Milanese doc, classe 1946, laurea in Economia e Commercio presso l’Università Cattolica, Claudio Luti è un punto di riferimento nella scena culturale e imprenditoriale globale. Inizia nel 1975 a collaborare con aziende del settore moda e alcuni stilisti che diventeranno poi icone del Made in Italy nel mondo. Anni di grande fervore generale, in cui gli stilisti milanesi, pur con modeste strutture e capacità manageriali, intuiscono le potenzialità di sviluppo della moda prêt-à-porter e le opportunità di business. Nel 1977 Luti incontra Gianni Versace e di lì a poco diventa l’amministratore delegato della Gianni Versace Spa dove rimane per 10 anni, lavorando a stretto contatto con il famoso stilista e assimilandone le indiscusse capacità e la proverbiale grinta.
Nel 1988 lascia Versace e acquista Kartell, società di cui oggi è presidente e proprietario. Entrato in azienda in un momento di temporanea e, forse, fisiologica ‘stanchezza’, nel giro di qualche anno impone innovazioni tecnologiche e stilistiche, rinnovando il catalogo. Rispettando l’anima di Kartell, il suo know-how e la vincente strategia industriale, intuisce la necessità di portare avanti una differente ricerca sul prodotto e sul materiale, contribuendo a liberare la plastica dalla connotazione, tipica degli anni Ottanta, di materiale ‘cheap’.
Il Salone è imprescindibile per tutti coloro che devono trovare ispirazione e, al tempo stesso, presentare la propria creatività.
Luti chiama così a collaborare grandi nomi del design internazionale, Philippe Starck per primo e, successivamente, Vico Magistretti, Ferruccio Laviani, Antonio Citterio, Piero Lissoni, Ron Arad e molti altri. Dà inoltre il via a un importante progetto di retail, sviluppando negli anni la rete distributiva monomarca, il principale strumento per comunicare l’identità del brand Kartell; a oggi, il marchio conta ben 140 flagship store in 140 Paesi del mondo. Al tempo stesso, come presidente del Salone del Mobile, Luti si spende in un’opera di elevazione e di messa a punto del “sistema Salone e della sua filiera”, collaborando con tutte le realtà locali e internazionali per la messa a punto di un concept unico, che attira ogni anno centinaia di migliaia di persone. Secondo i media internazionali, il Salone è imprescindibile per tutti coloro che devono trovare ispirazione e, al tempo stesso, presentare la propria creatività.
Walter Mariotti: Presidente Luti, qual è la città del futuro?
Claudio Luti: Sarò di parte, ma per me la città è Milano. Forse perché sono milanese, forse perché la guardo al tempo stesso dall’interno e dall’esterno. Una cosa è certa: non potrei vivere in nessun’altra città.
Campanilismo o che cosa?
Un po’ sì, ma non credo che si tratti solo di campanilismo. Penso davvero che Milano sia una città unica. Qui sono nati moda e design, gran parte dell’industria, un artigianato di altissima qualità. Se uno nasce a Milano, ha molte possibilità di vivere e trovarsi bene, nel mondo.
Perché accade questo?
Le ragioni sono tante. Milano è una piccola città con grandi strutture di cultura e industria. Esprime da sempre un sapere politecnico, come dicono alcuni, che mette insieme umanesimo e scienza, una filiera che integra materiali nuovi a processi nuovi in una cultura nuova. È la stessa cultura di Leonardo, una cultura che affonda le radici nel passato, ma guarda al futuro. Per questo in ogni parte del mondo essere milanese è un valore, anzi è il massimo.
Su quali progetti sta lavorando adesso?
Mi occupo di design, sia come imprenditore sia come presidente del Salone del Mobile. In realtà ho iniziato con la moda, negli anni Ottanta, con Gianni Versace. Sono stati anni belli, che mi hanno permesso di portare nel mondo il saper fare milanese e italiano, lo stesso che ho trovato nel Salone del Mobile. C’è una similitudine fra i due universi, prima di tutto perché dietro ci sono aziende incredibili, con soggetti imprenditoriali che si assumono il rischio, che puntano all’innovazione, che fanno dell’artigianato il vero significato di un mestiere dove non c’è politica nazionale che tenga. Questo penso che sia il motivo per cui tutti adorano lavorare con noi, perché esprimiamo davvero il senso della parola creatività.
La creatività dev’essere temperata dalle esigenze del mercato e che il mercato non esiste senza la creatività.
Che cosa è il design?
