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Ronan Bouroullec: “Designer? Una parola che mi piace poco”

Cosa succede quando i due fratelli più celebri del mondo del design “divorziano”? Abbiamo incontrato Ronan, fresco di una mostra monografica al Pompidou e alla Design Week di Milano.

“Ho imparato moltissimo dall’Italia. È banale se cito Ettore Sottsass?”. Esordisce così Ronan Bouroullec, Domus incontra negli spazi di Casa Mutina, marchio con cui lavora ormai da 15 anni e per il quale ha recentemente lanciato la serie “Adagio”. Da solo o con il fratello Erwan, negli ultimi trent’anni Bouroullec ha collaborato con i più grandi marchi del design italiano e mondiale. All’inizio del 2024, il sodalizio tra fratelli, iniziato nel 1999, si è sciolto pacificamente.  

Ora Ronan corre da solo. Con una importante mostra al Pompidou e questa alla Design Week di Milano. Un personaggio algido, a tratti sornione, spesso spiazzante. Come quando parla del ruolo del designer. Che sottolinea a dire, “non è un eroe solitario”. Anzi, anche chiamarlo designer… “il termine mi piace molto poco e non mi riconosco del tutto”. 

Amo la varietà, le idee e le ispirazioni sempre nuove, e credo che la molteplicità dei miei riferimenti lo dimostri bene.

Ronan Bouroullec

“Come designer, siamo di fatto dei generalisti che, per ogni progetto, si trovano a collaborare con degli specialisti di ambiti diversi”, afferma Bouroullec. “Parliamo, ci confrontiamo, impariamo. Da questo dialogo continuo possono nascere progetti e prodotti che diffondono la loro qualità al di là dei loro limiti fisici”. Oggetti che Bouroullec definisce ‘atmosferici’, perché “esistono nello spazio che li circonda e, a loro volta, lo modificano”. E continua dicendo di trovarsi “in una condizione di continua ricerca e messa in discussione, che talvolta mi porta al limite della schizofrenia”. Perché anche nelle parole del posatissimo designer c’è spazio per una punta di esagerazione.

Andrea Branzi parlava dei fratelli Bouroullec come “esponenti di una modernità debole e diffusa”. Una modernità reinterpretata, che conserva l’ambizione di avere un effetto positivo sul reale, ma che rinuncia agli apriori e si nutre di contesti e dialoghi.  Ronan dice di riconoscersi nella definizione e di appartenere “a una generazione folle, che attraversa e interpreta un mondo in continuo movimento e trasformazione”. Per Ronan, è la differenza tra i progettisti del ventunesimo secolo rispetto a quello precedente. “Una presa di distanza dall’approccio moderno del secolo scorso, di un moderno che si permetteva di essere dogmatico, che voleva fornire soluzioni chiare a problemi specifici, è necessaria e inevitabile. Io non credo che quella del designer sia una professione magica. Credo, invece, che si possa cercare di fare le cose in maniera giusta e corretta, caso per caso, di volta in volta…”.

La mia curiosità mi porta ad avvicinarmi a persone nuove, da cui poi traggo spunti e consigli per proseguire nelle mie esplorazioni.

Ronan Bouroullec

Come Sottsass – “ammiro la sua capacità di esistere a cavallo tra mondo dell’artigianato e dell’industria”, Branzi è stato per Bouroullec un maestro importante. “Poi, certamente, i francesi come Charlotte Perriand e Jean Prouvé, esponenti di un pensiero moderno con cui ancora oggi è necessario e utile confrontarsi. E ancora il Giappone, penso in particolare al lavoro di Shiro Kuramata, che apprezzo per la precisione e per la capacità di evocare atmosfere. Amo la varietà, le idee e le ispirazioni sempre nuove, e credo che la molteplicità dei miei riferimenti lo dimostri bene”.

Quando Domus gli chiede di selezionare i progetti che hanno definito la sua carriera, Ronan Bouroullec è schivo. “Non sono sicuro di saper rispondere a questa domanda”, si scherma. Ma c’è una ragione, non è solo snobberia: “Non so se si applichi davvero al mio modo di vedere il mio lavoro”. Ronan preferisce pensare a quello a quanto fatto fino a oggi “come ad una continuità organica, un insieme di proposte che sono in dialogo tra di loro”.

Nel suo modo di lavorare e di progettare, spiega, esiste una componente fortissima di curiosità e soprattutto “esistono i tantissimi incontri, spesso inaspettati, che mi capita di fare”. Le due cose si nutrono a vicenda, dice il designer: “La mia curiosità mi porta ad avvicinarmi a persone nuove, da cui poi traggo spunti e consigli per proseguire nelle mie esplorazioni”. 

Immagine di apertura: Ronan Bouroullec. Foto © Gerhardt_Kellermann

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