Umberto Felci Yachts nasce dalla passione del suo fondatore, che ha dato il nome allo studio. Da ragazzo Felci si appassiona alla vela quando la famiglia va in vacanza sul Lago di Garda, è bravo e pian piano arriva a livelli molto alti, fino alla classe olimpica del 470. Sceglie di studiare architettura e trova il modo di mettere insieme passione e studio laureandosi su un argomento allora innovativo: i materiali compositi utilizzati per gli scafi delle barche a vela. Ma non basta, c’è nella sua formazione anche un’abitudine a fare con le mani, a costruire, stimolata dal padre che appassionato di modellini invita i figli a condividere questa manualità. Il garage, insomma, in cui sperimentare sui materiali. Dopo la laurea il lavoro se lo inventa proprio mettendo insieme la sua competenza di velista con quella appresa con il padre. Apre uno studio che progetta e costruisce barche. Oggi lo studio non produce più, progetta e il progetto è interamente digitale. Anche se la passione per il come sono fatte le cose è rimasta: lo studio ha un piccolo laboratorio dove si studiano alcuni dettagli e mantiene un rapporto molto stretto con gli artigiani che realizzano i progetti.
Come e quando nasce lo studio?
Il mio primo studio nasce nel 1992. Avevo collaborato con Raul Gardini per i Moro di Venezia per Coppa America e da quella esperienza, sommata all’attività agonistica e agli studi di architettura nasce il mio primo studio, in cui facevo sia progettazione sia costruzione. L’attuale configurazione è una società di progettazione fondata nel 2001, con Lorenzo Giovannozzi, ingegnere ed Elda Cortinovis, una squadra che comprende i progettisti senior Guillaume Petit, ingegnere, e Gabriel Treddenti, architetto, e tutti sono anche velisti. L’attività agonistica prevede anche una conoscenza tecnica che poi si traduce in competenze per la professione. Il modo in cui progettiamo oggi è completamente virtuale. Ma la ricerca sui materiali compositi fa da connessione tra nautica e architettura.
Fate ricerca in proprio? Dov’è il laboratorio?
A casa mia (sorride). È un piccolo laboratorio dove sperimentiamo su alcuni dettagli, alla ricerca della forma migliore. Questo approccio serve a mantenere uno stretto rapporto con la fisicità dell’oggetto. Cerchiamo di capire che ricaduta ha la forma su un oggetto reale. Le barche sono necessariamente funzionali, e questo riguarda anche le sovrastrutture, gli interni. Potremmo definirci dei funzionalisti.
Nel lavoro di progettazione si può rischiare di non immaginare nuove forme o possibilità semplicemente perché non si è aggiornati. Per questo a volte chiediamo ad altri di fare delle collaborazioni. Facciamo internamente il calcolo ingegneristico del composito e, dove il progetto lo consente, chiediamo ad altri che stanno facendo progetti estremi, sulle barche da regata, per capire cosa si può applicare anche alle barche da diporto. Non solo sui compositi ma anche sull’idrodinamica. E poi bisogna essere curiosi di quello che fanno gli altri. Dal punto di vista della forma tutto ciò che è disegnato è stimolante: una sedia, un abito, un quadro.
Una relazione simile a quella tra Formula Uno e auto di serie. Siete uno studio di progettazione: per chi lavorate? Che tipo di barche disegnate?
Per i cantieri francesi Dufour Yachts, uno dei più grandi al mondo, per i quali siamo gli unici progettisti. E poi collaboriamo con Cantiere del Pardo, insieme a Nauta Yachts, con Ice Yachts e con altri. Progettiamo barche da diporto, fatte per navigare. La cantieristica di serie è un po’ più media anche se oggi il prodotto di serie si sta evolvendo e si sta avvicinando a quello delle barche personalizzate. Sulle barche più grandi, i cui armatori sono velisti raffinati, la personalizzazione è quasi una regola, il costo raddoppia ed è un mercato in crescita. Il mercato francese, a differenza di quello italiano, è molto variegato: andare in barca a vela è una passione diffusa anche a livello popolare. Ci sono appassionati che invece di comprare la seconda auto si comprano una piccola barca. In Italia non c’è, purtroppo, una legislazione che favorisca la nautica, ed è un peccato perché è un settore che potrebbe avere uno sviluppo su tutto il territorio, basti pensare all’estensione delle coste del nostro Paese.
Con barche sempre più evolute tecnologicamente c’è ancora quel rapporto col mare e la natura che ha caratterizzato la navigazione a vela?
Sì. Non si può andare a vela senza conoscere il mare e anche l’imbarcazione su cui si naviga.
Non mi sembra però che ci sia una grande sensibilità ambientale, o sbaglio?
In effetti no. Per quel che riguarda le barche in vetroresina il materiale viene riciclato e diventa componente per gli asfalti e si stanno studiando altri materiali come ad esempio la fibra di lino. Ma mi sembra che la questione sia un’altra. C’è ancora molto da fare per la sostenibilità dei cantieri dal punto di vista dell’ambiente di lavoro, ci sono ancora troppi cantieri nel mondo che non applicano le dovute protezioni dei lavoratori. Da questo punto di vista l’Italia è messa meglio con esempi come il Cantiere Nautico Galetti, un cantiere artigianale modello, o Persico Marine.