Isolamento, coprifuoco, spostamenti vietati; solitudine per qualcuno, vivere a stretto contatto con la famiglia per altri. Prima del Covid-19, il silenzio era una eccezione. Oggi è un’ambizione. “Non sarebbe male anche nella progettazione delle città prevedere delle zone di silenzio”, fantasticava in un'intervista a Domus Renzo Vitale, l’artista e ingegnere acustico che insieme ad Hans Zimmer crea il suono delle BMW elettriche. E raccontava la straniante eppur meravigliosa sensazione vissuta in piena pandemia di una città senza traffico e senza attività, una città silenziosa.
All’inizio del Novecento un medico, Julia Barnett Rice, fonda a New York la Società per la soppressione del rumore non necessario, ci aveva raccontato Vitale: non c’erano ancora i veicoli come li conosciamo, con la loro impronta mefitica nell’aria e nel suono delle città. Il rumore era quello delle sirene delle navi in avvicinamento, delle carrozze, dei cantieri.
Ci sono svariati indizi a dimostrare che negli ultimi mesi le azioni del silenzio si sono alzate parecchio, nel paniere delle necessità primarie post-Covid. Uno è sicuramente la campagna di comunicazione delle nuove Dyson Zone: al lancio delle sue cuffie con filtro purificatore, l’azienda britannica ha allegato un approfondito studio sulla quota di rumore che è presente nelle metropoli e che tutti desideriamo attutire. Mettendo simbolicamente sullo stesso piano rumore e smog, i due principali inquinamenti in città. Un altro è un articolo recentemente apparso sulle colonne digitali del magazine tecnologico The Verge, a firma del vicedirettore Dan Seifert e dall’emblematico titolo “AirPods are earplugs now”, che ha messo in moto i pensieri raccolti nel pezzo che stai leggendo.
Per Seifert è un dato di fatto: gli auricolari si sono trasformati in tappi per le orecchie hi-tech, che usiamo per silenziare un mondo esterno che percepiamo come troppo rumoroso. Non soltanto per strada, ma anche in un contesto dove il silenzio spesso non è una opzione, ma una necessità: quando sei al desk in ufficio.
Il vicedirettore di The Verge nel suo articolo si concentra sulle AirPods di Apple, nella versione Pro. Le AirPods sono uno di quei casi in cui un singolo prodotto ha dato nome a una intera categoria. Soprattutto negli Stati Uniti, dove la Mela ha una percentuale altissima negli smartphone utilizzati.
Ma c’è anche un altro aspetto: le AirPods e soprattutto le AirPods Pro – recentemente aggiornati alla seconda generazione – sono probabilmente i migliori auricolari sotto il profilo del design dell’esperienza. Passare dalla modalità di cancellazione del rumore a quella di trasparenza, in cui ascolti i suoni esterni come se non indossassi le cuffiette, è un’operazione immediata. Lo puoi fare anche senza toccarle, chiedendolo direttamente a Siri.
Silence is sexy/ Silence is sexy, so sexy/ So silence
Einstürzende Neubauten, 2000
Apple Music nel suo catalogo offre una sezione chiamata Focus, in cui sono collezionate playlist dedicate per quando si studia, si legge o si lavora, che rientrano perfettamente nella categoria che il compositore Satie definiva come musique d'ameublement. Ma in molte occasioni queste playlist non sono necessarie: non cerchiamo un arredamento sonoro, vogliamo il silenzio.
Per esempio in questo momento scrivo questo articolo indossando gli auricolari con la cancellazione del rumore attivata, ma non per ascoltare qualcosa. Anzi, il senso è proprio che non voglio ascoltare nulla. Solo voci ovattate e qualche clic di tastiera silenziato.
Shhhh, Shhhh
Björk, 1995
Le AirPods Pro attutiscono i suoni esterni riducendoli a una presenza di sfondo, ma senza davvero spegnerli del tutto, senza darti quella vertigine in cui ti risucchia il silenzio assoluto o senza tagliarti fuori dalla realtà. Pettinano i rumori, le voci di sottofondo, plasmandoli in qualcosa di digeribile, accettabile.
Insomma, Apple ha (inconsapevolmente?) creato i nuovi tappi per le orecchie. Le AirPods Pro sono diventate la mia barriera all’incessante brusio dell’ufficio – e chissà di quanti altri. Certo, una redazione non è mai stato un luogo silenzioso, non deve esserlo, l’abbiamo visto anche nei film, diamine! Neanche quella di Domus, per quanto più elegante (e meno burrascosa) di tante altre, lo è. Ma è comunque più rumorosa di casa mia, o di un co-working minimamente civile. Senza contare che lavoriamo oramai sempre e ovunque: in ufficio, ma anche al bar, sul treno, in aeroporto. E talvolta vorresti solo leggere un libro in un caffè, ma prova a farlo in Italia senza gli AirPods nelle orecchie…
L’inferno sono gli altri, sosteneva l’esistenzialista Sartre. Di certo l’organizzazione degli spazi di lavoro che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni sembra disegnato per dargli ragione.
