Che cosa è il design? E dove sta andando? La domanda non è banale. Non tanto per l’avvicinarsi del Salone del Design, la più importante fiera del settore al mondo che è diventata una kermesse culturale e di costume che dà la linea a livello globale. Piuttosto, perché poche parole hanno avuto la fortuna che ha avuto il design negli ultimi decenni. Una sorte che, proprio come esprime la parola latina, è ambigua e può diventare sia favorevole che avversa.
Come “fortuna” anche “design” è una vox media, ovvero una parola che esprime concetti contrastanti e rappresenta come poche sia un’azione sia un concetto, sia un verbo che un sostantivo. Ma a differenza della fortuna l’intento del design è sempre un intento sovversivo perché nella radice del design è contenuto un piano, un plot, un artificio. Un “disegno” vero e proprio, intelligente e ambizioso, che se messo in atto a regola d’arte e con una dose di estetica sovverte la realtà e quindi la natura. Non a caso, c’è chi ha considerato Ulisse il primo designer, capace di architettare progetti come il Cavallo di Troia. Il primo oggetto di design della storia che conteneva all’interno un segreto feroce e inconfessabile.
Con intenti di tutt’altro tenore, Domus è stato felice di accogliere l’invito rivolto da Università Bocconi per elaborare un progetto sul design. E inaugurare così una collaborazione fra le due istituzioni milanesi che fondate entrambe nel Novecento – Bocconi nel 1902, Domus nel 1928 – hanno portato il mondo a Milano e Milano nel mondo. E di farlo in uno degli edifici più iconici del nostro tempo, che in poche stagioni dalla sua inaugurazione è già diventato un icona, un simbolo del XXI secolo o come si dice in architettura un vero e proprio landmark.
I motivi di questo percorso comune sono tanti, ma il principale è che Domus da quasi un secolo ha scelto di fare della critica al design uno dei suoi pilastri editoriali. Nessuna migliore occasione, quindi, per indagare lo “stato del design” che nei giorni dal 17 al 22 Aprile, quando Milano si accenderà dalla luce che emana dagli oggetti prodotti dall’ingegno. Offrendo a un pubblico cosmopolita, colto e raffinato, che anche questa edizione ha segnato un record di prenotazioni, una serie di esperienze di ogni tipo. Visive, concettuali esperienziali.
Così, per iniziare questo percorso comune fedele alla propria storia, Domus ha proposto a Bocconi una sorta di controcanto. Non tanto al rinnovato programma del Salone, quanto al suo asse concettuale, centrato sul prodotto. Invitando a parlare protagonisti del mondo dell’industria, la finanza, l’impresa, la cultura a dialogare sull’evoluzione del design, che è incontestabilmente approdato dal “prodotto” al “processo”. Un approccio, quindi, che sembrerebbe paradossale nel contesto della settimana che celebra l’eccellenza dle prodotto, ma che invece vuole produrre un ulteriore effetto di senso che è l’effetto del mondo della ricerca e dell’innovazione, che assieme ad altri definisce sia la tradizione di Università Bocconi che di Domus.
Se fino a ieri dicendo “design” si intendeva e si identificava qualcosa di molto preciso, relativo alla cultura materiale, in particolare all’universo degli oggetti a cui per una ragione non del tutto chiarita l’evoluzione della specie umana ha delegato non solo funzioni pratiche ma sempre più anche significati simbolici, oggi design è una parola il cui campo non risulta ben definito, allargandosi a un “processo” in cui la concretizzazione dell’oggetto è solo l’ultima parte e, forse, nemmeno la più importante, sebbene sia l’attivatore principale.
Oggi si parla sempre di più di Design Thinking o di Process Design, ovvero di un approccio all’innovazione finalizzato a integrare i bisogni delle persone con le possibilità offerte dalle tecnologie e gli obiettivi, aziendali e personali. E’ evidente lo spostamento cartesiano dell’interpretazione della realtà: dall’oggetto al soggetto, dall’essere incentrato sul mondo il design diventa incentrato sulla persona e sulla risoluzione di problemi complessi mediante il pensiero creativo ed estetico prima che gli strumenti tecnologici.
L’obiettivo del design, oggi, non è dunque solo produrre “oggetti che migliorino la vita” quanto “generare valore e sviluppare le potenzialità e le emozioni” per gli individui e le comunità attraverso soluzioni innovative ed estetiche. In questa prospettiva la prima fase del design non è basata sulle qualità dell’homo faber ma sull’homo sensiens, ovvero sulla più interessante delle caratteristiche umane: l’empatia.
Il designer deve empatizzare con gli altri, per raccogliere informazioni sui loro mondi interiori più che sui loro bisogni pratici. Una ricerca emotiva e quasi antropologica, prima che intellettuale e tecnologica, per conoscere ciò che le persone fanno, dicono, pensano e soprattutto sentono. Dopodiché le informazioni e le emozioni acquisite vengono analizzate in profondità, cercandole ricorrenze e definendo gli ambiti problematici comuni, che rivelano spesso esigenze non soddisfatte da affrontare con idee e soluzioni creative.
In questo processo il ruolo dei dati e della digitalizzazione emerge in tutta la sua centralità, ma non esclusività perché l’esperienza decennale umana dei maestri e degli imprenditori è altrettanto fondamentale. Un’altra inversione di paradigma è che durante questa fase la quantità è preferita alla qualità, anche per dare libertà e diritto di cittadinanza alla generazione delle idee.
La prototipazione, ovvero la creazione di una serie di soluzioni possibili alle esigenze, non è più quindi un oggetto ma un pensiero, ovvero un processo e un associazione di passaggi che prendono una forma in base alle caratteristiche estetiche, sociali, economiche e quant’altro. Una forma che rappresenta la soluzione non solo se risolve il problema ma sopratuttto se genera valore sotto forma di emozioni positive e inclusione di valori.
Oggi, il design di processo è centrale in tutte le realtà sociali e industriali. Nel mondo della produzione estetica ma anche in scenari sempre più pervasivi e allargati, dove gli input devono generare output più evoluti e convincenti. Dalla scienza alla finanza, dalla demografia al climate change, dalla pedagogia alle istituzioni alla ridefinizione dei servizi. L’aspetto entusiasmante è che il process design è una vera e propria matrice cognitiva e semantica, che dimostra come solo la creatività e la cultura possono risolvere le sfide del nostro tempo in ogni ambito.
Un’ultima nota. Decidendo di dedicare una riflessione sulla forma nella settimana che celebra la forma, abbiamo voluto farlo in maniera informale. Non tanto per ricordare i meriti della corrente artistica che fra gli anni Sessanta e Settanta riportò all’attenzione la casualità come principio creativo, ma si parva licet anche in chiave platonica. Ovvero con la consapevolezza che i momenti di maggiore creatività e scambio avvengono attorno a un tavolo, dove il pensiero e le emozioni sono libere di superare limiti, appartenenze, rappresentazioni e appunto formalismi.
Non potendo organizzare pranzi e cene, per via dell’agenda complessa dei protagonisti in questa settimana densa di incontri, abbiamo pensato di offrire loro una colazione a base di caffè, brioches ma soprattutto emozioni e idee. Un modo diverso, più piacevole e magari anche utile per iniziare una giornata e celebrare una settimana dedicata alla bellezza.