Nel saggio “Inventare il futuro: per un mondo senza lavoro”, i filosofi Nick Srnicek e Mark Williams immaginano un mondo utopico in cui tutto il lavoro sarà svolto dalle macchine, gli uomini non avranno più bisogno di lavorare e saranno sostentati da un reddito universale, garantito a tutti senza distinzione di classe, genere o nazionalità.
Uscito nel 2015, il testo ha scatenato un dibattito in tutto il mondo e ha introdotto una delle grandi sfide per prossimi decenni. In una recente dichiarazione, la giovane politica americana Alexandria Ocasio-Cortez ha dichiarato “We should not be haunted by the specter of being automated out of work. We should be excited by that. But the reason we’re not excited by it is because we live in a society where if you don’t have a job, you are left to die. And that is, at its core, our problem.”
Se le teorie dei filosofi e Srnicek e Williams possono sembrare radicali, guardandoci attorno troviamo in continuazione segni che il mondo sta andando incontro ad un’automazione che, anche se non sarà completa, sconvolgerà il modo in cui concepiremo il lavoro e la vita.
Questi scenari affascinano sicuramente molti artisti e designer, che contribuiscono al dibattito con le loro sperimentazioni estetiche e funzionali. Un esempio è il progetto accademico RoboKumbia, che lo Studio José de la O ha sviluppato in collaborazione con la Industrial Design School del Monterrey Institute of Technology.
L’obbiettivo della ricerca è speculare su come apparirà la tecnologia nel contesto urbano messicano. Gli studenti hanno disegnato ognuno un robot in grado di suonare uno strumento musicale differente: percussioni, marimba, basso, e sintetizzatore. Se sincronizzati, i robot suonano La Sampuesana, la prima canzone di Cumbia ad essere stata suonata in Messico.