Johnson, ‘l’adiacente possibile’, significa non predisporsi all’insorgere delle idee e all’avvicendarsi delle interpretazioni dell’esistenza. Un programma che merita di essere vissuto.