C’è un luogo a Milano che celebra la lentezza, le riviste indipendenti, la fotografia e il tè giapponese. Nasce da un manager formatosi nel mondo del retail, che ha cambiato pelle. Dopo quasi 24 anni in giro per il mondo, dopo 5.000 giorni di viaggi in 103 paesi, alla vigilia dei 50 anni ha deciso di cambiare vita e aprire una concept gallery, che è anche una libreria-cartoleria, uno spazio espositivo e a breve un hotel diffuso. Stamberga è nata nel 2015 come atelier fotografico e negli anni si è evoluta in uno spazio polivalente. Durante il Salone ha ospitato un allestimento con i pezzi iconici di Bonacina, gli oggetti di modernariato di 1+1 Gallery di Andrea Scarabelli e il packaging di Sen Factory che utilizza vecchi kimono riciclati. In occasione di Photofestival (fino al 26 maggio) ospita la mostra “Sospiri Tropicali”, con i lavori fotografici di Caroline Gavazzi, mentre per la Milano Photo Week (dal 6 al 10 giugno 2018) accoglierà gli scatti di Yoshie Nishikawa con la mostra “Kuu”.
Stamberga. Una finestra d’Oriente a Milano
Una chiacchierata a bassa voce con Marco Beretta, viaggiatore, commerciante di tè e fotografo, ideatore di una concept gallery a Milano.
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- Marianna Guernieri
- 24 maggio 2018
- Milano
Come nasce Stamberga?
All’inizio era la mia galleria, ma non volevo fare come una volta, quando i pittori avevano il loro atelier unito alla galleria, per cui ho trovato un nome — mi ci sono voluti anni — e ho deciso piano piano di “scaldarla”: ho aggiunto i libri e mi sono ritrovato ad avere una vera libreria. Dopo tre anni è la Poetic Library di Stamberga. Oggi sono un libraio, mi piace tantissimo. Durante i miei viaggi compravo riviste indipendenti a più non posso, e ora abbiamo circa 210 titoli di independent magazines che spaziano dalla fotografia, all’arte, ma anche fashion e moda. Water, ad esempio, è una rivista che parla solo di acqua, mentre Atleta è una rivista fotografica di sport, stupenda.
Un amore per il tè...
Avendo passato quasi 24 anni ad andare e tornare in Oriente, bevo solo tè ormai. Ho depositato il mio marchio, creato un’immagine coordinata e iniziato con una carta da 25 tè in cui ci sono tutti: i verdi cinesi e giapponesi, i neri, i bianchi. Quando organizzo un evento o una mostra, offro una degustazione di tè, unita a dolcetti artigianali che prepara una signora giapponese di 70 anni, un po’ come nel film Le ricette della signora Toku. C’è un pensiero filosofico a monte di tutto il progetto Stamberga, che è quello di viaggiare per il tè.
C’era un amico di mio papà che diceva che siamo posseduti da ciò che possediamo, e in effetti da quando ho Stamberga non faccio null’altro
Che cos’è la Paper and Inspired Stationery di Stamberga?
Con i libri e le riviste lo spazio si è scaldato, e poi pian piano ho aggiunto la cartoleria. C’era un amico di mio papà che diceva che siamo posseduti da ciò che possediamo, e in effetti da quando ho Stamberga non faccio null’altro. Per cui questo spazio mi rappresenta: a casa ho un muro così, ho queste fotografie, leggo questi libri, queste riviste, ascolto questa musica, scrivo con queste matite, su questi blocchi giapponesi. Ho pensato di fare una cartoleria come piace a me! Importo direttamente diversi marchi di nicchia, provenienti da Giappone, Taiwan, Germania e Spagna. Matite di ottone e rame giapponesi, carte dal sapore parigino, e marchi più da architetto, come Octàgon Design – di Barcellona – oppure la Gmund, che è la Rolls Royce delle carte, un’eccellenza tedesca.
Spiritus è il progetto fotografico che hai presentato quest’anno al MIA Photo Fair.
Da 22 anni fotografo lo stesso soggetto. Le mie foto ritraggono unicamente monaci buddisti, e nascono in tre periodi distinti: 7 anni nel nord dell’India e nello Zanskar, dove a un certo punto ho scattato la foto ‘bella’ e ho cercato di replicarla per un anno intero – non volendo cambiare soggetto ho deciso di cambiare contesto. Dai 4.000 metri dell’Himalaya sono andato in Mongolia per tre anni con la transmongolica che va da Pechino a Ulan Bator, dove i templi non sono arroccati ma si sviluppano in piano a un’altitudine di 1.300, 1.500 metri. Infine sono sceso in Laos e Birmania, dove cambia anche il tipo di Buddismo. Nel frattempo sono invecchiato per cui ci sono arrivato nel periodo giusto, un luogo dove è nata la fotografia che ha dato il titolo a un lavoro di vent’anni, Spiritus.
A 50 anni hai una visione lucida e chiara, perché vedi quello che sei in modo cristallino
Dopo tutti i tuoi viaggi, come ti trovi a Milano?
Non ho l’idea di andare via, quando stai via tanto, com’è successo a me, mi viene in mente la nonna che diceva “mogli e buoi dei paesi tuoi”. A 50 anni hai una visione lucida e chiara, perché vedi quello che sei in modo cristallino. Dopo aver lavorato in moltissimi paesi con ortodossi, mussulmani, ebrei, cinesi avevo proprio voglia di tornare: mi sono tenuto l’Italia per quando sarei stato più vecchio, e ha funzionato. Io sono di Lecco, e ho una casa nel bosco, in Brianza. Milano è l’unico posto dove si poteva realizzare Stamberga, è competitiva, trovi tutti che fanno tutto e lo fanno meglio. È stressante, ma è grazie a questo stress che si riescono a fare molte cose contemporaneamente. Poi però la sera torno a casa, arrivo e c’è il ponte, il fiume, il lago. Mi godo la città senza venirne fagocitato e quando rientro c’è chi ti porta a casa il pane. Insomma, cose che ti eri quasi dimenticato.
Se potessi esprimere un desiderio?
Hai letto Seta di Baricco? Se potessi mi farei trasportare a fine Ottocento, per andare a fotografare Cina e Giappone, oppure commerciare bachi da seta con i nipponici.
Un libro, un tè e un oggetto da consigliare ai nostri lettori?
Il libro è quello che mi sta facendo un po’ da guida per la casa nei boschi. Si intitola Wabi Inspirations dell’architetto belga Axel Vervoordt (ed. Flammarion). Questo libro mi rilassa e mi rimette a posto, è bellissimo al tatto, mi piace il profumo, e ti spiega che quando la resina si crepa è una cosa bella, perché il materiale si evolve.
Come tè, consiglierei il tè blu e l’oolong – un tè che non è più verde ma non ancora nero. Si chiama semi-ossidato, ci sono quelli ad alta o bassa ossidazione. Quando la foglia si sta ossidando, cioè da verde diventa nera, l’ossidazione viene bloccata da un colpo di calore fortissimo con dei getti di aria calda, creando così i classici riflessi bluastri. I francesi, che sono i veri mercanti del tè, lo chiamano le thé bleu.
Per l’oggetto non ho dubbi: la matita in ottone. È fatta a Taipei con dei telai vecchissimi, una tecnica del passato. Il materiale poi, a contatto con la pelle, tende a ossidarsi. È molto pesante, quindi all’inizio pensavo di non riuscire a usare uno strumento del genere, ma poi ti abitui e non è più lei che ti sembra pesante ma sono le altre che ti sembrano leggere, senza corpo.
- Stamberga
- Marco Beretta
- Via Melzo 3, Milano