Siamo a Napoli, per l’esattezza a Posillipo (Pusìlleco in dialetto napoletano), uno dei luoghi più suggestivi del nostro paese e probabilmente del mondo. La casa che entra direttamente dentro il mare è un appartamento con un terrazzo immenso. Il palazzo a picco sul blu è Palazzo Donna Anna, architettura monumentale del VII secolo, a opera di Cosimo Fanzago (1642), costruita dal viceré spagnolo Ramiro Felipe Nunez de Guzman (attivo in qualità di tesoriere del Regno di Aragona) per la sua seconda moglie, la ricca consorte Anna Carafa Della Stadera, principessa di Stigliano e Duchessa di Sabbioneta.
Qui c’è una delle tre case della gallerista Lia Rumma, quella di Napoli. Le altre sono quella di Milano, considerata un rifugio, e il treno dove passa molte ore: “non prendo l’aereo perché è una velocità che non mi appartiene, in treno viaggio comoda e ho anche l’ufficio, mangio, faccio tutto, come se fosse casa. È un tempo speciale, dedicato alle mie cose ed è come fare un salto da lì a là. Questa è la velocità giusta per me”. Figura di spicco del mondo dell’arte contemporanea internazionale, Rumma lavora da anni con artisti dai nomi altisonanti quali Anselm Kiefer, Ettore Spalletti, Marina Abramovic, William Kentridge, Alberto Burri, Vanessa Beecroft, Michelangelo Pistoletto, Thomas Ruff, per citarne alcuni; con Joseph Kosuth inaugurò la sua prima mostra in qualità di gallerista, in un garage in affitto a Parco Margherita, a Napoli. Fu sold out.
L’ampio appartamento dal pavimento in maioliche consumate dalla storia è abbracciato da una terrazza di oltre 400 metri quadrati circondato da piante di diversa tipologia, con vista mozzafiato sul Tirreno. Sin dall’entrata già si percepisce il sapore intenso di una casa curata nei minimi dettagli e vissuta, vissuta fortemente mentre siamo subito confusi e stregati da una sagoma (1.1) della gallerista ritratta in piedi, al telefono, opera di Michelangelo Pistoletto: “Ero andata a trovare Michelangelo nella sua Fondazione a Biella; il telefono è sempre stato fondamentale per me, quindi, diverse volte chiedevo scusa a Pistoletto e telefonavo, telefonavo. Così lui mi ha scattato delle foto; un giorno mi ha chiamato e dicendo “ecco, questo è il tuo ritratto” – Ritratto di Lia Rumma, 2008. L’ho installato proprio all’entrata, di fronte alla porta: a volte le persone mi scambiano con il ritratto e mi tendono la mano.”
Mi piace ascoltare il rumore del mare; il mare a volte è dolce e prepotente. Mi piace. sembra un’orchestra.
In questo luogo sembra regnare l’armonia tra ieri e oggi. “Mi piace unire ciò che è storico a ciò che è contemporaneo. La casa ha questa dicotomia, come una sorta di elastico”, aggiunge. L’intera abitazione sembra essere stata concepita seguendo questa ispirazione: tappeti kilim e manufatti tessili provenienti dal Turkmenistan convivono con le opere d’arte contemporanea che più la rappresentano, sculture, grandi dipinti, mix media. Uno degli spazi prediletti è la cucina dove Lia Rumma ama passare il suo tempo e cucinare, possibilmente per molti, tanti ospiti. In particolare, il momento del convivio le ricorda il marito Marcello, grande mecenate, sposato nel 1967, con lui, “quando si viveva a Salerno, la casa era sempre piena di gente che veniva e andava, la tavola sempre apparecchiata”, ricorda. Il viso di donna, scultura colorata in ceramica sovrasta il grande mobile giallo canarino con inserti in formica, mentre decine di pentole sono appese qua e là.
La grande sala da pranzo accoglie un tavolo lungo 8 metri e capace di sedere oltre 30 persone; “mi ricorda la mia infanzia in famiglia, eravamo tanti e sempre allegri a pranzo e a cena; si facevano conversazioni interessanti”. Ora qui la tavola è sempre apparecchiata con tovaglia bianca e sete lucide oltre agli immancabili candelabri in ceramica di Ugo Marano e altri oggetti dello stesso materiale di Nunzio Vitale. La parete in fondo incornicia la prospettiva di una serie di volti umani dai contorni disegnati in nero oltre a una gallina, si tratta del lavoro di William Kentridge sui visi: Head – Man with Beard, 2017; Small Silhouette (Bird) Variation, 2016; Head (Miner), 2016 e Head (Man with Hat), 2017. Una cornice di marmo segna il perimetro del pavimento di questa stanza, dando ancora più risalto al mattone color caramello in contrasto con la grande stella nera in pelle, appesa al muro – Stella di cuoio su giavellotti del 2007 di Gilberto Zorio.
