"La Fabrique du Vivant", in mostra al Centre Pompidou (Parigi) fino al 15 aprile 2019, invita il pubblico a scoprire un nuovo tipo di design. Esplorando gli intriganti mondi del bio-hacking e della bioingegneria, l’esposizione rivela una serie di oggetti e architetture le cui forme non solo possono essere disegnate/programmate usando strumenti digitali, ma evolvono, degenerano e mutano in modo naturale. Per un design che potremmo definire "vivo".
Dagli organismi geneticamente modificati all'intelligenza artificiale, le sperimentazioni con la vita sono una costante nella ricerca di scienziati, artisti, architetti e designer.
Già nel 1878, il fisiologo francese Claude Bernard profetizzò che un giorno la fisiologia sarebbe stata in grado di creare nuovi animali e piante. Una supposizione che nel 2014 la designer britannica Alexandra Daisy Ginsberg - che nella mostra al Centre Pompidou espone il suo progetto "Resurrecting the Sublime" - ha rievocato nel suo libro "Synthetic Aesthetics" chiedendosi "Come progetteresti la natura?".
Una rapida scansione di mostre recenti e imminenti - da "Radical Matter" (libro pubblicato nel 2018) a "Fashioned from Nature" (V&A, Londra, 21 aprile 2018 - 27 gennaio 2018) e "Broken Nature" (XXII Triennale di Milano, 1 marzo - 1 settembre 2019) - conferma che la manipolazione degli organismi viventi per creare artefatti che superano i confini tra naturale e artificiale è di nuovo al centro dell’attenzione anche in ambito museale.
Abbracciando il bio-design come il nuovo “green”, la mostra "La Fabrique du Vivant" presenta una selezione non esaustiva di artefatti - che vanno dall'arte contemporanea al design e all'architettura - prodotti a partire da esseri viventi come alghe, funghi, batteri e insetti. Nonostante la scenografia infelicemente tradizionale - che si traduce in un'esperienza di visita poco entusiasmante che contrasta con la ricerca innovativa che vuole evidenziare - la mostra (e il catalogo) offre uno spaccato, a tratti ambiguo, di come la bio-progettazione potrebbe consentirci di controllare e assoggettare il "naturale".
Entrando nella prima sala - al primo piano del Centre Pompidou - i visitatori sono accolti dall'odore del micelio - la parte vegetativa dei funghi - che è stato utilizzato per la costruzione di un grande arco free-standing che si trova all'ingresso della mostra. Immaginato da David Benjamin, il fondatore di The Living - uno studio di architettura che usa gli organismi viventi come materiale costruttivo - l'installazione è composta da blocchi di mattoni in compost che si autoassemblano grazie alla massa bianca ramificata del micelio.
Una volta indurita la struttura, il processo di crescita viene interrotto lasciando asciugare i mattoni. Allo stesso modo, la "Mycelium Chair" - anch’essa esposta - è stata "coltivata" dai designer olandesi Eric Klarenbeek e Maartje Dros nel 2013; prima sedia mai stampata in 3D con micelio vivente, l’oggetto è anche completamente biodegradabile. Una caratteristica rivoluzionaria secondo i due curatori Marie-Ange Brayer e Olivier Zeitoun, che introduce un nuovo rapporto con la temporalità nel mondo del design.
Il tempo è, in effetti, un fattore importante quando si tratta di processi legati alla bioingegneria. Come spiegano i curatori, molti dei manufatti presentati all’interno della mostra non sono quindi né sculture né pezzi di mobili, ma "sistemi". (Eco)sistemi creati artificialmente che, tuttavia, possono crescere, estendersi e quindi modificarsi nel tempo.
Nella stanza più buia dell’esposizione - quella dedicata agli esperimenti da laboratorio - l’opera dell'artista messicana Gabriela Munguía si decompone lentamente. "Habitaculos orgánicos" (2015) consiste in un assemblaggio di cubetti di agar destrosio, un preparato utilizzato nei laboratori scientifici per studiare i funghi. Al suo fiando è esposta la serie di tre torri archetipe "Somehow They Never Stop Doing What They Always Did" (2014) immaginate dall'artista franco-svizzero Julian Charrière. Costruite con mattoni di gesso mescolati a fruttosio e lattosio, le strutture si ergono come sculture viventi effimere.
La ricerca di sistemi ispirati alla natura è particolarmente evidente in ambito architettonico. Nel corso dei decenni, molti architetti - pensiamo a René Binet e Gaudí, ma anche a Kenzo Tange e Frei Otto - hanno studiato le forme e i sistemi strutturali della natura per sviluppare i loro progetti. Oggi, secondo la curatrice Marie-Ange Brayer, si stanno rivolgendo sempre più alla biocomputazione, un approccio che consente loro di simulare sistemi viventi che crescono e si estendono naturalmente.
"Algo Screen" (2019) è un progetto sviluppato dallo studio francese XTU (Anouk Legendre e Nicolas Desmazières) in cui le alghe si trasformano in biomassa per creare edifici in grado di produrre energia. Anche ecoLogicStudio (Claudia Pasquero e Marco Poletto) ha incluso le alghe tra i materiali utilizzati per la sua installazione "H.O.R.T.U.S. XL Astaxanthin.g" (2019). Realizzata in PETG (Polyethylene Terephthalate Glycol), la grande struttura ospita microalghe fotosintetiche che proliferano grazie alla CO2 prodotta dai visitatori della mostra. Infine - echeggiando la recente installazione di Tomaso Saraceno al Palais de Tokyo di Parigi ("On Air", 17 ottobre 2018 - 6 gennaio 2019) - il duo di ecoLogicStudio presenta anche "Xeno Derma" (2018), una struttura su piccola scala realizzata da un Asian Fawn Tarantula, un ragno originario della Malesia noto per la sua intensa produzione di ragnatele di seta.
- Titolo mostra:
- La Fabrique du Vivant
- Date di apertura:
- 20 febbraio - 15 aprile 2019
- A cura di:
- Marie-Ange Brayer, Olivier Zeitoun
- Luogo:
- Centre Georges Pompidou
- Indirizzo:
- Paris, France