Bisogna prendere la vita notturna (nightlife) molto seriamente. Parafrasando la più efficace e più celebre frase di Charles Eames “take your nightlife seriously”. Night Fever. Designing Club Culture 1960 - Today, al Vitra Design Museum di Basilea, è la mostra che racconta la storia del nightclub dal 1960 a oggi. Una storia che, attraverso la lente del design e dell’architettura, definisce un tutto che porta con sé i cambiamenti culturali della seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri. Tutta la cultura LGBT, l’emancipazione dal concetto genere, il passaggio dal capitalismo e postmoderno culturale alla gentrificazione e collettivismo post-postmoderno delle città: la Club Culture ha fatto da scenario attivo a tutto questo, e si è evoluta nel mentre. Impossibile pensare all’esistenzialismo di Sartre, la De Beauvoir senza la Parigi dei Deux Magots, alla letteratura Vociana e Futurista senza il Caffè Le Giubbe Rosse a Firenze, a Friends (la sitcom) senza gli appartamenti adiacenti di New York.
Night Fever: l’opera d’arte (totale) dei nightclub in mostra al Vitra Design Museum
Dal 17 marzo al 9 settembre al museo di Vitra a Basilea è in mostra la vita notturna dagli anni Sessanta a oggi. Ci siamo stati: qui il reportage.
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- Olga Mascolo
- 30 marzo 2018
- Basilea
Si parte dal presupposto che le discoteche sono opere d’arte totale – niente di meno delle operazioni “wagneriane” – con la differenza che il luogo fisico (il club), con i suoi interni, è il punto di partenza artistico dell’opera. Gli avventori del club sono attori di questa opera d’arte: il modo in cui occupano gli spazi è arte. Il modo in cui si dividono gli spazi è arte. La distribuzione della luce è arte. Il suono è arte. Il cameriere in livrea, la cultura del cocktail è arte. Non lo possiamo certamente dire promuovendolo, e non lo pensiamo: ma anche l’ecstasy è stata parte di questo spettacolo. La mostra di Vitra mette in scena tutto questo, cercando anche di trasmettere all’avventore quel senso di appartenenza a una cultura che nel tempo è cambiata. Ci teniamo a una precisazione: chi scrive è nato nel mezzo di tutto questo, negli anni Ottanta. È una precisazione doverosa perché la mostra è un’esperienza multipla. Di reviviscenza (o revivalismo: la disco della domenica pomeriggio negli anni Ottanta), ma anche di nostalgia di un passato altrui, non vissuto: la mostra si apre raccontando gli anni Sessanta e le sale ballo di epoca radicale in Italia (diverse le copertine della nostra Domus esposte).
Scrive Catharine Rossi, nel saggio che accompagna il catalogo della mostra (completissimo, un must have per gli appassionati): “Come altrove, l’Italia aveva una cultura di spazi per il tempo libero notturni, tra cui bar, jazz club e sale da ballo”. Le discoteche attraggono gli architetti più sperimentali del tempo, perché “la loro natura apparentemente democratica, non modificata e non ancora commercializzata offriva la libertà di immaginare nuove possibilità per l'architettura e il design”. Tutto ciò si concretizza nel Piper di Torino, progettato da Pietro Derossi e Giorgio Ceretti e Riccardo Rosso (più tardi diventeranno il Gruppo Strum), nel 1967 creano “L’altro Mondo” a Rimini. Firenze ebbe diversi Piper progettati da Archizoom Associati, Cristiano Toraldo di Francia e Adolfo Natalini di Superstudio. Sempre loro è il Mach 2 a Firenze, e alla mostra l’ingresso è una replica di un tunnel di quel locale. Poi ci furono Gruppo 9999 con Mario Bolognesi che aprirono lo Space Electronic. E poi fuori dalle città: Forte de Marmi il Bamba Issa del gruppo UFO Studio 65 fu attivo in Piemonte. Milano disegna Bang Bang di Ugo La Pietra, Aldo Jacober, Paolo Rizzati; mentre il Gruppo Strum realizza poi un teatro alla Triennale della Milano che rimandava al Piper.