Ci sono poi due ampie camere da letto simili fra loro, adiacenti, entrambe a passaggio, ossia con accesso ad altre stanze, atipico. La gallerista napoletana sostiene che si tratta più di due salottini che di due camere. Lia Rumma dorme in quella che si affaccia sul grande armadio di Piacentini in legno massello, sorvegliato dall’alto dagli occhi fermi di quattro busti in marmo: sono Venere, Giunone, Apollo e Mercurio. Accanto a un’altra opera monumentale di William Kentridge, sovrasta il letto in legno una grande immagine di lei accanto a sua madre (erano dieci i figli in famiglia) donna magnetica dalla straordinaria sensibilità per l’arte e la cultura tutta, catalizza l’attenzione di questo spazio, così raccolto eppure così aperto. È un’opera di Clegg&Guttmann, The Gallery proprietress and her Mother, 1986; “mi sento protetta da questo quadro. Il volto di mia madre è illuminato in maniera straordinaria, una luce quasi caravaggesca e la resa è molto cinematografica; qui trovo l’incontro tra il vecchio e il nuovo, tra la storia e la contemporaneità. Questo ritratto ha ispirazione classica, mio padre era un noto latinista, ha pubblicato il vocabolario italiano e latino, era uno studioso di Dante Alighieri. Il contemporaneo l’ho conosciuto quando ho incontrato Marcello – un amante dell’arte, della filosofia e dell’estetica: era giovanissimo e mi ha fatto capire il presente, lui guardava il proprio tempo e lo comprendeva, comprendeva quello che accadeva intorno a lui. Io con lui conosco il nostro tempo iniziando a viaggiare a Parigi, a New York, a Torino e Milano per incontrare artisti, critici e storici dell’arte”
Vicino esiste un’altra stanza da letto speculare con altrettante opere straordinarie, una grande foto di Marina Abramovic, Dragon Heads del 1990-92, in cui l’artista appare avvolta dalle spire di un pitone e poco lontana una mensola di Haim Steinbach dal titolo Neapolitan tableau, del 1987 composta da una mensola in legno, una statuetta in bronzo e tre piatti decorati oltre a un ritratto di Marylin Monroe di Andy Warhol alla parete – Marilyn Monroe, 1967
Mi piace unire ciò che è storico a ciò che è contemporaneo. La casa ha questa dicotomia, come una sorta di elastico.
Un bellissimo tavolo di Carlo Scarpa segna la centralità della stanza vicina. Gli angoli della casa sono punteggiati da icone del design: una Egg Chair nera di Arne Jacobsen invecchiata dagli anni, lo specchio al neon rosa Ultrafragola di Ettore Sottsass, la Lounge Chair degli Eames; troveremo in una stanza poco lontano anche quattro sedute di Marcel Breuer accanto a un caminetto in marmo. Gli ampi e lucidi corridoi, decorati qui e là da strisce blu acceso, o 10 per 10 decorati a stella, collegano i diversi spazi con altre opere per lei importanti; perfino il guardaroba della gallerista è segnato da una luce al neon giallo fluorescente di Alfredo Jaar dove si può leggere “Naples”, opera del 2015 dal titolo Napoli Napoli. I neon sono la sua passione, c’è un’altra scritta, sempre di Jaar ma del 2009 che recita “m’illumino d’immenso” giallo chiaro accanto a uno scorcio di finestra che dà sull’azzurro fuori. In realtà, ovunque ti giri in questa casa, vedi questo mare blu acceso (come un neon) che inebria la vista.
Un salotto con una coppia di divani marrone testa di moro affiancano una piccola figura in legno; sembra una piccola bambina, seduta su una sedia invece è lei, la grande Lia; “è un lavoro di Mario Ceroli (Ritratto di Lia Rumma, 1968) che commissionò mio marito quando ero giovanissima e anche magrissima, avevo i capelli lunghi, era la fine degli anni ‘60”. Al centro, il coffee table di Isamu Noguchi con piede speculare in legno di frassino nero e top in vetro, alla parete un quadro di Anselm Kiefer dai meravigliosi colori pastello, si tratta di La Belle de la Seine, 2014.
Vicino a una delle tre grandi porte finestre che danno accesso al terrazzo, svettano potenti due colonne monocrome di Ettore Spalletti (Colonne Perse, 2000); appena fuori sei grandi vasi in terracotta di Nanda Vassallo dai colori accesi e dai nomi intriganti quali Vento fermo della notte, Vento Mio, Vento dei mari lontani, Vento caldo della sera, Vento di Terra, Vento Tuo incorniciano un salottino di sedute in legno mentre un’aiuola centrale di piante grasse crea un’isola verde. In questo posto incantato Lia Rumma, con il suo antico amuleto afgano al collo, è gloriosa e sorridente come una regina nel suo elemento; il cielo che tocca l’acqua è per lei musica; “mi piace ascoltare il rumore del mare; il mare a volte è dolce e prepotente. Mi piace. Sembra un’orchestra.”
Immagine in apertura: Lia Rumma. Foto Daniele Ratti