“Ciao Sara, vorrei intervistarti a proposito dei tuoi progetti per la Milano Design Week”. La risposta la dice lunga sulla designer e sul momento intenso che sta attraversando: “se mi accetti con occhiaie e distruzione epidermica ci sono. Andiamo alla terme?”. Prende il via così una conversazione atipica che tocca non solo i lavori presentati durante il Salone del Mobile, ma anche i temi cari a un talento emergente della progettazione tra i più interessanti del momento.
Sara Ricciardi ci racconta della sua collaborazione con la curatrice Alice Stori Liechtenstein, prodotto da 5VIE, dei suoi lavori al Salone 2018 e del suo modo positivo di intendere la vita. Formatasi come product designer, spazia dal social design (che insegna alla NABA), alla performance, e inaugurerà il suo primo progetto di interni a settembre, il Pataspazio.
Sara Ricciardi. La creatività è per tutti
Una conversazione ‘anti–Salone’ con la designer più instagrammata della design week. Ci parla di castelli, ikebana e di un approccio felice al progetto.
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- Marianna Guernieri
- 23 aprile 2018
- Milano
È uno dei progetti della Milano Design Week più pubblicati su Instagram. Come è nato Arcadia?
Alice Stori Liechtenstein voleva che lavorassi sul tema dell’eredità per presentare a Milano ‟Legacy”: la prossima edizione del suo progetto Schloss Hollenegg for Design, a Graz. Ho elaborato questa installazione ludica, rendendomi conto che non scegliamo il lascito che ci viene dato. Devi gestire quello che ti arriva, con il fiato sul collo dei tuoi antenati. In una famiglia nobiliare come quella di Alice, ad esempio, ognuno sente il dovere di apportare qualcosa. A me diverte che lei lo faccia sotto forma di promozione e di ricerca del design, invitando i designer a sviluppare dei progetti legati al castello. Quindi l’eredità è ingombrante, pesante, invadente, ma tu ci devi giocare. Alle 5VIE ho presentato un allestimento dove ho ripreso il castello, con una ricerca di pattern e colori. Ho ricostruito una stanza con le tende vellutate, in uno spazio di 20 mq in cui ho ricreato il suono dell’Arcadia, in collaborazione con il sound designer Alfredo Dionisi.
Perché questo titolo?
L’Arcadia è un posto idilliaco, dove le persone trovano la pace, la serenità. Il vero idillio lo trovi quando riesci a gestire gli elementi che hai. Puoi trovare la tua Arcadia anche a Milano, con lo smog. Nella mia installazione ci sono dei venti che spirano, tramite un impianto di ventilatori che si attivano con il passaggio delle persone, e una palla a elio gigante che invade tutto lo spazio, sospesa, su cui ho riprodotto la grafica della carta da parati della stanza in cui ho dormito la prima sera a Hollenegg: un paesaggio di agrumi, limoni, rondini. Rappresenta l’eredità.
Cos’altro hai presentato al Salone?
Una collezione di diffusori per ambienti sviluppati con Culti, da Wallpaper*Handmade. L'ispirazione viene dai templi a cui sono molto legata, io amo il sacro. Ho lavorato con il vetro, prendendo spunto dalle colonne doriche. Ho disegnato un souvenir di Milano per il Brera Design District, ho sfoderato tutta la mia vena pop con dei tatuaggi temporanei in cui ho ripreso la pavimentazione della galleria Vittorio Emanuele. Poi ho i pezzi in Fiera con varie aziende, ma ho scoperto che mi piacciono di più le installazioni, la pedagogia, i workshop, il rapporto con le persone, spazi, narrative. Creare interni introspettivi che partono dall’identikit della persona. Da ultimo, ho presentato anche Libra, un progetto per “Hands on Design” realizzato con un artigiano ceramista di Cava dei Tirreni: vasi che si bilanciano e stanno in equilibrio.
Come nell’ikeabana, con cui hai un rapporto speciale.