Qualche tempo fa aveva suscitato qualche mal di stomaco di troppo il bell’articolo di Andrea Nepori sulla possibile irrilevanza dei pod acustici nell'ufficio post-Covid.
Non si trattava di un articolo veramente contro i pod, che fanno egregiamente il loro lavoro, ma sulla sclerotica realtà dell’open space, luoghi disfunzionali di condivisione della sofferenza: belli nei render, nella realtà una roba da polli in batteria – rumorosi, asettici, spesso illuminati male. Purtroppo non c’è un quote che il compianto Mark Fisher, teorico del capitalismo realista, ci abbia lasciato sulla questione, e la rimpiangiamo.
Il successo del Beltrade, un cinemino nel quartiere Nolo, è un caso nella città di Milano, in cui ristoranti e negozi di abbigliamento continuano a nascere, mentre cinema e teatri sono in via d’estinzione. Un successo dovuto anche alla curatissima immagine coordinata che accompagna le proiezioni (questo è molto milanese, siamo tutti d’accordo). Prima di ogni film, si sente un frammento del capolavoro del 1998 di David Lynch, Mulholland Drive: “Silencio!”, dice la voce prima che inizi la pellicola: come a ricordarci che i dialoghi che seguiranno sono da ascoltare, non da cancellare come ci siamo oramai abituati.
“Ascolta, è così silenzioso”, osserva uno dei soldati tedeschi di Niente di nuovo sul fronte occidentale, il film tedesco sulla Grande Guerra nominato tra i migliori agli Oscar 2023, al sopraggiungere della notizia dell’armistizio. La fine della guerra, per gli sventurati combattenti sul confine tra Francia e Germania, è prima di tutto la fine dell’orrore sonoro creato dalle macchine belliche. Per loro il silenzio è un canto di salvezza per i combattenti mandati al massacro al fronte.
Un secolo e una manciata di anni più tardi, in un contesto in cui si vive di più e i nostri corpi vengono sì logorati, ma in maniera diversa e meno devastante, l’ambizione salvifica al silenzio rimane attualissima. Accompagnata da un sempre maggiore autoisolamento.
Accendere l’opzione di cancellazione del rumore significa prima di tutto rifugiarsi in una bolla sonora tutta nostra, che non condividiamo con nessuno.
Ma tuffarci nel benessere di un mondo di suoni ovattati non cambia granché nel design del mondo circostante. Ci lascia in preda a un silenzio che rischia di diventare solo una gigantesca solitudine che abbraccia ogni orizzonte futuro.
L’ideale novecentesco di un benessere acustico condiviso, come quella per cui si impegnava la dottoressa Julia Barnett Rice citata da Vitale, è stato sostituito da soluzioni individuali che cercano di salvaguardarci da un mondo troppo complesso, con troppi stimoli e troppo rumoroso. Trasformandoci, anche se non ce ne accorgiamo, in tanti prepper del silenzio per una apocalisse che è già in atto.
No alarms and no surprises/ Silent, silent
Radiohead, 1998
Immagine di apertura Anna Dziubinska da Unsplash
- Alternative alle AirPods:
- Oltre alla seconda generazione di AirPods Pro, che hanno un ruolo da protagonista per i motivi spiegati sopra, abbiamo provato altri auricolari cercando di usarli per cancellare i rumori circostanti. L’esempio più felice è sicuramente quello delle Bose QuietComfort 2, che sono leggere e lasciano all’utente varie possibilità di preset di cancellazione del rumore da alternare, tra cui una “focus” oltre a quella silenziosa. C’è da dire che dai nostri test sono meno efficaci come puro silenziatore dei rumori ambientali, anche se in questa modalità funzionano sicuramente meglio delle pur lodatissime Sony WF-1000XM4 – che restano ottime per musica, podcast e chiamate. Queste ultime non sono neanche ottimizzate per creare in modo permanente una condizione di trasparenza rispetto ai suoni esterni, per cui rispetto ad altri modelli pensati per essere sempre addosso, si finisce per toglierle spesso, con tutti gli aspetti di scomodità conseguente. Avremmo voluto mettere alla prova anche le Galaxy Buds 2, ma Samsung non ha potuto fornirci un sample da testare. Tutti gli auricolari di fascia inferiore che abbiamo provato, tra cui le Nothing Ear (1), di cui siamo grandi sostenitori, non hanno dato grandi risultati. La cancellazione del rumore di alto livello resta appannaggio di pochi brand e solo nei loro prodotti di punta. Certo, si possono sempre usare dei classicissimi e tradizionali tappi, per esempio quelli di Flare, un’azienda britannica che ne fa di ottimi. Ma se poi arriva una chiamata, o devi ascoltare un vocale su Whatsapp, sai che macello?