E a proposito di teatro, nella vicina Parigi, niente di meno che Roland Barthes scriveva nel 1978 di La Palace su Vogue Hommes (teatro del 1920 trasformato in nighclub da Patrick Berger) e di come gli elementi di questo fossero stati ri-funzionalizzati in relazione al nuovo utilizzo, in cui però la luce ha un ruolo ancor più fondamentale, a differenza del teatro: “Nel teatro ordinario, la luce è remota, fissata al palcoscenico. A La palace, è tutto il teatro che è il palcoscenico; qui la luce occupa uno spazio profondo, all'interno del quale prende vita e si comporta come un attore”. Secondo Roland Barthes, è proprio la luce a rendere totalizzante l’opera, ovvero il teatro. E la mostra di Vitra lo sottolinea: il design della tecnologia è fondamentale complemento estetico dei club. La luce e la musica fanno la discoteca. Ben Kelly, architetto dell’Haçienda di Manchester scrive: “Ho insistito sul fatto che il club avesse bisogno di un sistema di illuminazione flessibile, come in un teatro. Volevo che lo spazio fosse teatrale, non solo sul palcoscenico (proprio come disse Barthes, ndr) quindi se qualcuno avesse voluto appendere una mezza dozzina di pecore morte con un moschettone, avrebbe potuto ”. Si diceva, in mostra anche la tecnologia dunque: Regno Quattro Luci, disco light Astrodisco di Clay Paky del 1982, il proiettore Astroraggi del 1983, un classico delle discoteche, Atlas del 1987.
Si passano gli anni Sessanta e si prosegue con New York degli anni Settanta-Ottanta: sono questi anni di emancipazione del mondo Lgbt, laddove si stabilisce che le serate gay debbano avere della bella musica. L’Ice Palace Fire Island, Paradise Garage Logo, Le Jardin. Una sala della mostra è dedicata all’ascolto dei vari generi di musica che furono i protagonisti della club culture. In una sorta di silence disco con varie postazioni cuffie, dal recinto rettangolare e l’ambiente specchiato, ogni postazione si fa portavoce del racconto musicale: dalla disco alla techno e alla house. La mostra è didascalica e contiene foto, informazioni e ritrovati. Fondono discoteca e arte il Mudd Club (1978) o l’Area di New York che offrivano nuove opportunità ai giovani artisti emergenti, qui ebbero inizio le carriere di Keith Haring e Jean-Michel Basquiat. Si prosegue e non manca la sensazione di spazio alterato e Isozaki se ne fa portavoce: prima noto come architetto metabolista, si staccò molto presto dal movimento, sentendosi più vicino ai giapponesi Dadaisti, lavorando però col milieu rifiutato, ovvero con Kenzo –Tange (metabolista).
Arata Isozaki, traendo ispirazione dal “cybernetic environment” creò il Palladium di New York – in mostra i disegni del progetto, il quale contiene un murale di Keith Haring. Negli anni Ottanta c’è il The Saint, una discoteca gay, nelal quale una componente chiave degli effetti della luce fu lo Spitz Stafield Projector che riproduce il cielo stellato dalla prospettiva della Terra. Esposti sono anche i sintetizzatori, come elementi fondamentali delle discoteche: Minimoog syntesiser, Roland TR-808, TR-909. Tanto successe anche in Inghilterra, col benestare del punk e di Vivienne Westwood. Si diceva prima: Ben Kelly progettò una cattedrale del rave postindustriale, Haçienda del 1982, cofinanziato dai New Order.
E a proposito di mobilità, Konstantin Grcic organizzatore della mostra e designer con Matthias Singer di una installazione musicale e luminosa che è perfetta per ballare all’aperto (probabilmente sarà al Salone del Mobile 2018). E poi? I club cambiano: si fondono con la moda, i social contribuiscono a brandizzare le serate e non i locali. Per il milanesi: quando si è spostato il Plastic sono rimaste le serate, il luogo che le conteneva è diventato ininfluente. Le ragioni del cambiamento sono complesse. L’Economist nel 2016 scrive che la gentrificazione ne è un fattore chiave: gli affitti aumentano e le periferie si popolano di complessi abitativi e non più rumorosi e antisociali nightclub. E poi diciamocelo: in discoteca c’è la bella musica, fantastico se si balla, meraviglioso se i cocktail sono buoni, eccellenti se l’illuminazione è scenica e studiata, spettacolare se il guardarobiere è gentile e non vi fa pagare il doppio cappotto, supercool se come dicono Barthes o l’antropologia culturale, siamo tutti attori. Però, se poi per conoscere qualcuno basta mettere un cuoricino su Tinder, allora forse anche nei club è venuto meno il meglio: l’amore (o il power love).
- Night Fever. Designing Club Culture 1960 -today
- Jochen Eisenbrand, Curatore principale; Meike Wolfschlag, Assistente Curatore; Nina Steinmüller, Assistente Curatrice; Catharine Rossi, Co-Curatrice; Katarina Serulus, Co-Curatrice
- 17 marzo - 9 Settembre 2018
- Sempre 10:00 - 18:00
- Vitra Design Museum
- Charles-Eames-Straße 2 79576 Weil am Rhein/BasileaGermania
- Night Fever. Designing Club Culture 1960 - Today. Vitra Design Museum 2018, ISBN: 978-3-945852-24-8