Nello sviluppo della mia persona, e poi anche nella mia carriera, a un certo punto sono rimasta affascinata dall’ikebana, un momento di pulizia. Sono affezionatissima all’elemento naturale e anche alla morte del fiore. Apprezzi molto la ciclicità del tempo, il decadimento, e si riescono a fronteggiare questioni che secondo me in Italia ci ossessionano: tutto deve essere per sempre, stabile, perfetto. L’Ikebana ti insegna a gestire con più facilità fallimenti e crolli.
Lavorare sul design quindi è lavorare su sé stessi?
Nessuno può evadere da sé stesso. Se tutti sentissero come proprio quello che stanno facendo – la persona accanto, il mestiere, la cena – capirebbero di essere coinvolti in una serie di processi generativi. Sono concetti che elaboro quando devo dare molto entusiasmo ai miei studenti. La società tende a tenerci un po’ amalgamati, e uno degli esercizi che mi piace assegnare all’inizio dei corsi è creare un identikit, aiutando i ragazzi a lasciarsi andare e a perdersi. Lavoro molto con la psicogeografia, perché tutto sembra essere così sotto controllo e prestabilito da qualcun altro che non ci si ascolta e non ci si lascia guidare da quello che è attorno con facilità, semplicità, fiducia.
Cos’è la creatività?
La creatività è come un muscolo. Lo devi allenare, devi esercitarlo, devi avere costanza nel farlo. Ci sono delle attitudini sicuramente, che vengono da esperienze passate, strutture familiari, luoghi in cui si è cresciuti e questo va tenuto in conto. Ma la creatività è per tutti, è di tutti, ci possono arrivare tutti in maniera diversa, con le loro intelligenze — chi più fisica, chi più mentale. Per me è stato fondamentale il libro la Grammatica della fantasia di Gianni Rodari, che t’insegna a giocare con i termini, dividerli, sgretolarli, rimetterli insieme. Si deve avere un po’ di voglia di esplorare e di lasciarsi guidare dalle cose, essere molto analitici e curiosi. Edward De Bono, Bruno Munari, sono personaggi che mi hanno aiutato in questo senso.
In questo racconto molto intimo che è la vita, il design è uno strumento, come per qualcun altro è fare il pane, sono tutti strumenti relazionali per fare delle cose
Come spieghi ai tuoi studenti cos’è il design?
Penso di non averlo mai spiegato. Non ti dirò io qual è il significato di design per te, perché lo devi trovare tu. In questo racconto molto intimo che è la vita, il design è uno strumento, come per te ora il giornalismo, come per qualcun altro è fare il pane, sono tutti strumenti relazionali per fare delle cose. Il design mi ha insegnato questa bellezza materica, perché i materiali, come le persone, passano attraverso diversi stadi. Scopri che il ferro è durissimo, eppure poi, sotto una fiamma potente e continua, cade. Così capisci quanti strumenti devi elaborare, tuoi personali. Io insegno il mio metodo, un altro docente ne avrà un altro e gli studenti dovranno tirare le loro somme per creare la loro narrazione.
Qual è il tuo progetto dei sogni?
Quello che verrà. Ho imparato che avere aspettative è davvero poco lusinghiero nei confronti della vita, perché ti arriva sempre molto di meglio. Ogni volta è una sorpresa.
Tre consigli per sopravvivere al Salone?
Dimenticatevi l’orologio, perdetevi e godetevela senza troppe corse. La salonemania da appuntamenti nuoce alla salute! Uno spazzolino, perché in questi 6 giorni è importante che non torniate a casa, fidatevi. Borse piccole — spero sia un deterrente per non farvi raccattare milioni di stupendi opuscoli in carta che però non leggerete mai.
- Arcadia
- Sara Ricciardi
- Alice Stori Lichtenstein
- 5vie, Fuorisalone 2018
- via Cesare Correnti 14
- 16–22 aprile 2018