Questo articolo è stato pubblicato precedentemente su Domus 1093.
Gio Ponti ha una predilezione per alcuni materiali, a cui riconosce entusiasmanti possibilità espressive – la ceramica e il vetro, per esempio – che disegna, impiega e integra nelle sue architetture. Predilige anche alcuni artisti, come Massimo Campigli, Giorgio Morandi e Fausto Melotti, capaci con la loro arte di echi antichi di dare forma a una nuova modernità.
Tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, l’architetto milanese ha modo di mettere a punto una sintesi tra arte e artigianato grazie alla collaborazione con la storica fornace di Paolo Venini, a cui propone una serie di bottiglie antropomorfe, dalle sembianze femminili vezzose ed eleganti, come manichini sartoriali di piccola scala. Un “giuoco allegro”, come lo definisce Domus 231 (1948), di grande successo, tanto da rappresentare l’arte vetraia alla rassegna “Italian Design” che viaggerà, tra il 1950 e il 1953, negli Stati Uniti.
L’esposizione, nata dalla volontà di 12 musei americani di documentare la varietà di espressioni dell’artigianato italiano, è fortemente promossa dal direttore di Domus, che descrive sulle pagine della rivista come “un’impresa esemplare, generosa, meticolosa”, “un gesto civilissimo di protezione di tutti i valori del mondo”, e regala ai lettori un’ampia selezione di mobili, terrecotte, ceramiche, mosaici, lampade, smalti, stoffe, paglie (Domus 252, 1950). Faceva parte dei manufatti presentati in America una serie particolarmente felice, le bottiglie Donna Campigliesca, in cui Ponti sperimenta con le forme, i colori, i materiali e l’arte dell’amato pittore (a cui aveva affidato, non a caso, il ritratto di famiglia, esposto in occasione della grande retrospettiva pontiana a Parigi, nel 2018).
Il disegno dell’Archivio Venini, a matita su carta, mostra il profilo della bottiglia, con i contorni delle sinuosità modellate ma discrete e una silhouette umana quasi primitiva, che porta alla mente le donne di Campigli e i suoi riferimenti all’arte etrusca, austera e poetica. L’indicazione “qui filigranato” precisa la differente finitura della bottiglia, resa possibile dall’impiego della tecnica dell’incalmo, una lavorazione antica del vetro che consente di ottenere manufatti di due o più zone di colore diverso. La Dama Campigliesca si compone infatti di quattro parti differenti, tre per il corpo e la quarta come “tappo cappello” che conclude e corona la forma.
Le parole con cui Lisa Ponti coglieva la forza comunicativa di Campigli e del suo rimando all’arte etrusca, di “una potenza di espressione contenuta in una enigmatica forma chiusa, ermetica, senza appigli” (Domus 269, 1952), sembrano adatte a descrivere anche le forme che il padre disegna per Venini. Oggi, la storica fornace ripropone le dame in diverse colorazioni: con il busto grigio talpa trasparente, abbinato alla gonna e al viso azzurro acquamare o rosso, e nella versione trasparente, con corpetto e cappellino in materia vitrea opalina.