Tante cose, ma soprattutto il design è una cosa che si fa in due, come mi diceva sempre Magistretti. Perché insieme si scopre, s’innova, si crea. Guai a non essere in due, dove uno è il creativo e uno è il mercato. Con Versace fu la stessa cosa. Un fenomeno come quello di Versace sarebbe incomprensibile senza la seta di Como o la lana di Biella. E senza la capacità di finanziare e industrializzare l’arte. Ecco, Milano è il centro di questo mondo: per questo chi vuole fare imprenditoria e vive a Milano è fortunato. Io sono stato fortunato.
Come si fa un’azienda di successo nel design?
La ricetta in fondo è semplice. Avere idee e circondarsi di persone intelligenti. Avere le risorse per il lungo periodo. Capire che si lavora in due, che la creatività dev’essere temperata dalle esigenze del mercato e che il mercato non esiste senza la creatività. Il progetto parte da un livello teorico, ma poi occorre incontrarsi sul piano pratico. Per questo occorre essere in due.
Quali sono i temi centrali della disciplina in questo momento?
“Fare sistema”. Negli ultimi anni mi sono speso a fare sistema, come si dice. Milano ha risposto meglio di qualunque altra città in Italia per questo, così è diventata un esempio, un benchmark e anche una capitale. Il caso Expo lo dimostra: un evento culturale e imprenditoriale ha saputo catalizzare l’attenzione del Comune, del sindaco, ma anche dell’ICE, l’Istituto per il commercio estero, del Ministero.
Il successo della settimana del Salone del Mobile è il successo di un sistema dove le aziende partecipano con progetti culturali.
Che cosa si sta facendo per fare sistema in città?
Tantissimo, ma questa è un’antica vocazione. A Milano si fa sistema da sempre. La Triennale sta facendo il Museo del design, dove la parte commerciale si è unita a quella culturale. Kartell farà una mostra a Palazzo Reale, per mostrare l’ispirazione che viene dall’arte. Il successo della settimana del Salone del Mobile è il successo di un sistema, un evento fra i più importanti del mondo, dove le aziende partecipano con progetti culturali, che coinvolgono le istituzioni, come la Triennale e La Scala.
Qual è il segreto del “Sistema Milano”?
Il segreto sono tre parole: persone, azienda, istituzioni. A Milano queste tre parole esistono da sempre sono intercettate dalle istituzioni che dimostrano come un mondo migliore sia possibile. Per questo anche altre aziende di altri settori partecipano alla Design Week, investendo cifre importanti per esserci.
Un primato globale?
Occorre riconoscerlo. È il primato della cultura che si fa business e che trova nell’idea di furniture una delle sue più alte espressioni. L’ha capito l’ICE, che collabora con il Salone fin dall’inizio, perché la Design Week è un motore del Made in Italy che si basa ormai sul Made in Milano e non conosce flessioni, perché i veri imprenditori sanno che non si deve guardare la crisi, ma concentrarsi sulle proprie idee e avere le risorse necessarie per portarle avanti. Ecco, a Milano tutto questo accade.
Possiamo dire che oggi tutto è urbanistica, come lo slogan di Domus 2019?
Se possiamo dire che tutto è urbanistica, dobbiamo aggiungere che non tutta l’urbanistica è uguale. Milano, per esempio, è un esempio di urbanistica perché è capace di trovare soluzioni di vivibilità che altrove non ci sono e che rispettano la vita associata dei cittadini in tutte le loro espressioni, dalla famiglia al lavoro alla vita individuale. Per questo è diventato un brand che si ‘vende’ molto all’estero, ma che non è un concept esportabile. Lo dimostrano tutte le città che hanno cercato di copiare Milano, ma che non sono riuscite a farlo.
Perché non si riesce a copiare Milano?
Forse non si riescono a copiare anche altre città, ma di certo non si copia Milano. Era già così ai tempi di Ludovico il Moro, che appunto fece venire Leonardo perché aveva raccolto gli artigiani e una serie d’intellettuali. Con il Moro la città s’illuminò fino a che non arrivarono i francesi. Quello fu il suo errore... Per questo siamo arrivati all’idea del “Creato a Milano”, “Creato alla Settimana del Mobile”. Perché a Milano creare le cose è facile, perché le persone rispondono sempre. Basta non avere secondi fini. Quali altre città sono per lei un punto di riferimento. E perché?
Potrei citarne molte, perché viaggio molto e sono colpito da tante realtà. Però soprattutto in questi giorni penso che sia interessante il fenomeno opposto. Ovvero quante volte Milano viene citata come modello da altre città, che vengono a studiare il suo sistema.