Melbourne, avamposto urbano in espansione nella vastità del continente australiano, è una città giovane dal patrimonio antico. Il sito, divenuto città nel 1835, era stato sede del patto di Kulin, un accordo stretto tra cinque nazioni indigene, ciascuna con una lingua diversa. La giustapposizione di queste storie è stata al centro di una delle prime manifestazioni della Melbourne Design Week 2018 con il lancio del libro Colony, in occasione di due mostre della National Gallery of Victoria (NGV): “Colony: Australia 1770-1861” e “Colony: Frontier Wars”. Il libro analizza il passato degli insediamenti coloniali australiani, accanto all’arte e al design nati in quell’epoca, oltre che il conflitto tra indigeni australiani e colonizzatori europei nella lotta per il territorio, la cultura e le risorse. La presentazione afferma che i rapporti tra nuovi arrivati e popolazioni indigene hanno avuto effetti di lungo periodo sulla cultura e sull’attività progettuale della nazione emergente.
Melbourne Design Week 2018: Decolonizzare il progetto
Il primo report dalla Melbourne Design Week si concentra sul lavoro dei progettisti alla ricerca di un’identità australiana.
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- Philippa Nicole Barr
- 10 aprile 2018
- Melbourne
Con un programma di manifestazioni, laboratori, visite guidate, tavole rotonde e mostre, la Melbourne Design Week 2018 ha analizzato il configurarsi dell’identità australiana nel contesto postcoloniale, indicando percorsi nuovi per le professioni del progetto. Al dibattito “Design Effects”, organizzato dalla NGV, Stephen Gilchrist ha affermato la necessità di un nuovo linguaggio analitico che miri a decolonizzare il design, mentre la terminologia convenzionale rafforza il punto di vista europeo e favorisce tendenze deleterie. La prima parte di questa cronaca illustra come i professionisti stiano cercando di decolonizzare il design e di dar forma a un’identità australiana con tecniche, collaborazioni e protocolli di nuovo genere.
In una mostra intitolata “Architects”, che comprendeva le opere di 11 progettisti australiani attivi al confine tra arte e progetto, Guy Keulemans e Kyoko Hashimoto hanno presentato “Japanese ritual objects from the time of fossil capital” (“Oggetti rituali giapponesi dell’epoca della capitale fossile”), per attirare l’attenzione sul pensiero apocalittico e di corta prospettiva su cui si fonda l’uso di combustibili fossili per la produzione di plastica e il trasporto dei beni in tutto il mondo, che crea inquinamento, emissioni di anidride carbonica e spreco. In mostra oggetti rituali buddhisti giapponesi fabbricati con un composto di calcestruzzo e pezzi di giocattoli di plastica, che rappresentano due differenti orizzonti degli eventi e due differenti visioni del mondo.
Il processo di decolonizzazione mette anche in discussione gli stereotipi riguardanti celebri tradizioni progettuali
Il processo di decolonizzazione mette anche in discussione gli stereotipi riguardanti celebri tradizioni progettuali. La designer Lyn-Al Young mostra la longevità delle tradizioni progettuali indigene di tutta l’Australia. Invece delle tecniche di pittura a punti più comuni nel Centro e nel Nord, usa rombi e righe, distintivi tradizionali di vari gruppi indigeni del Sudest. Il trasferimento di questi motivi su tessuto di seta è un passo avanti nel processo culturale di tutela e di adattamento. “Dato che all’epoca della colonizzazione le tradizionali incisioni sugli alberi venivano eliminate per motivi agricoli”, sottolinea, “i miei nonni misero gli stessi segni, per trasmetterli ai posteri, su boomerang e su altri artefatti.” Jefa Greenaway, architetto indigeno e direttore di “Indigenous Architecture + Design Victoria” (IADV), è dell’opinione che i progettisti indigeni stiano iniziando a consolidare delle proprie prospettive specifiche: “Credo che in tutto il mondo ci sia qualche reazione a proposito della struttura globalmente omogeneizzata di un design che potrebbe appartenere a qualunque luogo”, afferma.
Dalle tendenze primitiviste del periodo dell’arte moderna a oggi un ininterrotto interesse per il periodo modernista nel suo confrontarsi con la cultura indigena ha spesso avuto come risultato l’appropriazione e lo sfruttamento dei progetti indigeni e il disprezzo dei concetti di proprietà intellettuale e materiale. “Indigenous Architecture and Design Victoria”, in occasione della Melbourne Design Week, hanno lanciato un manifesto – l’International Indigenous Design Charter – per fornire delle linee guida nei rapporti con i progettisti indigeni e per chi intenda usare motivi decorativi, totem e immagini indigene. “Raramente si è instaurato un rapporto diretto con la cultura indigena”, spiega Greenaway. “Contemporaneamente alla volontà di trovare modi sensati di affrontare la cultura indigena si combatte per costruire una strategia in grado di garantire che ciò avvenga correttamente.”
“Raramente si è instaurato un rapporto diretto con la cultura indigena”
Un progetto, “Victoria Amazonica”, illustra una collaborazione felice tra progettisti indigeni e non. Lo studio brasiliano dei fratelli Campana ha proposto un progetto per valorizzare l’artigianato inconsueto. La scelta è stata di lavorare con vari gruppi di Alice Springs, nell’Australia centrale: la Indigenous Design and Technology Company e il Centre for Appropriate Technology per realizzare una struttura d’acciaio; e con il nuovo centro d’arte Yarrenyty Arltere affinché contribuisse con la sua innovativa tecnica di scultura morbida a realizzare una copertura in feltro e tessuto ricamato per la struttura: una vera e propria scultura morbida. Il progetto è stato coordinato localmente dal designer di Alice Springs Elliat Rich. “Victoria Amazonica”, un successo dal punto di vista tecnico e stilistico, oggi forma un naturale punto d’incontro e di dibattito all’ingresso della NGV. Con le sue decorazioni, che alludono all’importanza dei corsi d’acqua, anima di vita e di colore ciò che gli sta intorno.
Nella mostra “Decoding Design” il senso della fiducia giocava scherzosamente con tradizioni culturali differenti: progettisti di tre nazionalità hanno riprogettato oggetti tradizionali delle reciproche culture: la menorah ebraica, l’orologio a cucù tedesco e la pagoda cinese. Il designer d’auto cinese Yan Huang ha trasformato il quasi pacchiano orologio a cucù tedesco in una semplice forma organica che depone automaticamente uova, per attirare l’attenzione sulle carenze dell’habitat naturale e delle politiche di immigrazione in Germania, chiedendosi se non stiano diventando obsolete. La pagoda cinese è trattata con analoga irriverenza, trasformandola in un purificatore d’aria, in riferimento al noto problema cinese dell’inquinamento atmosferico. Così la Melbourne Design Week ribalta i nostri pregiudizi sul progetto come strumento di sostegno della cultura europea. Palcoscenico del carattere straordinario di queste idee e di questi progetti, che vanno dalla sperimentazione in esemplare unico alla produzione commerciale, è un ritratto di Melbourne come incrocio di differenti prospettive culturali. Queste prospettive indigene, coloniali e di immigrazione si intrecciano, si intessono e si combinano in modi nuovi, facendosi testimoni di nuovi percorsi progettuali e dell’eterogeneità dell’identità australiana.
- Melbourne Design Week 2018
- 15 - 25 Marzo 2018
- National Gallery of Victoria