La African Fabbers Schools è un progetto educativo innovativo che unisce ricerca e progettazione, innovazione tecnologica e cultura tradizionale. La scuola ha trovato una sede stabile a Douala, nel Camerun sudoccidentale, dopo aver viaggiato in numerosi paesi africani - Marocco, Ghana, Mali, Burkina faso e Senegal – per più di 10 anni. Abbiamo approfondito i temi e le ambizioni della scuola con il suo iniziatore e direttore Paolo Cascone.
Quali sono le esigenze da cui è nata la scuola?
L’African Fabbers School (AFS) nasce dalla scarsità di scuole di design e architettura in Africa e dall’assenza di programmi di ricerca europei su queste tematiche. Parlo di progetti che vadano oltre la retorica tipica delle iniziative umanitarie e di cooperazione vecchio stampo.
La AFS deriva da un percorso iniziato quasi 15 anni fa, inizialmente è stata un’iniziativa itinerante che ha toccato vari paesi tra cui Senegal, Marocco, Mali, Burkina Faso etc. Il nostro è il primo laboratorio di fabbricazione digitale per l’architettura ed il design in Africa.
La scuola propone la connessione tra culture “avanzate” e sapere vernacolare. L’Africa è un continente che, malgrado gli strascichi coloniali, cresce economicamente in modo esponenziale. Per rispondere a questo sviluppo c’è bisogno di nuovi processi culturali e produttivi in grado di intercettare le esigenze locali.
È programma educativo pensato per generare piccole imprenditorialità e immaginare nuove economie circolari
A quale pubblico sono rivolti gli insegnamenti che proponi e a che tipo di comunità vuole essere di sostegno?
La ricchezza di questo progetto sta nell’aver creato una rete fatta di ponti culturali tra Europa e Africa: istituzioni locali e biennali d’arte, università prestigiose e cooperative di artigiani, ong, fondazioni private e singoli individui interessati al progetto.
I nostri interlocutori principali sono piccoli artigiani o giovani che vorrebbero studiare design e architettura, ma abbiamo anche richieste di studenti e ricercatori europei che vorrebbero sviluppare le loro ricerche da noi.
È programma educativo pensato per generare piccole imprenditorialità e immaginare nuove economie circolari. Vogliamo dare una prospettiva a lungo termine per la realizzazione di soluzioni abitative e micro-infrastrutture urbane sostenibili e replicabili.
Che tipo di progetti vengono realizzati?
Nel tempo abbiamo portato avanti iniziative molto diverse: ci siamo occupati per lo più di realizzare microarchitetture a servizio delle comunità native; abbiamo insegnato agli artigiani ad auto-costruirsi le loro stampanti off grid; a Dakar abbiamo contribuito ad aprire il primo fab-lab del Senegal in un quartiere di artigiani.
In Camerun abbiamo appena terminato la prima fase di realizzazione di un laboratorio permanente, per cui avremo la possibilità di sviluppare un programma più articolato. Dal 2019 lavoreremo al progetto di costruzione dell’estensione dell’hub creativo con spazi espositivi, aule studio... il cantiere vedrà coinvolte imprese e gruppi di studenti che auto-produrranno una serie di componenti grazie al nuovo laboratorio appena installato.
Allo stesso tempo, dopo aver studiato la ricchissima cultura costruttiva locale, abbiamo deciso di cominciare ad occuparci di due filiere importanti: la terra – cruda e cotta – e il legno. Il Camerun è uno dei maggiori esportatori di legno per il design italiano ed europeo; qui troviamo anche degli incredibili esempi di architettura di terra battura: le architetture musgum, dalle tipiche forme a catenaria.
Come valorizzare competenze e valori tradizionali con strumenti occidentali e avanzati? Non c’è il rischio che la tecnica abbia la meglio sulla cultura autoctona?
Sono molti gli studi che testimoniano una grande familiarità con le tecnologie digitali delle nuove generazioni africane. Basta vedere le mappe di diffusione della telefonia mobile per capire quanto sia veloce il processo di digitalizzazione di questi paesi. Quello che caratterizza questi processi è l’informalità, ed è in essa che bisogna investigare per sviluppare modelli economici in grado di auto-sostenersi in osmosi con il loro territorio.
La AFS considera la produzione come strumento di indagine antropologica, come pratica in grado di tenere tessuti sociali disagiati facendo di necessità virtù
Come dice lo scrittore senegalese Felwine Sarr bisogna “pensare le economie africane nel loro sostrato culturale” per evitare gli errori del passato. Questo non vuol dire rinunciare alle opportunità delle nuove tecnologie, al contrario bisogna acquisire consapevolezza della cultura locale e allo stesso tempo integrare la cultura digitale per sviluppare soluzioni endogene.
Quanto tempo viene dedicato al lavoro manuale e quanto a quello digitale? Quanto tempo all’indagine antropologica e quanto alla produzione?
La scuola non vive questa dicotomia tra manuale e digitale né tra teoria e pratica. C’è piuttosto una continua interazione tra competenze diverse per creare quel valore aggiunto che abbiamo perso nella società occidentale: saper costruire insieme. La manifattura è insita nella cultura popolare di molti africani. La AFS considera la produzione come strumento di indagine antropologica, come pratica in grado di tenere tessuti sociali disagiati facendo di necessità virtù.