Ha fatto il pieno di nomination nelle classifiche dei migliori libri del 2017 e questo non ha colto di sorpresa i molti che già possedevano il volume: Haute Bohemians, di Miguel Flores-Vianna, non è il tipico coffee-table book che ci si aspetti di trovare sfrugugliando nel reparto dedicato agli interior, perché il racconto di una ventina di case in diversi angoli del mondo – dalla regione a nord del Marocco alle Dolomiti, da Parigi a Gran Canaria, dall’Argentina al Montauk – stratifica storie prima che stili. Così, in questi spazi, si vedono letti dall’aria stropicciata, scrivanie su cui si affollano oggetti in perfetto disordine e colorati bouquet di fiori, non l’opera qualche flower stylist, ma piuttosto mazzetti arrangiati dai proprietari di queste stanze: artisti, stilisti, paesaggisti, antiquari, scrittori, interior designer. Una tribù nomade e cosmopolita che per Flores-Vianna è una vera e propria calamita. “I miei genitori erano dei viaggiatori appassionati”, racconta il fotografo argentino tra una tappa e l’altra del suo lunghissimo book signing tour, “perciò ben presto mi sono reso conto che c’era un mondo molto grande oltre i miei confini”. Lungi dall’essere l’esercizio di stile di qualche architetto, le case diventano in Haute Bohemians “la descrizione della geografia della vita di chi le abita”. Racconti individuali e non convenzionali. È su questa sostanza immateriale che si posa lo sguardo di Miguel-Flores Vianna, alla ricerca dello spirito dei luoghi.
Haute Bohemians, il libro che fotografa lo spirito dei luoghi
Le case ritratte da Miguel Flores-Vianna in diversi angoli del mondo descrivono la geografia della vita di chi le abita.
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- Marta Galli
- 29 marzo 2018
- New York
Il titolo Haute Bohemians non era piaciuto immediatamente alla casa editrice, è vero?
Sì, il libro era stato pensato inizialmente per il mercato americano – non immaginavamo avrebbe avuto un’accoglienza così diffusa – perciò il mio editore obiettò che per gli americani sarebbe stato persino difficile comprendere il senso della parola bohemian. Lo raccontai al mio compagno che fece: “Mah, tutto il mondo capisce pret-à-manger, perché bohemians dovrebbe essere un problema?”. Alla fine, il mio titolo è passato.
Che cosa s’intende con “haute bohemian”?
Per me sono tutti coloro che vivono la loro vita in maniera molto personale e, quando si tratta delle loro dimore, le arredano senza sentirsi vincolati alle convenzioni. Spesso hanno molti mezzi, tuttavia non è la prima sensazione che queste abitazioni comunicano: non sono case-trofeo create per fare colpo, ma per un piacere privato.
Gli abitanti qui sono tutti collezionisti?
Li definirei esteti. Diversi dai collezionisti prevalenti oggi, che comprano per lo più in ragione del valore monetario dell’opera e spinti da qualche considerazione di carattere economico, raccogliendo magari oggetti incredibili, ma le loro abitazioni per me sono quasi “astratte”, cioè priva di sensibilità. Penso invece che le case nel mio libro siano tutte “tangibili”: hanno una qualità quasi tattile. Gli esteti mescolano alto e basso perché lo amano alla stessa maniera. Hanno visto molto e hanno aneddoti per ogni cosa. In definitiva sono persone come le altre, semplicemente dotate di un gusto eccezionale.
Cosa ci rivela una casa dei suoi abitanti?
Penso al castello che ho fotografato a Montigny: ovviamente c’è una certa grandeur. Poi, però, ci entri: le stanze sono calde, umane. Ecco, capisci come le persone che lo abitano percepiscono loro stesse dal modo in cui l’hanno arrangiato. Faccio un altro esempio: nell’appartamento parigino di Carolina Irving – una textile designer originaria del Venezuela – sono giustapposti dei lavori venezuelani fatti con le piume, delicate creazioni di grande pregio, e delle foglie, che semplicemente Carolina raccoglie e incornicia. Oggetti tanto sofisticati e altri tanto semplici occupano la stessa posizione, e questa è anche la sua visione del mondo. Tutti questi personaggi, possono essere minimalisti – come l’artista Alexander Vethers che dentro a casa sua ha solo oggetti bianchi o ricoperti di bianco – o possono essere massimalisti – come l’antiquario Christopher Gibbs – ma hanno un tratto in comune: la spiccata individualità.
Ci sono alcuni italiani tra gli “haute bohemian” nel libro ma infondo non sembra essere così importante la declinazione nazionale, è così?
Penso a loro in realtà come a una tribù nomade e cosmopolita. Credo anche appartengono alla categoria dei romantici: quel che vedono in lontananza finiscono per trovarlo più interessante della loro piccola realtà. Molti di loro sono stai influenzati dalla letteratura, specie una certa produzione inglese del XX secolo, piuttosto iconica, che va da Robert Byron a Bruce Chatwin. Che vivano a Londra, Parigi o New York, si sono accorti che c’è un mondo molto più vasto là fuori e in qualche modo hanno cercato di farlo entrare.
In effetti racconta queste persone attraverso le sue immagini come fossero i protagonisti di un romanzo, quanto conta la letteratura nel suo lavoro?
Mi trasferii a New York a 20 anni, quando cominciai a lavorare come editor prima di dedicarmi alla fotografia, che è stata una scoperta piuttosto tardiva, dopo i quaranta. Ricordo la prima estate che passai lì, vivevo a uptown, ma lavoravo a downtown, dunque trascorrevo molto tempo in metropolitana leggendo Tolstoj. Che si parlasse di aristocrazia o di paesani, si delineava un mondo magico. Nel XIX secolo ancora vivono in stanze appena sbucate dal XVIII secolo che ancora risentivano del periodo neoclassico, ma entro la metà dell’Ottocento, quando s’impone il gusto vittoriano ecco che le stanze si riempiono, diventando quasi soffocanti. Penso avrei voluto fotografare tutti quei posti e, in un certo senso, quel che il parallelo con la letteratura mi permette di scoprire è che infondo cerco l’essenza di queste stanze, le interrogo su ciò che sono state. Di certo la letteratura è una grande fonte d’ispirazione, come quando penso al festival delle lucciole in Giappone e ai numerosi libri che ne parlano e penso che una situazione del genere la vorrei catturare con il mio obiettivo.
È come se la sua fosse un’indagine che dal visibile arriva all’invisibile.
Più vivo in Europa e più mi accorgo che vengo da un Paese in cui tutto è nuovo. Nei Paesi nati sull’onda lunga dell’emigrazione, tutto è molto più semplice, meno stratificato. In Europa è diverso, il tempo ha iniettato sottili significati contenuti in ogni cosa: alla fine niente è come sembra. Lo trovo molto affascinante.
- Haute Bohemians
- Miguel Flores-Vianna
- The Vendome Press, New York
- 312
- 2017
- 65 $